... ascoltando la parola del papa e rileggendo gli scritti della Madre .... Papa Francesco
Viaggio Apostolico del Santo Padre Francesco a Cuba, negli Stati Uniti d’America
e visita alla Sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (19-28 Settembre 2015)
Chi non vive per servire, non serve per vivere
OMELIA DEL SANTO PADRE ALLA SANTA MESSA
Plaza de la Revolución, La Habana
Domenica, 20 settembre 2015
Che i poveri vengano a mangiare, i malati a curarsi, i sofferenti perché si preghi per loro e che noi, Ancelle dell’Amore Misericordioso siamo sempre disposte a servire e ad alleviare ogni bisognoso.
(Madre Speranza 21, 717 nel 1965)
Mi congratulo con tutte, figlie mie, e vi prego di impegnarvi ad essere caritatevoli, mortificate e abnegate e di compiere i buoni propositi che avete fatto, di correre nel cammino della santità. A Gesù chiedo di aiutarvi a proseguire senza sosta e alle Superiore di esercitarvi nell’umiltà, nel sacrificio e nella pratica continua della carità, cosa che conseguirete facilmente se nei vostri cuori arde la fiamma dell’amore a Gesù. Voi Superiore, vigilate costantemente perché tra le figlie regni la vera carità, non quella apparente, e che tutte siano umili di cuore. Se conseguirete questo, avrete la consolazione di vedere le figlie ricolme di eccellenti frutti di santità e voi riceverete la ricompensa del buon amministratore.
Chiedo a tutte, figlie mie, di vigilare perché non entri in voi l’egoismo e meno ancora il desiderio di essere servite dalle bambine povere. Ricordate che siete schiave, non signore, e che siamo state chiamate nella Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso non per essere servite, ma per servire noi i poveri.
Pregate, figlie mie, affinché questa vostra madre viva sempre molto unita a Gesù, che niente e nessuno la separi mai dall’amore di Dio e dalla sua carità; potete essere certe che questo è ciò che ogni giorno io chiedo al Signore per le mie figlie.
(Madre Speranza 19, 1414-1416 il 21.11.1942 )
L’autentica madre abbraccia tutto, si preoccupa di tutto, vigila e si consuma per le anime delle figlie e dei ricoverati, fortificandoli con l’amore di Gesù. Sa bene che la dignità ricevuta col suo incarico non la trasforma in nuova creatura per cui non smette di essere miserevole, capace di commettere, se Gesù non la sostiene, i peggiori errori; proprio per questo non si scandalizza dei difetti delle figlie; con attenzione materna e con perseveranza segue le figlie e vigila su di loro accorgendosi anche dei minimi dettagli nel loro comportamento.
(Madre Speranza 20, 28 nel 1935)
La carità, che precetto sublime! Dal cuore del buon Gesù è germogliato questo comandamento "amatevi gli uni gli altri".
(Madre Speranza 20, 44 nel 1936)
Come vorrei vedere inciso in tutte le figlie questo comandamento! Vorrei che tutte amaste i fratelli fino al sacrificio, dimentiche di voi stesse. Solo allora le nostre case sarebbero il fedele ritratto della casa di Nazareth: i poveri sarebbero serviti meravigliosamente, vivrebbero in sana allegria e nella casa si respirerebbe amore e carità; non ci sarebbero discussioni, ognuno rinuncerebbe al proprio parere per non turbare la pace delle consorelle; si farebbe del bene a tutti senza distinzione, e si desidererebbe unicamente la felicità altrui.
Chiedo al buon Gesù che faccia crescere in tutte le figlie e negli ospiti la fiamma della sua carità e voi chiedete la stessa cosa per questa vostra Madre che tanto vi ama e non vi dimentica un solo istante.
(Madre Speranza 20, 44 nel 1936)
Care figlie, si avvicina l’anniversario della nascita del dolcissimo buon Gesù e della nostra amata Congregazione. Che giorno memorabile per noi! Non è vero? Suppongo che in quel giorno tutte ricorderemo:
Perché s’incarnò il buon Gesù? Chi dobbiamo imitare per essere autentiche EAM? Venne a gioire? Ad essere servito? A seminare discordia? A trattare con i potenti? Ad accumulare ricchezze? A spassarsela? No, figlie mie. Venne a soffrire, esercitare la carità fino alle forme estreme, dare la vita per gli uomini, pur sapendo come l’avrebbero ripagato. Chi lo costrinse a ciò? L’amore, come sapete, si alimenta di sacrifici, e amando diventa dolce patire.
Se fino ad ora abbiamo dimenticato lo scopo per cui siamo diventate religiose e abbiamo trascurato i nostri doveri verso di Lui e verso il prossimo, da oggi in poi facciamo tutto come autentiche EAM, ricordando che ciò che facciamo ai poveri sarà ritenuto come fatto a Lui e se veramente lo amiamo ameremo molto anche loro. Desideriamo soffrire ed essere disprezzate senza pretendere alcuna ricompensa per il nostro lavoro verso i poveri.
(Madre Speranza 20, 80-85 nel 1938)
G
esù rivolge ai suoi discepoli una domanda apparentemente indiscreta: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?" (Mc 9,33). Una domanda che anche oggi Egli può farci: Di cosa parlate quotidianamente? Quali sono le vostre aspirazioni? «Essi – dice il Vangelo – tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande» (Mc 9,34). Si vergognavano di dire a Gesù di cosa stavano parlando. Come nei discepoli di ieri, anche in noi oggi si può riscontrare la medesima discussione: "Chi è il più grande?".Gesù non insiste con la sua domanda, non li obbliga a dirgli di che cosa parlavano per la strada; eppure quella domanda rimane, non solo nella mente, ma anche nel cuore dei discepoli.
