esperienze Paolo Risso
"Quando cesserai di puntare il dito":
P.
Francesco Bersini
L
ui non ha mai cessato di puntare il dito, ma in senso contrario a quello contestato dal profeta Isaia (58,9). Il suo puntare il dito non era un atto di accusa, ma il suo modo di stabilire il contatto con chi gli stava davanti, come a dirgli: "Ascoltami, fidati di quanto ti dico. Tu fa’ così!". Un modo di mettere l’interlocutore con le spalle al muro della sua logica implacabile, senza via di scampo né di qua né di là.
"Il Rosario a mezzanotte"
Uno dei suoi più illustri allievi ricorda di averlo conosciuto da giovane nel Seminario dei giovani Gesuiti a Roncovero nel momento di grande entusiasmo dei gesuiti che uscivano dalle aule filosofiche dell’Aloisianum di Gallarate, sotto la guida del P. Dezza. P. Franceso Bersini – questi è l’uomo che cerchiamo di tratteggiare – era arrivato a Roncovero armato di sillogismi e di Fede luminosa e ardente, convinto di convertire tutti stringendoli al bavero dell’evidenza.
Ma il suo ministero piano piano lo convinse che la facoltà di ragionare degli uomini è inceppata spesso da una coltre di sentimentalismi irrazionali, e nel suo "puntare il dito" per fare chiarezza, presto dovette tenere conto della fragilità dei giovani e degli adulti. Ma questo gli fece crescere la fede in Gesù, il suo abbandono a Lui, la certezza che nonostante tutto, Lui conduce le anime alla verità.
A Roncovero gli fu affidata la cura dei "seminaristi apostolici", nell’epoca d’oro della scuola apostolica, con gli indimenticabili Padri Marcolini, Salvestrini e Guaita. P. Bersini con la sua dialettica persuasiva amava molto colloquiare con i suoi giovani più intelligenti, fino a stabilire con loro uno stile "peripatetico" sulla scia dei filosofi dell’agorà di Atene.
Terminata la scuola o il pranzo, li bloccava a ragionare, con San Tommaso alla mano. Anche chi era molto intelligente e dedito con passione agli studi come l’allievo già citato, spesso preferiva svignarsela per giocare a pallone. Ma P. Bersini restava l’immagine della Verità, indagata, professata, annunciata, sempre "raptus amore indagandae Veritatis".
Un giorno, con costui (oggi più che novantenne, per tutta la vita magister Veritatis, come il Bersini), puntò il dito a tu per tu, gli lesse un lungo brano di S. Tommaso. L’altro fiutò la trappola, ma non c’erano vie d’uscita. Alla fine gli chiese: "Hai capito?". Non trovando nelle tasche la risposta. Gli disse: "Ho capito tutto!". Era una bugia per mettersi in salvo, ma occorreva pure riconoscere che il Padre aveva cura della mente e del cuore dei suoi allievi, certo che chi non professa e non conosce abbastanza a fondo la Verità, è destinato al fallimento.
Ma sì, era filosofo e teologo e moralista e giurista, ma soprattutto era figlio di S. Ignazio di Loyola, quindi un grande uomo di fede, capace di farsi piccolo come i bambini, ai quali di preferenza Gesù rivela i misteri del Regno. Così, senza dimenticare i sillogismi, nessuno si stupiva dal sentirlo dire, sempre puntando il dito: "Se a mezzanotte, stanco dalla fatica, ti ricordi di non aver detto il Rosario alla Madonna, tu non coricarti senza averlo detto".
Questi era il P. Bersini, gesuita tutto d’un pezzo, diritto come un fuso, o se più vi piace, come un razzo, senza ripiegamenti né fumo inutile.
Capitano di lungo corso
Era nato a Brescia il 12 dicembre 1915, quando già l’Italia bruciava per la guerra e lui non era molto lontano dalle operazioni di guerra. Giovanissimo, nel 1933, entrò nella Compagnia di Gesù per frequentare il Liceo all’Istituto Arici di Brescia. Nel 1934, iniziò il noviziato a Lonigo. Nel 1937, all’Aloisianum di Gallarate iniziò e completò gli studi filosofici, Lì apparve evidente il suo amore e la sua passione d’amore per Gesù e la sua vocazione agli studi, all’insegnamento, alla guida delle anime.
