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P. Antonio Garofalo, fam

 

La pecora perduta (Lc. 15, 4-7)

«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.

 

La parabola della pecora smarrita e ritrovata viene di solito, per motivi di brevità, indicata unicamente con l’aggettivo "smarrita". Eppure, nell’intenzione di Gesù, c’era sicuramente la volontà di sottolineare un altro aspetto, ossia il comportamento del pastore e la gioia del ritrovamento. Il brano si colloca nel contesto delle parabole del capitolo 15, e per essere correttamente compresa, deve essere "vista" nella sua prospettiva complessiva, e non deve essere isolata dal contesto di tutto il capitolo di Luca.

Nel proporre le parabole Gesù si ispira alle situazioni di vita dei suoi contemporanei. Questa volta prende spunto da un uomo che possiede un gregge numeroso: cento pecore. Si potrebbe pensare che la perdita di una pecora non abbia molta importanza per il pastore, invece, egli abbandona le altre novantanove per andare in cerca di quella smarrita. Trovatala non la bastona né le rompe le zampe, secondo la consuetudine, per evitare che si perda di nuovo come farebbe uno che non ama le proprie pecore e pensa solo ai suoi interessi, anzi, se la mette sulle spalle e, tutto contento, la riporta a casa, rallegrandosi con gli amici per il suo ritrovamento.

Dio ha un amore totale per ogni singolo e la perdita di uno lo ferisce perché ognuno è parte di sé.
Ognuno ha un valore incommensurabile agli occhi di Dio.
Non smette di cercare “finché non la trova”.

Questa stupenda parabola descrive la gioia del "buon pastore" quando ritrova la pecorella smarrita; una chiara risposta di Gesù a coloro (Scribi e Farisei) che "mormoravano" perché accoglieva e rivolgeva la sua "Parola" anche ai peccatori, "liberandoli" dalla durezza di una religione che s’imponeva come giudizio e non come misericordia. Gesù, con la sua condotta e le sue parole, ricorda quello che da sempre è l’autentico comportamento di Dio nei confronti degli ultimi e di coloro che erano considerati peccatori, e lo spiega attraverso una parabola, con un’immagine comune che tutti potevano facilmente comprendere. Il racconto della parabola si svolge nel deserto, luogo di morte e di solitudine dove è importante rimanere "in gruppo"; per questo il pastore, prima di allontanarsi a cercare la pecorella smarrita, lascia le altre al sicuro nel gruppo dove si sentono protette e sostenute. Il deserto è il luogo dell’insicurezza dove l’uomo, anche il più forte, rischia la perdita della sua sicurezza interiore; è per tradizione il "posto del diavolo" (colui che disperde), dove l’uomo è "messo a nudo".

Già nell’A.T. Dio si era paragonato a un pastore: "Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnelli sul petto e conduce pian piano le pecore madri" (1). Dopo aver rimproverato i capi del popolo: "Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati" (2), Dio promette: "Radunerò io stesso il resto delle mie pecore" (3). In Ezechiele troviamo lo stesso concetto: "Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e le farò riposare... Andrò in cerca della pecora perduta, e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata..." (4).

Dio vuole essere non soltanto Dio ma Padre, dire “Padre” significa raggiungere la ragione di una proprietà intima, poiché è manifestare che Dio ha generato e che quindi ha dei figli, “Padre” è dunque in certo qual modo il nome più vero di Dio, il suo nome proprio per “eccellenza”.

Dio è come il pastore, a lui stanno a cuore tutte le pecore, una a una. Se ne manca una sta male, va in angoscia, come se difettasse qualcosa di sé. Dio ha un amore totale per ogni singolo e la perdita di uno lo ferisce perché ognuno è parte di sé. Ognuno ha un valore incommensurabile agli occhi di Dio. Non smette di cercare "finché non la trova".

