Gli incontri
di Gesù (3)
Gesù incontra il cieco nato
Sac. Angelo Spilla
È l’evangelista Giovanni a riportare l’episodio del cieco nato guarito da Gesù (Gv 9,1-41).
Uscito dal tempio di Gerusalemme, dove ha celebrato la festa delle Capanne, festa autunnale nella quale si invoca l’acqua come dono di Dio per la vita piena, Gesù vede nei pressi della piscina di Sìloe un uomo colpito dalla cecità fin dalla nascita. Qui, a differenza di altri racconti di miracoli, non è il malato ad invocare Gesù e a chiedergli la guarigione, ma è Gesù che passando, vede e discerne un uomo bisognoso di salvezza. Anche i discepoli che sono con Gesù vedono questo cieco ma lo guardano con uno sguardo diverso collegando automaticamente, secondo la dottrina tradizionale, la malattia al peccato:"Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?".
Gesù contraddice questa teoria e guarda la sofferenza e il grido di aiuto in essa presente, dichiarando che quella malattia è l’occasione per il manifestarsi del Dio che interviene e salva.
Quello di Gesù è uno sguardo che dice interesse per la sofferenza umana e volontà di cura conforme al desiderio di Dio.
Ed eccoci alla descrizione del miracolo dove i protagonisti sono essenzialmente tre: Gesù che apre e chiude la narrazione ed è di lui che sempre si parla; gli oppositori, indicati come farisei o giudei; il cieco guarito che rappresenta il credente.
Gesù guarisce il cieco con un gesto insolito: "sputò a terra, fece del fango con la saliva" e poi gli dà un ordine: " Và a lavarti alla piscina di Sìloe", che significa Inviato. Il gesto richiama la creazione (Gn 2,7). Ripete il gesto con cui Dio ha creato Adam, plasmandolo dalla polvere del suolo; è una creazione nuova quella che Gesù compie con quest’uomo.
L’uomo obbedisce a Gesù, l’inviato Dio, va e poi torna da Gesù capace di vedere:"Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva". In appena due versetti ecco la guarigione e costituisce secondo l’evangelista Giovanni non tanto un miracolo ( dynamis) quanto un "segno" (semeìon). La nostra attenzione non si deve legare al fatto in quanto tale; ciò che va cercato è il suo significato e soprattutto chi è all’origine del segno.
Questo fatto compiuto da Gesù scatena un processo contro di lui. Potremmo definirlo processo in contumacia, perché egli non è più presente accanto all’uomo guarito. È suddiviso in quattro scene: ci sono dapprima i vicini, quelli che abitualmente incontravano il cieco e gli chiedono cosa sia veramente accaduto. Seguono altri uomini, attenti alla Legge, che portano il cieco dai farisei affinché giudichino l’operato di Gesù che ha compiuto un tale gesto nel giorno di sabato e che quindi, trasgredendo il precetto del riposo, è un peccatore. Nella terza scena vengono chiamati i genitori dell’uomo guarito per essere interrogati e questi, colti dalla paura, preferiscono non interpretare ciò che è accaduto al loro figlio. Nell’ultima scena i farisei chiamano in causa nuovamente l’uomo guarito per istruirlo sulla solidità della loro dottrina cercando di convincerlo ritenendo di avere l’autorità di discernere che Gesù è un peccatore e che quindi non può fare nulla di buono.
È interessante qui la risposta dell’uomo guarito che arriva anche ad ironizzare:"Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?".
Questo sapere dei farisei, impediti dal riconoscere una novità, prigionieri di questa loro falsa sicurezza, li porta a cacciare fuori dalla comunità degli osservanti fedeli alla Legge, e quindi fuori dalla Sinagoga, il cieco guarito.
Tutto si è svolto senza Gesù, non è intervenuto; ha lasciato che il cieco guarito se la cavasse da solo in mezzo alle difficoltà. Il discepolo illuminato non ha bisogno della presenza fisica del Maestro; gli basta la forza della sua luce per mantenersi solido nella fede e fare scelte coerenti.
Si conclude il racconto evangelico facendo rincontrare Gesù con l’uomo guarito. È sempre Gesù che va a cercarlo, gli pone una domanda:"Tu credi nel Figlio dell’uomo?". E il cieco conclude il suo incontro con Gesù dicendo:"Credo, Signore" e si prostra dinanzi a Gesù.
All’inizio il cieco non sa nulla di Gesù ma fa un percorso di fede che corrisponde a quello di ogni discepolo. L’illuminazione avviene per gradi. Ecco l’approdo alla fede: l’uomo chiamato Gesù (v. 11); il profeta (v.17); uno che viene da Dio (v.33); il Figlio dell’uomo (v.35); è il Kyrios, il Signore (v.38).
Per i farisei Gesù rimane, invece: quel tale, quell’uomo, costui; senza chiamarlo mai per nome. All’inizio del racconto c’era un uomo cieco e molti ci vedevano. Ora la situazione è capovolta.
L’episodio del cieco nato non vuole semplicemente dirci che Gesù è la luce ma ci vuole raccontare anche il dramma della luce, l’esito che essa incontra. Questo incontro ci dice pure il nostro bisogno di aprirci alla luce; ci testimonia che chi è cieco, incontrando colui che è la luce del mondo diventa "capace di vedere". Il cieco è ormai libero, lui ora è un illuminato. Essere ciechi è non aprire gli occhi, non riconoscere la luce di Gesù nel nostro quotidiano.
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ultimo aggiornamento
14 dicembre, 2017