Non desiderare i beni del tuo prossimoI COMANDAMENTI (11)
Sac. Angelo Spilla
Il decimo e ultimo comandamento del decalogo recita così:"Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo" (Dt 5,21).
Partiamo fin da subito da una constatazione. Leggiamo qui, da questo versetto, il riconoscimento della proprietà privata e la sfera privata di una persona.
In Israele fin dall’antichità non solo veniva riconosciuto ciò ma veniva pure praticata l’ospitalità, nel senso che i propri beni potevano essere condivisi con gli altri, allorché, però, che si veniva garantiti e protetti. Si chiedeva che venisse assicurato cioè lo spazio di sicurezza per condurre la propria esistenza senza che gli altri potessero privare la persona della sua proprietà.
Questo comandamento potremmo intenderlo come completamento del settimo comandamento "non rubare", che tocca l’argomento di qualcosa che è proprietà altrui. Mentre lì si condanna il furto, qui si vieta di impadronirsi delle cose appartenenti agli altri. E si fa riferimento, come nel comandamento precedente, al desiderio; a quel desiderio smoderato, pronto a mettere in atto ogni espediente pur di raggiungere lo scopo.Questo comandamento intende proteggere, quindi, la vita della persona, ovvero la casa ove ci si sente a proprio agio. Per questo il riferimento alla casa, campo, bue, asino, ecc… Non si può essere privati della propria casa, spazio vitale della vita propria e della famiglia a cui si appartiene, simbolo dell’esistenza, neppure del "campo" che rappresenta la condizione per la sopravvivenza del proprietario; lo stesso vale per i collaboratori domestici che lavorano per il proprietario (una volta si trattava di schiavi e schiave). Anche il bue e l’asino: stanno a significare non solo le bestie da lavoro ma anche gli animali che forniscono latte e carne per il sostentamento del proprietario.
È il comandamento questo che ci fa capire come i precetti divini sono decisivi in ordine a una serena convivenza sociale e rafforzano la benefica percezione di ciò che è mio e di ciò che appartiene agli altri. Con ciò comunque non si esclude il comando di soccorrere ed aiutare chi è nel bisogno o privo di beni.
Qui il comandamento di Dio si rivolge ai desideri legati non alle necessità, ma all’invidia, all’ingordigia del possesso, all’avidità e alla cupidigia che portano di conseguenza all’infelicità e all’odio. Fa riferimento alle manovre affettive per impossessarsi dei beni del prossimo.
È il comando a rivedere il cuore dell’uomo che non trova più ad intravedere i beni più alti, quelli spirituali, diventando invece schiavi del possedere e del godere, senza badare alla propria ed altrui dignità, né al bene della società, né a Dio stesso. Apprendiamo da San Giovanni Paolo II che ci ricorda: "La libertà è difficile, bisogna impararla, bisogna imparare a essere veramente liberi, bisogna imparare ad essere liberi in un modo tale che la nostra libertà non diventi la nostra schiavitù, la nostra prigionia interiore, e che non diventi motivo per limitare la libertà altrui. Questo fatto grava molto sulla sfera dell’economia mondiale… Imparate la verità del decimo comandamento. Il desiderio delle cose è la radice dell’egoismo, e persino dell’invidia e dell’odio reciproci" (7/6/1991). L’invidia toglie la pace, fa perdere la stima degli altri e non permette di godere la comunione e l’armonia, rende avari, chiude gli occhi alle necessità dei fratelli, fa litigare e odiare.
Dio ci raccomanda di non desiderare a tal punto le cose degli altri da volercene appropriare ingiustamente; a non desiderare il male che porta al peccato e che rovina la nostra anima.
Gesù ci ricorda:"badate di tenervi lontano da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni". Poi racconta la parabola della campagna di un uomo ricco che aveva dato un buon raccolto: "Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio"(LC 12, 15-21).
È il comandamento che ci mette davanti all’invidia sociale, quando ci fanno comprendere che la nostra immagine sociale dipende in gran parte da ciò che acquistiamo. Il ben desiderare, invece, ci porta alla lotta della frenesia consumistica, concentrandoci sull’essenziale. Qui in questo comandamento siamo invitati ad essere riconoscenti di quello che abbiamo, che ci è dato di possedere e di ringraziare il Signore per questo.
Questo ultimo comandamento, al positivo, ci insegna questo: essere riconoscenti per le cose che Dio mi ha donato; riconoscere i propri doni, i propri talenti, essere pronti a farli fruttificare con entusiasmo. Mi libera dall’impulso deleterio che mi spinge a confrontarmi di continuo con gli altri. La riconoscenza mi porta, anche, a rallegrarmi con gli altri e per quanto essi posseggono.
Siamo contenti di ciò che abbiamo, affidandoci sempre a Dio. Si è felici solo quando si comprende di essere nel cuore di Dio.
|
[Home page | Sommario Rivista]
realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggiornamento
08 settembre, 2017