LA PASTORALE DELLA MISERICORDIA

Mons. Marcello Semeraro

 

Abbiamo scelto questo Santuario come meta del nostro primo pellegrinaggio diocesano

 

Omelia di Mons. Marcello Semeraro, vescovo della Diocesi di Albano nel Pellegrinaggio Giubilare a Collevalenza.

1. Abbiamo scelto questo Santuario come meta del nostro primo pellegrinaggio diocesano durante l’Anno Santo della Misericordia a motivo del titolo che per esso fu scelto da Madre Speranza: l’Amore misericordioso. Mi conforta il vedervi giunti qui davvero in tanti e sento per questo il bisogno di ringraziare: il Signore, anzitutto, dal quale tutti noi ci siamo sentiti convocati per sostare attorno alla sua mensa, da cui possiamo attingere l’unico «cibo» in grado di nutrirci per davvero. Desidero poi ringraziare voi, che avete raccolto il richiamo a camminare insieme verso questo appuntamento giubilare. Ringrazio, infine, insieme con voi i vostri parroci, che hanno dato voce all’invito del Vescovo.

A loro in particolare, da vicino alla tomba della Beata Speranza di Gesù, desidero rivolgere una speciale parola d’incoraggiamento e di affetto. Tra le ragioni per le quali Francesco ha voluto la sua beatificazione c’è l’essere stata, durante la sua vita terrena, «promotrice della santità presso il clero diocesano» (Lettera apostolica del 1 maggio 2014). La santificazione dei sacerdoti è stata la passione della sua vita. Vi invito, allora, a pregare durante questa Santa Messa soprattutto per loro. Ieri pomeriggio (è una semplice testimonianza) rientrando da Roma ho visto uno di loro: con indosso la stola era appena uscito da una casa e andava verso un’altra, per visitare le famiglie e portare loro la benedizione pasquale. Egli non s’è accorto di me, ma io l’ho benedetto in silenzio. Preghiamo, dunque, per i nostri sacerdoti e preghiamo pure perché la chiamata del Signore trovi animi forti e cuori generosi capaci di rispondergli.

2. Domandiamoci: cos’è l’Amore misericordioso? È un’idea? È un concetto? È possibile venerare un concetto? Innamorarsi di idee è sempre – mi pare – un po’ pericoloso! Le persone possono sì deluderti ed ecco, allora, che il tuo innamoramento mette i piedi per terra. Le idee possono, invece, portarti la testa fra le nuvole e farti stare tanto lontano dalla realtà al punto da fartela dimenticare. È l’ideologia. No. Meglio innamorarsi di persone! E l’Amore misericordioso non è un concetto; è una persona. Ascoltiamo sant’Agostino: «Poteva esserci misericordia verso di noi infelici maggiore di quella che indusse il Creatore del cielo a scendere dal cielo e il Creatore della terra a rivestirsi di un corpo mortale? […]. Quella stessa misericordia indusse il Signore del mondo a rivestirsi della natura di servo, di modo che pur essendo pane avesse fame, pur essendo la sazietà piena avesse sete, pur essendo la potenza divenisse debole, pur essendo la salvezza venisse ferito, pur essendo vita potesse morire. E tutto questo per saziare la nostra fame, alleviare la nostra arsura, rafforzare la nostra debolezza, cancellare la nostra iniquità, accendere la nostra carità. Ci poteva essere misericordia maggiore di questa?» (Sermo 207,1: PL 38,1043). Ecco chi è l’Amore misericordioso! Possiamo «innamorarcene».

Anche per Madre Speranza l’Amore misericordioso è Gesù Crocifisso. Vediamo in questo Santuario l’immagine che ella volle fosse scolpita perché la si venerasse. È la rappresentazione di Gesù che dalla croce si rivolge al Padre e dice: «perdona loro!» (Lc 23,34). Solo partendo dalla Croce noi cristiani possiamo definire l’amore. «A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare», spiega Benedetto XVI (Deus caritas est n. 12).

GIUBILEO DA ALBANO
A COLLEVALENZA

La diocesi suburbicaria di Albano Laziale nell’ambito delle iniziative per il Giubileo straordinario della Misericordia, sabato 20 febbraio ha organizzato un pellegrinaggio al santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza. L’iniziativa è stata promossa dal vescovo mons. Marcello Semeraro nel decreto di apertura per il Giubileo nella Chiesa di Albano del 29 novembre 2015. In questo documento ricorda che il pellegrinaggio “è un segno peculiare dell’Anno santo, è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza”.

L’evento ha trovato un’ottima rispondenza, infatti erano presenti oltre 2.000 fedeli provenienti dalle 77 parrocchie della diocesi.

I pellegrini, giunti al santuario nel primo mattino, hanno preso parte ai diversi momenti di preparazione quali le celebrazioni penitenziali, la liturgia delle acque e le catechesi sulla misericordia. Tutti hanno avuto la possibilità di accostarsi al sacramento della penitenza.

Culmine della giornata è stato il passaggio della porta santa e la solenne celebrazione eucaristica presieduta in basilica da mons. Semeraro e concelebrata dal vicario generale mons. Franco Marando, dal rettore del santuario padre Ireneo Martín fam, da tutti i vicari foranei e dalla maggioranza dei parroci che hanno accompagnato i propri fedeli.

Nell’omelia il Vescovo ha rivolto ai sacerdoti parole di affetto e incoraggiamento, ricordando che tra le motivazioni per le quali Papa Francesco ha voluto la beatificazione di Madre Speranza c’è quella di essere stata, durante la sua vita terrena, “promotrice della santità presso il clero diocesano”.

