Verso una cultura della misericordia
A cura del CeSAM una serie di
riflessioni sulle sette Opere di misericordia spirituale (2)
Insegnare agli ignoranti
DI GIULIA ONORI Il carattere locativamente ampio delle Opere di Misericordia spirituale è ben osservabile nella seconda di queste: insegnare agli ignoranti.
Sappiamo infatti che a differenza di quelle corporali, desunte da Mt 25, le spirituali non hanno un preciso ed unico brano biblico di riferimento, ma trovano invece posto in atteggiamenti, predisposizioni, inviti disseminati in tutto il Testo Sacro. Ciò diviene particolarmente evidente, come si diceva, per la seconda opera; basti considerare che, nella storia onomastica della Bibbia, il termine ebraico Toràh equivale propriamente ad insegnamento.1
A questa ampiezza di collocazione, che non va a detrimento, bensì è per il cristiano vero e proprio vantaggio, si aggiunge la labilità delle qui intese figure di insegnante, discente-ignorante e del contenuto d’apprendimento.
1. Quale sapienza
Nel chiederci cosa prema insegnare secondo l’opera di misericordia, agli occhi del cristiano può emergere una timida, approssimativa suddivisione in due macrocategorie: 1) le verità della Fede; 2) le scienze concernenti il mondo contingente, ivi comprese natura, umanità e, nella strada che le connette, la tecnica. In realtà, non v’è collisione fra le due, ed una cesura netta comporta il disincanto delle prime ed inutilità delle seconde.
Da una parte, infatti, l’uomo è inserito in un preciso contesto storico e spaziale; ha necessità di esprimersi attraverso un linguaggio per manifestare i propri bisogni primari, ivi compreso il pensiero, il sentimento, il Senso. La sua vita è ritmata da precisi meccanismi biologici intestini ed anche esterni: dallo spazio cosmico e le sue relazioni, al quartiere della sua città nel proprio Stato. Quest’ultimo, adotta delle norme ben precise, forse in una rete internazionale, che scandisce l’organizzazione della vita di ogni singolo: tempi di pensionamento, scuole dell’obbligo, la moneta come merce di scambio.
L’uomo non può dunque prescindere dalla conoscenza dell’ambiente e dalla memoria storica.
Allo sguardo della Fede ciò si fa tanto più vero, in quanto ogni cristiano è chiamato a percorrere le vie del mondo, senza appartenergli.
Per capirlo, si guardi alla storia del reale che la Bibbia testimonia: l’uomo è stato creato in un meraviglioso mondo pensato in sua funzione, di cui viene subito reso custode. Dio conduce a lui ogni sorta di animale, quasi giocosamente curioso di sapere quale nome l’uomo avrebbe attribuito ai suoi compagni.2 In questo primo passaggio c’è già molto: dare un nome nella tradizione ebraica significa guadagnarsi uno stato di proprietà (quante volte il Signore ha "suggerito" il nome dei santi nascituri alle via via particolari coppie di genitori?), ma anche una capacità di lettura dell’essenza. Qui, cioè, l’uomo riceve da Dio una natura che è rimando alla Sua azione, alla Sua cura, ne è traccia; d’altro canto, è invitato a coglierne l’essenza, già d’impatto discepolo del linguaggio divino che guarda alla profondità.
In seguito alla caduta dell’uomo, la corruzione investe anche il mondo naturale: entrambi sottoposti alla caducità, vengono collocati nel tempo. L’uomo non perde la custodia della natura, che anzi viene enfatizzata: deve imparare a conoscerla più a fondo ed in una nuova veste, perché è chiamato a prendersene cura.
Al contempo, Dio Si manifesta in ricorrenti luoghi geografici (alti monti, corsi d’acqua,..); accetta offerte naturali (raccolto, bestiame); la Sua prima rivelazione avviene in un roveto, ad Elia si manifesta nella brezza; i Suoi prodigi si palesano nella natura straordinariamente (come l’apertura del Mar Rosso), ma anche ordinariamente, nel fatto, cioè, che la vita continua ad abitare nel mondo. Tanti sono gli esempi, che la tradizione ebraica sintetizza nel concetto di kabod: letteralmente, la gloria di Dio, ossia la Sua presenza, inabita il mondo, che a sua volta la testimonia e la manifesta.