Gesù è stato inviato dal Padre proprio per andare in cerca delle pecore smarrite (che rappresentano quanti si allontanano da Dio), per questo si intrattiene con i peccatori. Agli occhi di Gesù non c’è situazione disperata per nessuno, la salvezza che egli è venuto a portare è per tutti. E però necessario riconoscersi peccatori, bisognosi di lui e del suo perdono. Gesù è venuto proprio per richiamare i peccatori alla conversione. I farisei che si ritengono giusti e quindi sicuri della salvezza, considerata come una ricompensa per le loro opere, rifiutano il messaggio di Gesù. La conversione è dono di Dio: è lui che cambia il cuore, però richiede la risposta dell’uomo. Siccome Dio non si compiace della morte del peccatore, ma desidera che viva, la conversione è fonte di gioia.

Anche la Madre Speranza è su questa linea quando scrive nell’ordine delle nostre relazioni con Dio: "Care figlie, consideriamo Gesù porta di salvezza e buon Pastore. Il nome di porta attribuito a Gesù indica la norma della nostra condotta per salvarci, dato che, essendo Egli la porta e non potendo passare se non chi nella misura è proporzionato ad essa, noi non possiamo entrare se alziamo la testa per la superbia, ma solo se siamo umili. In essa sta la salvezza perché non c’è porta più sicura per salvarci che l’umiltà di Gesù Cristo, dal momento in cui si umiliò, e Dio quindi lo innalzò. Si entra per essa imitando la vita di Gesù e avendo la mente fissa in Lui. Ciò è detto nelle seguenti parole: "Io sono la porta; se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo". In Lui, figlie mie, è la vita e vita in abbondanza. Egli si annichilò per darci la vita dell’anima e per farci crescere sempre più in questa vita mediante la nostra collaborazione. Gesù Cristo è il buon Pastore che pascola il suo gregge, le sue pecore. Egli possiede del buon Pastore le due condizioni indispensabili: conoscere le proprie pecore e dare la vita per esse."

Nei tempi di oggi è necessario riscoprire e prendere coscienza che Dio è il Pastore Bello, Dio è nostro Padre, è Amore Misericordioso, buono e premuroso, che ama stare con i suoi figli; essere stimolati a vivere questa meravigliosa realtà significa attingere alla sorgente di acqua viva, zampillante, eterna, che si chiama Amore Misericordioso. Dio vuole essere non soltanto Dio ma Padre, dire "Padre" significa raggiungere la ragione di una proprietà intima, poiché è manifestare che Dio ha generato e che quindi ha dei figli, "Padre" è dunque in certo qual modo il nome più vero di Dio, il suo nome proprio per "eccellenza". Essendo Padre, il suo amore non viene mai meno: è "misericordioso", poiché la caratteristica della bontà di Dio è di "donare i suoi benefici a coloro che egli ama".

La pecora che lascia il gruppo e si perde nel deserto è l’immagine dell’anima che si è "staccata" dall’amore del suo Pastore, e si è inoltrata nell’indistinto e nell’isolamento; una separazione che facilita il dubbio e l’angoscia e predispone il sopravvento del "demonio", perché l’uomo che si stacca dal Padre cerca disperatamente altre sicurezze che possono portare alla completa perdita di se stesso. Nonostante questo, l’uomo rimarrà per sempre l’oggetto dell’amore di Dio, come una pecora sarà sempre di un valore enorme per il pastore che, per questo, lascia le altre novantanove da sole al sicuro per cercarla nel deserto.

Il Dio che Gesù rivela attraverso questa parabola manifesta un amore forte, quasi possessivo; egli è il Dio "geloso" dell’Antico Testamento, che non vuole rassegnarsi a perdere chi rappresenta per lui un grande valore, perché parte integrale del suo gregge e del suo amore; un Dio che al tempo stesso evidenzia anche una cura e una preoccupazione materna, perché da solo, nel "deserto", separato da lui, qualsiasi uomo è in pericolo e può essere perso per sempre.