Nel cuore di tutti i partecipanti è stata forte la gioia nel fare esperienza della misericordia nel luogo voluto dal Signore per diffondere nel mondo il messaggio dell’Amore Misericordioso.

Massimo Tofani

3. Dal Santuario che ci accoglie volgiamo, ora, la nostra attenzione alla Parola che abbiamo ascoltato. Ci soffermiamo sull’ultima esortazione, la cui eco risuona ancora alle nostre orecchie: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Anni or sono ebbi modo di annotare questo aforisma di Giacomo Leopardi: «L’unico modo per non far conoscere agli altri i propri limiti è non oltrepassarli mai». Mi parve umanamente una buona tattica; un modo di essere furbi. Ma allora, cosa vuole Gesù da noi quando ci dice di essere «perfetti»? Di quale perfezione ci sta parlando? Di una perfezione morale? Come potremo raggiungerla, noi che siamo deboli e peccatori? Di una perfezione giuridica? Non ci interessa essere una potenza tra le potenze! Di una perfezione estetica? Dovremmo leggere quello che ha scritto Kierkegaard sulla dimensione «estetica» dell’esistenza!

A ben vedere, in questo il Vangelo Gesù ci domanda di essere delle persone «compiute». Come lo è stato lui, quando dalla Croce disse: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30): ossia tutto è stato donato, tutto è stato offerto. Noi siamo «perfetti come il Padre» quando, imitando Gesù sulla croce, andiamo sino in fondo nell’amore e non tratteniamo niente per noi stessi; siamo «perfetti come il Padre» quando nell’amore non rimaniamo a mezza strada ma, come il Buon Samaritano della parabola, la attraversiamo per intero e ci facciamo «prossimi» a chi soffre; a chi, caduto fuori strada, non può rialzarsi da solo. Ha, dunque, ragione san Luca quando, nella sua versione della parola di Gesù, traduce: «Siate misericordiosi come il padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Il misericordioso è chi, preso da compassione per l’altro, s’incammina verso di lui e gli si avvicina in modo da essergli «prossimo». Misericordes sicut Pater! Proprio come cantiamo nell’inno giubilare.

«Misericordiosa», ad esempio, lo fu una giovane donna ebrea: Etty Hillesum, morta in un campo di sterminio nazista. Un anno prima della sua morte, dialogando con Dio scrisse sulle pagine del suo diario: «Ti ringrazio perché lasci che tante persone vengano a me con le loro pene: parlano tranquille e senza sospetti, e d’un tratto viene fuori tutta la loro pena, e si scopre una creatura disperata che non sa come vivere. E a quel punto cominciano i miei problemi. Non basta predicarTi, mio Dio, non basta disseppellirTi dai cuori altrui. Bisogna aprirTi la via, mio Dio […]. A volte le persone sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per corridoi e stanze, ogni casa è arredata in modo un po’ diverso ma in fondo è uguale alle altre, di ognuna si dovrebbe fare una dimora consacrata a Te, mio Dio. Ti prometto, Ti prometto che cercherò sempre di trovarTi una casa e un ricovero. In fondo è una buffa immagine: io mi metto in cammino e cerco un tetto per Te» (Diario, Adephi, Milano 2012, 757). Questa donna era una «buona samaritana». Un po’ all’incontrario, però, come sanno esserlo soltanto gli ebrei. Al «ricovero», infatti, questa donna vuole portare Dio stesso, perché egli abita nell’intimo di ciascun uomo; soprattutto quando è «una creatura disperata che non sa come vivere».

4. Penso, carissimi, che il brano che ho appena letto possa darci l’ossatura per un buon programma di pastorale misericordiosa. Quali sono i suoi atti fondamentali? Anzitutto accogliere («lasci che tante persone vengano a me con le loro pene»). È la prima azione della misericordia. Dice Gesù: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi …» (Mt 11,28). La seconda azione è ascoltare: con pazienza e con umiltà perché prima o poi «d’un tratto viene fuori tutta la loro pena, e si scopre una creatura disperata che non sa come vivere». Quante volte questa «creatura disperata» viene fuori! E allora occorre fare il pieno di speranza. Non di illusioni, ma di speranza.

C’è poi una immagine che è, direi, tutta femminile: «le persone sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per corridoi e stanze …». A questa azione della pastorale misericordiosa darei il nome di discernimento. Non potremmo riconoscere in ciò che E. Hillesum scrive la prima opera di misericordia spirituale, che è «consigliare i dubbiosi»? Ci sarebbe davvero tanto da riflettere, ma desidero indicare l’ultima azione di questa singolare pastorale misericordiosa che è cercare una casa per il Signore: «io mi metto in cammino e cerco un tetto per Te»! Questa donna è davvero singolare: esplora il cuore dell’altro, ma chi deve abitarvi è un Altro.

È Dio. Questa donna ha la consapevolezza di doversi mettere da parte, di dovere semplicemente preparare un posto … Ella vede tutto ciò come una «buffa immagine», ma sono quelle scelte grandi, che solo chi è «piccolo» è capace di fare.

Adesso concludo, miei cari. A voi sacerdoti confido che l’ultimo gesto descritto da E. Hillesum («cerco un tetto per Te») mi rassomiglia tanto a quello che compiamo noi, ministri del Signore, quando, dopo avere distribuito il Pane eucaristico, riponiamo quello che è rimasto nel tabernacolo. E il Signore è lì: in quella casa, in quel ricovero. Termini così la nostra giornata sacerdotale.

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ultimo aggiornamento 21 marzo, 2016