Nel 1943, come dicevamo, poc’anzi, fu inviato a Roncovero come educatore dei seminaristi apostolici. Quindi fece teologia a Chieri (Torino) e la terza probazione a Triuggio. Nel 1948, a 33 anni, P. Francesco fu ordinato sacerdote e mandato a fare da guida spirituale agli alunni dell’Istituto Leone XIII di Milano. Nel 1952, fu inviato all’Arici di Brescia, sempre come guida spirituale tutto incentrato in Gesù, sulle orme di S. Ignazio, in un momento in cui la Compagnia, ancora lontana dalle ambiguità del modernismo (la "nouvelle theologie!") era fiorente di vita e di speranze.
Ormai noto e stimato in tutta la Compagnia, nel 1955 giunse all’Aloisianum come "padre ministro" di una grande comunità di cento studenti di filosofia sotto la guida di un corpo docente qualificato. Anni d’oro dell’Aloisianum! E lui, davvero diventato "capitano di lungo corso" nella Compagnia, di Gesù per 70 anni, sino alla morte.
A Piacenza, superiore della comunità (1956-1962), si sentì chiamato a occuparsi dei giovani studenti e per loro diresse la Casa dello studente per quelli che confluivano in città per frequentare le scuole. Poi per cinque anni, (1962-67), di nuovo all’Aloisianum, come parroco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù. Un’attività da stupire, ma anche una preghiera, una vita interiore da incantare, della quale lascerà traccia nei suoi libri.
Nel 1967, inviato nella casa di esercizi di Reggio Emilia, iniziò l’attività di consulente e poi di avvocato al Tribunale ecclesiastico per le cause matrimoniali. Brillò per la sua mentalità giuridica, di pensatore tomista, lucido e essenziale. Nel 1975, passò, in questa veste, al Tribunale ecclesiastico di Padova, dove fece anche il docente di religione e lo scrittore all’Antonianum. Davvero uomo, sacerdote, maestro, guida dal multiforme ingegno. Vi rimase per 27 anni, fino al 2002.
"La sapienza del Vangelo"
In quell’anno, 87 di età, tornò all’Aloisianum con una tosse terribile; ricoverato in infermeria per l’apostolato più fecondo della vita, quello del soffrire e dell’offrire il soffrire con Gesù sulla croce, i confratelli che con lui condivisero quel tempo, lo ricordano mite, umile, paziente, sempre sereno, cosa forse rara per un bresciano puro sangue, figlio della "Leonessa d’Italia".
In quei mesi si preparò a morire santamente. Celebrò la Messa finché ne ebbe forza, appassionato e affamato e assetato di Gesù. Lo si sentiva pregare così: "Mio Signore Gesù, per quell’amarezza di morte che per me hai sostenuto, soprattutto in quell’ora in cui la tua nobilissima anima uscì dal tuo corpo benedetto, ti supplico: abbi pietà della mia anima e conducimi alla vita eterna".
Per alcuni mesi così, con questo stile nella suprema offerta di sé. Due giorni prima di morire, al P. Lorenzo Giordano che gli aveva chiesto se avesse qualche desiderio o bisogno di qualcosa, rispose: "Ho bisogno solo di tanto amore di Dio!". Insomma, come S. Ignazio: "Amorem Tui solum". Andò a vedere Dio il 12 marzo 2003, ma aveva pure lasciato il suo pensiero e il suo stile di vita nel bellissimo libro "La sapienza del Vangelo" (Ancora, Milano, 1997), un vero inno a Gesù, un cammino per trovare Lui e vivere di Lui, definito "l’Imitazione di Cristo del XX secolo".
Nella presentazione sta scritto:
"Tieni caro questo libro, è stato scritto in ginocchio. Sia per te come un consigliere, un amico, un annunciatore di speranza. Leggilo, meditalo, diventi tua norma di vita. Tra le tenebre del mondo, le sue pagine faranno brillare davanti al tuo spirito la luce della fede, ti indicheranno il sentiero della vita e ti insegneranno la via della Sapienza".
La Sapienza che è Gesù Crocifisso, come scrive P. Francesco Bersini, citando S. Tommaso d’Aquino: "Che gran libro è il Crocifisso. È maestro di tutte le virtù. Il Crocifisso è il libro più sapiente che tu possa leggere. Se tu conoscessi tutti gli altri libri, ma non Gesù Crocifisso, rimarresti nell’ignoranza". Noi vogliamo sapere molte realtà, ma ciò che davvero importa e non viene mai meno è conoscere Gesù e Gesù Crocifisso.
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ultimo aggiornamento
10 novembre, 2016