Possiamo anche sbattere la porta di casa per fuggire alla ricerca di nuove sensazioni, allontanarci, perderci, rimanere schiavi dei nostri stessi sbagli, ma Dio non ci abbandona al nostro destino.

In questo comportamento di Dio emerge il suo amore e la sua sofferenza (se cosi si può dire); egli, in un certo senso, si sente tradito e soffre perché, per lui, la perdita di un’anima è sempre una sconfitta, e per questo cercherà sempre di ricondurre all’ovile ogni pecora smarrita. Per trovare la pecora smarrita il pastore deve ripercorrere nel deserto lo stesso cammino pieno d’insidie e pericoli "entrando" nella stessa realtà di solitudine, e rifare la stessa esperienza esponendosi, così, al pericolo della morte e al rischio del non ritorno. Anche Dio con l’Incarnazione del Verbo è entrato nel deserto dell’esperienza umana alla ricerca dell’uomo peccatore; egli "abbracciando" la condizione umana, in Cristo, ha lasciato la sua gloria per condividere la prova del "deserto" dell’uomo, e per andarlo a ritrovare proprio là dove più grande era il pericolo.

Qui contempliamo una misericordia senza limiti di Dio. Ognuno di noi, deve fare i conti ogni giorno con le proprie fragilità e i propri limiti, ma possiamo sempre contare sull’amore smisurato di Dio. Possiamo anche sbattere la porta di casa per fuggire alla ricerca di nuove sensazioni, allontanarci, perderci, rimanere schiavi dei nostri stessi sbagli, ma Dio non ci abbandona al nostro destino. Anzi, più prendiamo le distanze da Lui e più ci cerca. Colui che è stato da sempre pensato in termini di onnipotenza, di inavvicinabilità e di giustizia, vive invece all’insegna di un amore folle, perché è, prima di tutto e soprattutto, Padre!

Sembra di riascoltare le parole del nostro carisma: ""Dio è un Padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e rendere felici i propri figli; li cerca e li insegue con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro; l’uomo il più perverso, il più miserabile ed infine il più perduto è amato con tenerezza immensa da Gesù che è per lui un Padre ed una tenera Madre".

Ancora una volta Cristo rivela il volto del Padre in un modo incomprensibile a chi ha il cuore indurito e non si apre alla misericordia divina. Il comportamento di un tale Pastore è paradossale fino all’assurdo di lasciare 99 pecore per cercarne una smarrita. La gioia del pastore per il ritrovamento della pecora smarrita è la gioia di Dio che ha ripreso possesso dell’oggetto del suo amore; una gioia intimamente legata alla sua realtà di Padre e Creatore. Dio è felice di essere un Padre che dona gratuitamente il suo amore accogliente; una gioia così traboccante che non può che essere condivisa. Dio vuole la salvezza individuale di tutti gli uomini; non gli è sufficiente un numero, più o meno, considerevole di eletti, perché la sua volontà salvifica vuole coinvolgere ogni sua creatura. Se vi fosse anche una sola anima da salvare, la sua provvidenza cercherebbe ogni mezzo per renderle possibile questo ritorno, ed è per questo che il Verbo si è fatto uomo.

Così scrive ancora la Madre Speranza nel suo commento a questo brano evangelico: “La pecora perduta è il peccatore che esce dal numero dei giusti, facendosi sordo alla voce del buon Pastore, abbandonando i pascoli dei sacramenti, alimentandosi del cibo velenoso del mondo

Cristo è veramente il Buon Pastore che conosce per nome ognuna delle sue pecorelle, e la sua missione di ricondurre all’ovile le pecore perdute d’Israele (l’intera umanità) è ora demandato ad ogni vero cristiano; egli si è chinato in particolare verso gli umili ed i peccatori, ai quali ha offerto i tesori del suo amore misericordioso affinché ritrovassero la salvezza in Dio.

