... ascoltando la parola del papa e rileggendo gli scritti della Madre .... (da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.006, Sab. 10/01/2015)
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE
Venerdì, 9 gennaio 2015Cuori induriti
Un cuore indurito non riesce a comprendere neanche i miracoli più grandi. Ma «come un cuore si indurisce?». Se lo è chiesto Papa Francesco durante la messa celebrata venerdì 9 gennaio a Santa Marta.
Scacciando i venditori con la sferza di cordicelle Gesù ci mostra per prima cosa il suo zelo per la gloria di Dio e per il tempio. Lo zelo, infatti, consiste nell’allontanare da quanto si ama ciò che lo disturba e perciò Gesù allontanò dal tempio, che è casa di preghiera, i mercanti con i loro traffici.
Come seconda cosa Gesù mostra la sua fortezza cacciando tutti da solo, senza alcun timore.
Come terza cosa da il suo consenso alla passione quale prova d’amore. Avendogli, infatti, i giudei chiesto un segno come prova delle cose che faceva, Egli risponde: «Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo riedificherò». Si riferiva al tempio del suo corpo, come a dire: distruggete questo mio corpo con colpi, chiodi e croce.
Come quarta cosa diede l’annuncio della sua resurrezione dopo la morte, a conferma della sua onnipotenza, perché disse: «Io in tre giorni lo farò risorgere» cioè «il terzo giorno risusciterò».
Quindi caccia dal tempio i mercanti che vendevano colombe più con parole e miracoli che con la sferza; la sferza indica l’efficacia della sua parola e i miracoli l’amore; perché Gesù attira a sé le anime con amore e timore. C’insegna poi che il tempio è casa di preghiera, infatti, dice: «La mia casa è casa di preghiera per tutti, voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri».
Gesù, invece di rimproverare i sacerdoti, più colpevoli per la loro avarizia nascosta dal pretesto di avere tutto a portata di mano, rimprovera i mercanti, pure colpevoli, ma meno incalliti, perché questi avrebbero fatto più tesoro del rimprovero.
A quale dei due gruppi assomigliamo? Gesù può rimproverarci con forza, tagliare e pulire come gli sembra opportuno, certo che accoglieremo gli avvisi e le correzioni, o siamo tra coloro che sono duri di cuore, per cui Gesù è costretto a lasciarci, sapendo che non corrisponderemo ai suoi avvisi e alle sue correzioni?
Se qualcuno si sente col cuore indurito e carico di giustificazioni, corra ai piedi di Gesù, gli chieda perdono e umilmente gli dica: «Padre mio, non mi abbandonare. Sono malato ma voglio guarire, perciò ricorro a Te, mio medico e Signore. Non guardare se la medicina è amara o se dovrò soffrire per sradicare da me ciò che ti dispiace, perché , con il tuo aiuto, sono disposto a tutto. Però non allontanare da me il tuo volto, come hai fatto un giorno con il tuo popolo eletto, ingrato dei favori divini e troppo affezionato ai beni terreni».
(Madre Speranza 7, 83-90 nel 1943)
I discepoli, si legge nel brano liturgico del Vangelo di Marco (6, 45-52), «non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito». Eppure, ha spiegato Francesco, «erano gli apostoli, i più intimi di Gesù. Ma non capivano». E pur avendo assistito al miracolo, pur avendo «visto che quella gente — più di cinquemila — aveva mangiato con cinque pani» non avevano compreso. «Perché? Perché il loro cuore era indurito».
Tante volte Gesù «parla della durezza del cuore nel Vangelo», rimprovera il «popolo dalla cervice dura», piange su Gerusalemme «che non ha capito chi sia lui». Il Signore si confronta con questa durezza: «Tanto lavoro ha Gesù — ha sottolineato il Papa — per rendere questo cuore più docile, per renderlo senza durezze, per renderlo amorevole». Un «lavoro» che continua dopo la risurrezione, con i discepoli di Emmaus e tanti altri.
«Ma — si è domandato il Pontefice — come un cuore si indurisce? Come è possibile che questa gente, che era con Gesù sempre, tutti i giorni, che lo sentiva, lo vedeva... e il loro cuore era indurito. Ma come un cuore può divenire così?». E ha raccontato: «Ieri ho chiesto al mio segretario: Dimmi, come si indurisce un cuore? Lui mi ha aiutato a pensare un po’ a questa cosa». Da qui l’indicazione di una serie di circostanze con le quali ciascuno può confrontare la propria esperienza personale.