"Chi è il più grande?". Una domanda che ci accompagnerà per tutta la vita e alla quale saremo chiamati a rispondere nelle diverse fasi dell’esistenza. Non possiamo sfuggire a questa domanda, è impressa nel cuore. Ho sentito più di una volta in riunioni famigliari domandare ai figli: "A chi volete più bene, al papà o alla mamma?". È come domandare: chi è più importante per voi? Questa domanda è davvero solo un semplice gioco per bambini? La storia dell’umanità è stata segnata dal modo di rispondere a questa domanda.
Gesù non teme le domande degli uomini; non ha paura dell’umanità, né dei diversi interrogativi che essa pone. Al contrario, Egli conosce i "recessi" del cuore umano, e come buon pedagogo è sempre disposto ad accompagnarci. Fedele al suo stile, fa’ propri i nostri interrogativi, le nostre aspirazioni e dà loro un nuovo orizzonte. Fedele al suo stile, riesce a dare una risposta capace di porre una nuova sfida, spiazzando le "risposte attese" o ciò che era apparentemente già stabilito. Fedele al suo stile, Gesù pone sempre in atto la logica dell’amore. Una logica capace di essere vissuta da tutti, perché è per tutti.
Lontano da ogni tipo di elitarismo, l’orizzonte di Gesù non è per pochi privilegiati capaci di giungere alla "conoscenza desiderata" o a distinti livelli di spiritualità. L’orizzonte di Gesù è sempre una proposta per la vita quotidiana, anche qui, nella "nostra" isola; una proposta che fa sempre sì che la quotidianità abbia un certo sapore di eternità.
Chi è il più grande? Gesù è semplice nella sua risposta: «Se uno vuole essere il primo – ossia il più grande – sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35). Chi vuole essere grande, serva gli altri, e non si serva degli altri!
E questo è il grande paradosso di Gesù. I discepoli discutevano su chi dovesse occupare il posto più importante, su chi sarebbe stato il privilegiato – ed erano i discepoli, i più vicini a Gesù, e discutevano di questo! –, chi sarebbe stato al di sopra della legge comune, della norma generale, per mettersi in risalto con un desiderio di superiorità sugli altri. Chi sarebbe asceso più rapidamente per occupare incarichi che avrebbero dato certi vantaggi.
E Gesù sconvolge la loro logica dicendo loro semplicemente che la vita autentica si vive nell’impegno concreto con il prossimo, cioè servendo.
L’invito al servizio presenta una peculiarità alla quale dobbiamo fare attenzione. Servire significa, in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo. Sono i volti sofferenti, indifesi e afflitti che Gesù propone di guardare e invita concretamente ad amare. Amore che si concretizza in azioni e decisioni. Amore che si manifesta nei differenti compiti che come cittadini siamo chiamati a svolgere. Sono persone in carne e ossa, con la loro vita, la loro storia e specialmente la loro fragilità, che Gesù ci invita a difendere, ad assistere, a servire. Perché essere cristiano comporta servire la dignità dei fratelli, lottare per la dignità dei fratelli e vivere per la dignità dei fratelli. Per questo, il cristiano è sempre invitato a mettere da parte le sue esigenze, aspettative, i suoi desideri di onnipotenza davanti allo sguardo concreto dei più fragili.
C’è un "servizio" che serve gli altri; però dobbiamo guardarci dall’altro servizio, dalla tentazione del "servizio" che "si" serve degli altri. Esiste una forma di esercizio del servizio che ha come interesse il beneficiare i "miei", in nome del "nostro". Questo servizio lascia sempre fuori i "tuoi", generando una dinamica di esclusione.
Tutti siamo chiamati dalla vocazione cristiana al servizio che serve e ad aiutarci a vicenda a non cadere nelle tentazioni del "servizio che si serve". Tutti siamo invitati, stimolati da Gesù a farci carico gli uni degli altri per amore. E questo senza guardare accanto per vedere che cosa il vicino fa o non fa. Gesù ci dice: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35). Costui diventa il primo. Non dice: "Se il tuo vicino desidera essere il primo, che serva". Dobbiamo guardarci dallo sguardo che giudica e incoraggiarci a credere nello sguardo che trasforma, al quale ci invita Gesù.
Questo farci carico per amore non punta verso un atteggiamento di servilismo, ma al contrario, pone al centro la questione del fratello: il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a "soffrirla", e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone.
Il santo Popolo fedele di Dio che vive a Cuba è un popolo che ama la festa, l’amicizia, le cose belle. È un popolo che cammina, che canta e loda. È un popolo che ha delle ferite, come ogni popolo, ma che sa stare con le braccia aperte, che cammina con speranza, perché la sua vocazione è di grandezza. Così l’hanno seminata i vostri antenati. Oggi vi invito a prendervi cura di questa vocazione, a prendervi cura di questi doni che Dio vi ha regalato, ma specialmente voglio invitarvi a prendervi cura e a servire la fragilità dei vostri fratelli. Non trascurateli a causa di progetti che possono apparire seducenti, ma che si disinteressano del volto di chi ti sta accanto. Noi conosciamo, siamo testimoni della «forza incomparabile» della risurrezione che «produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 276.278).
Non dimentichiamoci della Buona Notizia di oggi: la grandezza di un popolo, di una nazione; la grandezza di una persona si basa sempre su come serve la fragilità dei suoi fratelli. E in questo troviamo uno dei frutti di una vera umanità.
Perché, cari fratelli e sorelle, "chi non vive per servire, non serve per vivere".
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ultimo aggiornamento
16 ottobre, 2015