Così scrive ancora la Madre Speranza nel suo commento a questo brano evangelico: "La pecora perduta è il peccatore che esce dal numero dei giusti, facendosi sordo alla voce del buon Pastore, abbandonando i pascoli dei sacramenti, alimentandosi del cibo velenoso del mondo e bevendo le acque fangose delle cisterne screpolate della terra. Egli finisce così nelle fauci dei lupi infernali che vagano rabbiosi cercando di sbranare le pecore del buon Pastore. Gesù mostrò la sua infinita carità mettendosi alla ricerca della pecora perduta e lasciando nel deserto le novantanove ben custodite, cioè, scendendo dal cielo sulla terra, percorrendo un lungo cammino e sopportando molte sofferenze per cercare i peccatori. Gesù ci mostra la sua infinita carità anche nel momento in cui incontra la pecora smarrita, perché non la percuote con la verga, né la trascina, ma la pone sulle sue spalle. Egli infatti non fugge dalla presenza del peccatore, se questi non fugge da Lui. L’amore di Gesù come buon Pastore chiede, figlie mie, il nostro amore, la nostra fiducia e la virtù della speranza. Ricordiamo che alla salvezza, alla felicità infinita non arriveremo se non attraverso la porta che è Gesù, e con l’umiltà, unico mezzo necessario."

Madre Speranza era veramente immersa in questo amore di Dio per la sua creatura, in questa "presenza" continua che non ci lascia mai, scriveva ancora: "Cosa dobbiamo fare per incontrarci con Dio? Certo, non è necessario affaticarsi molto, girando qua e là. Egli si trova sempre molto vicino a noi." e ancora: "Contempliamolo dentro di noi, dato che il nostro cuore può arrivare ad essere un tabernacolo vivente. Se lo invitiamo a rimanere, con la certezza che Egli porrà la sua dimora nel nostro povero e miserabile cuore, allora vivremo sotto il suo sguardo e il suo influsso. Lo adoreremo e insieme a Lui lavoreremo per la santificazione nostra e del nostro prossimo."

Solo Dio ha compassione di noi, solo lui ha il coraggio di venire a cercarci, solo Dio è pieno di gioia per averci “ritrovato”, perché è stata accolta la grazia della salvezza.

Nelle sue riflessioni su Gesù Buon Pastore ancora annotava: "Ciò che Gesù ha insegnato in teoria nella parabola del buon Pastore lo concretizza di nuovo sulla croce. Questo episodio manifesta la carità quasi incomprensibile del buon Pastore. Sembra che Gesù schiodi un braccio dalla croce per liberare la povera pecora impigliata fra le spine di un roveto per stringersela al cuore. "Io offro la mia vita per le mie pecore; nessuno me la toglie, io stesso la dono". E nell’ultima cena dice: "Questo è il mio corpo che è dato per voi. Questo è il mio sangue versato per la salvezza di molti e per la remissione dei peccati". (5).

Solo Dio ha compassione di noi, solo lui ha il coraggio di venire a cercarci, solo Dio è pieno di gioia per averci "ritrovato", perché è stata accolta la grazia della salvezza. Questa dunque è l’originalità, l’essenza del nostro carisma: un Dio che non si è ancora stancato di amarci e che non si rassegna al nostro peccato, un Dio che non smette di sognare su di noi: questo è l’Amore Misericordioso! Solo quando cominceremo a conoscere questo Padre e il suo mistero di misericordia, solo quando incontreremo l’Amore Misericordioso: che è Dio stesso, sperimenteremo la gioia di percorrere una via sicura, dove il conoscere e vivere Dio significherà trovare la verità, e la verità ci renderà liberi, liberi veramente.


1 Isaia 40,11

2 Ger. 23,2

3 Ger. 23,3

4 Ez.34,15-16

5 La Passione (1943) (El Pan 7).

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ultimo aggiornamento 13 aprile, 2016