Innanzitutto, ha detto Francesco, il cuore «si indurisce per esperienze dolorose, per esperienze dure». È la situazione di quanti «hanno vissuto un’esperienza molto dolorosa e non vogliono entrare in un’altra avventura». È proprio quello che è successo dopo la risurrezione ai discepoli di Emmaus, dei quali il Pontefice ha immaginato le considerazioni: «"C’è troppo, troppo chiasso, ma andiamocene un po’ lontano, perché..." —Perché, che? — "Eh, noi speravamo che questo fosse il Messia, non c’è stato, io non voglio illudermi un’altra volta, non voglio farmi illusioni!"».
Ecco il cuore indurito da una «esperienza di dolore». Lo stesso capita a Tommaso: «No, no, io non ci credo. Se non metto il dito lì, non ci credo!». Il cuore dei discepoli era duro «perché avevano sofferto». E al riguardo Francesco ha ricordato un detto popolare argentino: «Se una persona viene bruciata dal latte, quando vede la mucca piange». Ossia, ha spiegato, «è quell’esperienza dolorosa che ci trattiene dall’aprire il cuore».
Un altro motivo che indurisce il cuore è poi «la chiusura in se stesso: fare un mondo in se stesso». Accade quando l’uomo è «chiuso in se stesso, nella sua comunità o nella sua parrocchia». Si tratta di una chiusura che «può girare intorno a tante cose»: all’«orgoglio, alla sufficienza, al pensare che io sono meglio degli altri» o anche «alla vanità». Ha precisato il Papa: «Ci sono l’uomo e la donna "specchio", che sono chiusi in se stessi per guardare se stessi, continuamente»: si potrebbero definire «narcisisti religiosi». Questi «hanno il cuore duro, perché sono chiusi, non sono aperti. E cercano di difendersi con questi muri che fanno intorno a sé».
C’è inoltre un ulteriore motivo che indurisce il cuore: l’insicurezza. È ciò che sperimenta colui che pensa: «Io non mi sento sicuro e cerco dove aggrapparmi per essere sicuro». Questo atteggiamento è tipico della gente «che è tanto attaccata alla lettera della legge». Accadeva, ha spiegato il Pontefice, «con i Farisei, con i Sadducei, con i dottori della legge del tempo di Gesù». I quali obiettavano: «Ma la legge dice questo, ma dice questo fino a qui...», e così «facevano un altro comandamento»; alla fine, «poverini, si addossavano 300-400 comandamenti e si sentivano sicuri».
In realtà, ha fatto notare Francesco, tutti questi «sono persone sicure, ma come è sicuro un uomo o una donna nella cella di un carcere dietro la grata: è una sicurezza senza libertà». Mentre è proprio la libertà ciò che «è venuto a portarci Gesù». San Paolo, ad esempio, rimprovera Giacomo e anche Pietro «perché non accettano la libertà che Gesù ci ha portato».
Ecco allora la risposta alla domanda iniziale: «Come un cuore si indurisce?». Il cuore infatti, «quando si indurisce, non è libero e se non è libero è perché non ama». Un concetto espresso dalla prima lettura della liturgia del giorno (1 Giovanni, 4, 11-18), dove l’apostolo parla dell’«amore perfetto» che «scaccia il timore». Infatti «nell’amore non c’è timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore. Non è libero. Sempre ha il timore che succeda qualcosa di doloroso, di triste», che ci faccia «andare male nella vita o rischiare la salvezza eterna». In realtà, sono solo «immaginazioni», perché semplicemente quel cuore «non ama». Il cuore dei discepoli, ha spiegato il Papa, «era indurito perché ancora non avevano imparato ad amare».
Ci si può allora chiedere: «Chi ci insegna ad amare? Chi ci libera da questa durezza?» Può farlo «soltanto lo Spirito Santo», ha chiarito Francesco precisando: «Tu puoi fare mille corsi di catechesi, mille corsi di spiritualità, mille corsi di yoga, zen e tutte queste cose. Ma tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio». Solo lo Spirito Santo «muove il tuo cuore per dire "padre"»; solo lui «è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore» e di renderlo «docile al Signore. Docile alla libertà dell’amore». Non a caso il cuore dei discepoli è rimasto «indurito fino al giorno dell’Ascensione», quando hanno detto al Signore: «Adesso si farà la rivoluzione e viene il regno!». In realtà «non capivano niente». E «soltanto quando è venuto lo Spirito Santo, le cose sono cambiate».
Perciò, ha concluso il Pontefice «chiediamo al Signore la grazia di avere un cuore docile: che lui ci salvi dalla schiavitù del cuore indurito» e «ci porti avanti in quella bella libertà dell’amore perfetto, la libertà dei figli di Dio, quella che soltanto può dare lo Spirito Santo».
|
[Home page | Sommario Rivista]
realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggiornamento
19 febbraio, 2015