la parola dei padri S. Giovanni Crisostomo
Hai capito quanto è grande la clemenza del Signore?
C
ominciando l’anno 387, ad Antiochia, alcuni facinorosi frantumano le statue dell’imperatore Teodosio, l’atto è interpretato come un delitto di ribellione e lesa maestà, la reazione del governatore imperiale è immediata e terribile, il popolo teme la totale distruzione della città, i cristiani si riversano in chiesa per scongiurare il Signore di allontanare il pericolo. San Giovanni Crisostomo parla al popolo per calmare il terrore ed ispirare confidenza nell’aiuto di Dio. Alcuni brani di queste prediche sono molto adatti alla nostra vita spirituale, leggiamoli per scaldare il nostro animo ai forti sentimenti di uno dei più grandi Padri della Chiesa.
Iº De statuis, homilia 3, ed. Dubner, vol. I, pag. 375.
Ecco, un uomo è stato ingiuriato, e tutti, sia gli offensori sia noi che non siamo colpevoli di niente ci siamo impauriti e tremiamo. Dio ogni giorno viene ingiuriato, ma che dico ogni giorno? Ma piuttosto ogni ora, dai ricchi e dai poveri, da chi tripudia e da chi piange, da chi offende e da chi è offeso, e nessuno ci fa grande caso.
Dio permise che fosse ingiuriato un nostro simile, perché tu possa comprendere la benignità del Signore, dal momento che da una tua offesa ad un uomo è nato un così grave pericolo.
Questa offesa all’imperatore fu la prima e l’ultima, eppure temiamo di non ottenere scusa o perdono, e noi ogni giorno irritiamo Dio, non ci convertiamo mai, ed Egli ci sopporta ancora con una totale longanimità.
Hai capito quanto è grande la clemenza del Signore?
Inoltre coloro che hanno commesso questo fallo furono catturati, rinchiusi in carcere ed uccisi, tuttavia noi abbiamo ancora paura, infatti l’imperatore offeso fino a questo momento non ha saputo gli avvenimenti e non ha proferito la sentenza, per questo tremiamo tutti; ma Dio ogni giorno vede le ingiurie scagliate contro di sé, e dinnanzi a tale esempio di mansuetudine e clemenza nessuno si converte.
Infatti nei riguardi di Dio basta confessare il peccato, e il delitto viene cancellato, invece per gli uomini è completamente il contrario: quando coloro che hanno mancato sono rei confessi, allora vengono puniti di più, come è avvenuto anche adesso.
Da ciò non capite quanto sia ineffabile, quanto sia infinita la misericordia di Dio? Come essa superi ogni discorso?
L’imperatore che è stato offeso è della medesima nostra natura, e questa sola volta da quanto mi ricordo, ha ricevuto tale ingiuria, e non stava qui, né era presente, né vide e sentì, e tuttavia nessuno dei colpevoli ottenne il perdono!
Di Dio invece, non è possibile dire niente di ciò: in questo caso c’è tanta differenza tra il comportamento di Dio e quello dell’uomo che nessuno a parole la può descrivere.
Ogni giorno viene offeso, mentre è presente e vede e sente, eppure ancora non ci ha fulminati, né comandò al mare di inondare la nostra terra e sommergerci tutti, né alla terra ingiunse di aprirsi ed inghiottire i temerari; invece ci tollera, è longanime, e promette di concedere il perdono agli autori delle offese, basta che si convertano e promettano di non commettere più tali falli.
Davvero è tempo di gridare: «Chi potrà ridire le potenti opere del Signore, predicare tutta la sua lode?» (Salmo 106,2)
IIº De statuis, homilia 14, ed. Dubner, vol. I, pag. 475.
La giornata di ieri ha turbato non poco la nostra città, ma Dio ci ha di nuovo non poco alleviato, di modo che ciascuno di noi possa ripetere quel detto del profeta:
«Quando gli affanni mi si affollano in cuore, le tue gioie mi rallegrano l’anima» (Salmo 94,19)
Infatti Dio ha mostrato la sua provvidenza, non soltanto consolando gli affanni, ma anche permettendo i nostri turbamenti.
Non ho mai cessato di dirla, e oggi proclamerò di nuovo questa verità: che dalla benevolenza di Dio dipende non solo il dileguarsi dei dolori, ma anche il permesso delle nostre tribolazioni. Quando infatti ci vede abbandonati al torpore, lontani dalla sua amicizia, indifferenti alle cose spirituali, Egli ci abbandona un poco, perché così castigati noi ritorniamo a Lui con maggiore affetto. E perché ti meravigli se, quando diventiamo tiepidi, ci tratta così, dal momento che questa era la causa delle tentazioni di Paolo e dei suoi discepoli, secondo quando l’apostolo stesso ci dice?
Infatti mandando ai Corinti la seconda lettera, così scriveva: «O fratelli, a riguardo della tribolazione da noi sofferta in Asia, non vogliamo che voi ignoriate che ci ha abbattuti in modo estremo, superiore alle nostre forze, tanto che disperavamo di poter vivere ancora, ma avemmo in noi stessi la sentenza della morte» (2 Cor.I,8-9)
Come se dicesse: così grandi pericoli ci sovrastarono che disperammo di vivere, e non ce la sentivamo più di confidare in un benefico rivolgimento della situazione, anzi non ce lo aspettavamo proprio più; questo significano quelle parole: «Avemmo in noi stessi la sentenza della morte».
Ma finalmente dopo una così terribile disperazione, Dio calmò l’uragano, scacciò le nubi, e ci mise in salvo proprio quando stavamo per essere inghiottiti dalla morte.
Quindi Iddio, pur facendoci incappare in un pericolo tanto grande, era stato sempre provvidente in modo copioso; l’apostolo volendo dimostrare ciò, ricorda il guadagno venuto dalle tentazioni: cioè il non gonfiarsi o insuperbire, ma confidare assiduamente in Dio.
Perciò dopo aver detto: «Avemmo in noi stessi la sentenza della morte», ne aggiunge il motivo. E quale è questo motivo? «Affinché non siamo confidenti in noi stessi, ma piuttosto nel Dio che risuscita i morti» (2 Cor.1,9).
Le tentazioni infatti sogliono svegliare i dormienti, e scuotere i caduti, rendendoli più delicati di coscienza.
Dunque quando ti sembra, o carissimo, che la tentazione una volta spenta, ora di nuovo si riaccenda, non perderti d’animo né disperare, devi nutrire piuttosto una buona speranza, ragionando tra di te che Dio non ti odia né ti respinge, bensì ci consegna in balia dei nostri avversari, perché vuole renderci più affezionati e maggiormente a sé familiari.
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ultimo aggiornamento
12 aprile, 2017