Giungendo al Nuovo Testamento, questa Gloria presenzia nel mondo nella carne del Cristo e, con segni e prodigi, non lo abbandonerà attraverso la discesa pentecostale. Per di più, come per il peccato, l’opera di Redenzione investe l’uomo quanto il mondo contingente, con la promessa di un futuro eterno, di pace, alla presenza di Dio. Si rinnova così il vigore dell’asserzione del teologo Karl Rahner: «Dio e il mondo sono divenuti una cosa sola»3.
Sullo sfondo del mistero rivelato, dunque, verità di fede e verità naturali s’intrecciano4: l’uomo, pellegrino nel tempo, è attore libero in una storia che si svolge in un preciso, ricco contesto spaziale, attraverso l’azione delle varie culture, che deve conoscere per poter bene amministrare e custodire. Ciò ha diretta ricaduta su se stesso: la storia risente dello spazio e viceversa (rischi ambientali, malattie, che portano a migrazioni, nuove politiche, povertà).
Arriviamo dunque ad una prima certezza: l’uomo deve imparare a custodire e custodirsi. Per farlo, non può prescindere dai due versanti di conoscenza che abbiamo enucleato. La conoscenza delle leggi della natura e delle tecniche utili ad interfacciarvisi è condizione necessaria ma non sufficiente a ben amministrare, e questo ben lo chiarifica uno sguardo, anche rapido, al mondo contemporaneo, dal quale emerge a tinte forti un disequilibrio dell’intreccio conoscitivo a vantaggio delle scienze contingenti ed una sempre maggiore incidenza di disastrosi effetti sull’uomo e sulla natura.
L’uomo, in generale e nella singolarità, ha allora bisogno di praticare un onesto riconoscimento del proprio stato d’ignoranza, non tanto nozionistica quanto del Bene operare, scoprendosi primo beneficiario dell’opera di misericordia in considerazione.
2. Il nostro aiuto viene dal Signore
Alcune piste sembrano venire in soccorso di quest’ignoranza della buona custodia di sé e del mondo.
La prima, anche in forza delle suggestioni della Dei Verbum5, è il confronto con la Parola6. Chiosando, potremmo definire la Bibbia magistra vitae.
L’intero suo corpus si snoda come la storia del dialogo, sempre attuale e in fieri, fra Dio e l’uomo, in cui il Primo insegna a farSi conoscere e riconoscere, a farSi cercare, ponendo nel cuore dell’uomo la ricerca di Senso. In una storia di contatto e cadute, nell’AT l’uomo risponde con l’incessante richiesta della Sapienza, fra il suo travisamento (la bramosia adamitica del frutto, intesa come tentativo di acquisire un’autonomia, anche cognitiva, a tutto campo), al contrappunto della denuncia-annuncio ispirata, che i profeti riservano a quest’atteggiamento e rivolgono alla vera Sapienza. Un’altalena, dunque, fra riconoscimento e disconoscimento del volto di Dio7.
Il NT risponde con un punto fermo, il Dio fatto uomo, che rivela una volta per tutte il significato di Sapienza: amare, come Dio ha amato8; la Sapienza è sapienza del cuore (Sal 89, 12), Verità che vuole edificare l’uomo.
Si può allora pensare alla Bibbia come l’appassionata pedagogia divina dispiegata nel tempo nella storia della relazione fra Dio e l’uomo. Un percorso, cioè, in cui Dio svolge, volta per volta, attuando linguaggi peculiari, un attento lavoro di traduzione e disvelamento del Senso per l’uomo che deve imparare a guardare per vederLo, che deve essere educato al Suo riconoscimento. Questo non secondo un percorso misterico, che gradualmente infonde nozioni, ma nell’appello sempre più concreto ad una conversione del cuore9. Quest’ultimo può rivestirsi di una portata di sguardo capace di vincere la limitatezza della nostra percezione10.
