Festa liturgica della Beata Speranza di Gesù

"Rendo grazie al tuo nome o Signore per la tua fedeltà e la tua misericordia"

Omelia del Card.

Edoardo Menichelli,

Arcivescovo di Ancona-Osimo, in

Santuario il giorno 7 febbraio 2016

Apro questa mia riflessione con le parole del salmo 137 proclamato poca fa nella preghiera responsoriale. "Rendo grazie al tuo nome o Signore per la tua fedeltà e la tua misericordia", anche se con maggiore verità mi sarebbe più vicino quanto Pietro inginocchiato davanti a Gesù disse: "Allontanati da me, o Signore, perché sono un peccatore".

Questo luogo, la sua storia, la testimonianza di santità e di profezia qui celebrata da Madre Speranza, il servizio pieno di grazia e di delicata umanità che qui viene offerto, aiutano a comporre in una visione di salvezza, la indecenza del peccato e la misericordia che tiene Cristo Signore sulla croce.

A questo riguardo mi sembra sia doveroso, stando in questo Santuario, farsi prendere da uno stupore dell’anima, non tanto perché rapiti da uno spiritualismo evanescente, che qui non è di casa, quanto perché qui gustiamo una verità, riscopriamo una profezia, decidiamo per una evangelica responsabilità.

La verità di Dio non è solo che Egli c’è ed è il Signore a prescindere dalla nostra fede; la verità di Dio è la sua misericordia. La grande notizia non è che Dio c’è; la grande notizia è che Dio c’è ed è Padre Misericordioso. La Sua onnipotenza è la sua misericordia, il cui segno per l’umanità è Cristo Crocifisso, il perdente per amore.

Lo stupore dell’anima sta nello scoprire e accogliere che Dio in Cristo si è fatto piccolo: la sua fragilità è scandalo per la nostra superbia e segno della sua parentela di salvezza per l’umanità.

Pensando a questa celebrazione e sapendo di dover varcare la porta di questa chiesa mi è venuto di fare un accostamento tra "il Santuario dell’Amore Misericordioso" e "il Giubileo Straordinario della Misericordia". L’accostamento sta in un innervamento tra quanto è qui avvenuto e la nostra Beata ha realizzato e il dono di Papa Francesco: ambedue ricordano alla Chiesa quale profezia essa deve essere e questa opera deve fare per essere Chiesa significativa del suo sposo crocifisso e risorto: vivere della misericordia e donare misericordia.

Misericordia è parola sostanziale nel Vangelo e – come scrive Papa Francesco è "architrave che sorregge la vita della Chiesa" (M.V. n.10).

La Chiesa deve capire che essa è frutto dell’amore di Dio che in Cristo l’ha generata e resa santa perché perdonata.

La Chiesa è il popolo rinato dalla "medicazione" operata da Cristo Crocifisso. La Chiesa "medicata" da Dio è testimonianza di misericordia. Possiamo dire: dalla misericordia accolta alla misericordia donata.

Qui si apre la decisione evangelica di mettere la misericordia nell’arte pastorale, da parte di noi sacerdoti, e in ogni piega della vita: occorre avere il coraggio della misericordia.

A questo riguardo entrano in gioco le opere di misericordia, quell’amare corpo e anima e tutte le miserie e le ferite che Papa Francesco descrive nella "Misericordiae Vultus" .

La storia contemporanea è segnata da diffusi conflitti nelle relazioni interpersonali; nella famiglia, nella vita sociale e politica: siamo in una estraneità e in un superbo soggettivismo che alimentano la solitudine, l’indifferenza e la insensibilità e accrescono i deserti dell’anima.

La nostra Beata suggeriva di far precedere uno sguardo di compassione, di tenerezza a qualsiasi gesto di aiuto.

Compassione è il primo atto di vicinanza che apre la porta al dono di offrire.

La misericordia, carissimi, è il vero giudizio sulla verità della vita e sulla verità della fede.

Spesso noi pensiamo che la fede non appartenga alla vita e che essa si compie all’interno del Tempio: la quotidianità è il luogo della fede.

L’espressione evangelica "l’avete fatto a me" (Matteo 25,40) ci invita a trovare nella misericordia verso i fratelli la modalità per "toccare la carne di Cristo".

Nei gesti di misericordia non c’è spazio né per inflazionare la parola né per ridurre la stessa a sentimento. L’amore è sempre un fatto, una persona, una prossimità.

Il brano del Vangelo proclamato oggi, si conclude con due annotazioni utili per noi.

A Pietro scoraggiato e consapevole della sua poca fede, Gesù dice: "non temere".

C’è una adesione di libertà che i discepoli prendono: lasciarono tutto e lo seguirono.

In una cultura in cui la misericordia è parola debole, camuffata con condono, amnistia, indulto, i discepoli di Cristo – se vogliono essere veri – hanno una sola cosa da fare: non temere e raccontare la misericordia vivendola e farla diventare testamento da consegnare di generazione in generazione.

Preghiamo il Signore perché susciti vocazioni capaci di raccontare il prodigio d’amore del Crocifisso e far capire che solo in Lui, la vita prende l’entusiasmo della bellezza.

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ultimo aggiornamento 21 marzo, 2016