Perché anche noi ci  

Desidero soffermarmi sulla Preghiera Eucaristica della Riconciliazione II. La liturgia ce la propone soprattutto nelle Messe a carattere penitenziale. Il testo è molto bello e profondo e ci invita alla riflessione. La seconda Preghiera Eucaristica della Riconciliazione sottolinea particolarmente la dimensione ecclesiale della riconciliazione. Qui vengono cantate le gesta di Dio che riguardano non il passato ma l’oggi. E questo diventa importante per noi perché si riallaccia con la nostra vita odierna.

(7) seguito

 doniamo ai nostri fratelli

     

Sac. Angelo Spilla

 

Nella Preghiera Eucaristica della Riconciliazione II, continuando nella riflessione, c’è il richiamo all’amore che Dio ha verso ognuno di noi; testualmente, così leggiamo: "Ci riconduci al tuo amore perché anche noi ci doniamo ai nostri fratelli". Una cosa è assai importante da considerare. Partiamo da una verità profonda: Gesù Cristo ci riconduce all’amore di Dio Padre. Dio è amore e noi siamo amati da Dio. Il suo nome è amore. Da sempre ama e noi viviamo in Lui, nel suo amore e per il suo amore. Guardando il volto di Gesù, soprattutto soffermandoci al suo volto sofferente così come ci viene descritto dal Vangelo, un volto di un Dio che si è fatto servo, vediamo innanzitutto il volto di questo nostro Dio "svuotato", di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfr. Fil 2,7 ).

 

Dio ha tanto amato il mondo propriamente così; comprati a caro prezzo. Per comprenderlo basta fare un confronto. Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. Dio - che è "l’essere di cui non si può pensare il maggiore", come diceva Sant’Anselmo, il "Deus semper maior" di sant’Ignazio di Loyola - diventa sempre più grande di sé stesso abbassandosi. Per potere vedere il suo volto dobbiamo, dunque, abbassarci. Ma non solo. Ed eccoci al contenuto del testo della Preghiera Eucaristica: "Perché anche noi ci doniamo ai nostri fratelli". È il comandamento del cristiano: l’amore a Dio e l’amore verso i fratelli. Non si può amare Dio senza amare i fratelli. Due comandamenti che formano un tutt’uno. Tutta la Sacra Scrittura ci dà questa testimonianza: chi ama l’uomo incontra Dio. La contrapposizione fra l’amore per l’uomo e il culto a Dio è fondata su miti pagani, non deriva dal vangelo. Ricordiamo la storia di Prometeo. Amico degli uomini, Prometeo aveva insegnato loro i numeri, le lettere, l’arte di addomesticare gli animali, l’agricoltura, la navigazione, la lavorazione dei metalli. Era salito sull’Olimpo per rubare il fuoco agli dèi e portarlo sulla terra, per questo Zeus lo aveva fatto incatenare a una roccia del Caucaso e aveva ordinato ad uno avvoltoio di dilaniargli eternamente la carni. Così il signore degli dèi sfogava il suo rancore contro colui che, per aver beneficato gli uomini, si era inimicato i numi. Nulla è più contrario al messaggio biblico. Qui ogni promozione, ogni crescita dell’uomo realizza il progetto di Dio. Ci ricorda, infatti, san Giovanni: "Se uno dicesse: ’Io amo Dio’, e odiasse il proprio fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello" (1 Gv 4, 19-21). Quindi l’amore a Dio e l’amore al prossimo non sono da intendersi in maniera separata o, peggio, in contrapposizione. Amare Dio non significa sottrarre qualcosa all’uomo per darlo a Dio. Erano gli dèi pagani che avevano creato gli uomini per essere da loro serviti mediante offerte, sacrifici, prostrazioni. Il Dio di Gesù Cristo non ha mai chiesto nulla per sé; anzi è lui che si pone a servizio del­l’uomo, fino a chinarsi per lavargli i piedi e chiede anche a noi di fare altrettanto: "Se Dio ci ha amato anche noi dobbiamo amarci altrettanto"(1Gv 4, 11). Amare Dio significa, quindi, assimilare i suoi sentimenti nei confronti dell’uomo, significa amare i nostri familiari, i bisognosi, i poveri, gli immigrati, le persone simpatiche e non, chiunque incontriamo. Questo perché l’amore per l’uomo è amore rivolto a Dio, perché è diretto alla sua immagine. Siamo nell’Anno Santo della Misericordia. Ricordiamo la parabola del buon samaritano. Qui Gesù ci da un grande insegnamento. Non è necessario chiederci chi è il nostro prossimo quanto, invece, farci prossimo. Ciò che ci colpisce nel samaritano è il "fare misericordia". È frutto di ciò che unisce la compassione che afferra il samaritano davanti allo spettacolo dell’uomo gravemente ferito e la sua concreta azione di cura. Il nostro riferimento è sempre Cristo. L’amore di Cristo non sta di fronte a noi come un modello da imitare o un’opera d’arte da copiare. È dentro di noi e zampilla come una sorgente da cui può nascere un grande fiume.

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ultimo aggiornamento 18 luglio, 2016