Sullo sfondo, una precisa destinazione: quella di un progresso del mondo che può essere sempre migliorato dall’azione dell’uomo, come ci ricorda Papa Francesco nei numerosi discorsi che si appellano all’opera misericordiosa da parte di ciascuno.
Questa sapienza ha segnato l’uomo nel proprio intimo e nella sua storia globale; detto altrimenti, la Rivelazione ha in-segnato all’uomo come vivere la relazionalità che lo circonda e lo abita, attribuendogli la responsabilità di trasmettere la testimonianza di questa pedagogia divina al prossimo presente, al prossimo del futuro. Questa è altresì la descrizione del meccanismo della fede: la testimonianza di quanto si è appreso dai propri precursori nel corso della propria vita e della propria formazione, rivolta a chi ancora non abbia ricevuto questa memoria, come neofiti e bambini, o che l’abbia forse dimenticata.
Ciò significa non solo che abitare il mondo non avviene secondo una mera spontaneità11, ma che l’educazione alla vita è una pedagogia dell’amore e del riconoscersi amati, una vera e propria educazione all’amore che proviene dall’Alto e che l’uomo non può mai fare propria una volta per tutte, nonché riassunta in: «corro sulla via dei tuoi comandi,/perché hai allargato il mio cuore» (Sal 119,32).
Anche in tal senso solo Gesù è vero Maestro12. Trattasi infatti di verità che l’uomo ha appreso nel corso della storia soltanto da Dio13, come testimonia la rivoluzione morale che l’avvento del Cristianesimo ha comportato, in quella tensione fruttuosa fra Decalogo e Regola d’oro che porta in sé l’imperativo della trasmissione: scoprendomi amato, tocco il contagio di questo amore, la cui esigenza intrinseca è quella di essere praticato, condiviso, di farmi prossimo alle necessità materiali ed a quelle spirituali di chi, come il vessato sulla strada di Gerico, attende un samaritano. La Sapienza della Caritas, presupponendo e richiamando sempre un’alterità, vive di pratica, s’impara e s’insegna al contempo attraverso una devota gestualità. Così facendo, c’è sempre un altro, oltre me, che viene beneficato da questo bene-amare.
Si fa dunque possibile scendere un po’ più a fondo nella seconda opera di misericordia spirituale: essendo la Carità il contenuto e la forma dell’insegnamento che il cristiano in modo particolare è tenuto a trasmettere, questa sembra ricomprendere in sé la pratica di tutte le altre tredici opere.
Senza difficoltà, si può osservare a questo punto il carattere circolare dell’insegnamento cristiano14: ciò che si è appreso viene insegnato, il maestro è sempre anche discente in un cammino di perfezione mai esauribile.
Riattuare questa magistrale pedagogia significa pertanto rifarsi ad una serie di atteggiamenti, che tentiamo di riassumere15.
In virtù della natura circolare dell’insegnamento, tuttavia immesso dall’Alto, e di un cammino inconcludibile, il cristiano maestro in quanto testimone e il catecumeno che si accinge ad apprendere vivono ed operano sotto il segno dell’umiltà d’atteggiamento e contenuto. Non possono essere contaminati dalla superbia, perché il fine del loro agire è dire all’altro, senza onerosità, con G. Marcel: tu non morirai mai. In tal senso, sapiente è Maria, che ignora il proprio futuro in quanto madre di Dio, ma si affida, in perfetto rovesciamento rispetto la coppia adamitica, che vuole conoscere nella solitudine di un affidamento rifuggito. La Sapienza dell’amore è un sapere per restare piccoli. Infatti la Carità è la proprietà organolettica dell’uomo, che rende il suo cuore misero: umile e pietoso, che mira al perdono.
L’ascolto attento16 è l’unica via di riconoscimento di Dio, di Dio in noi e di Dio nell’alterità. Dal riconoscimento per ascolto nasce il dialogo. Il primo si ha nel costante confronto con le Scritture, la tradizione e la realtà, con l’assemblea liturgica e la comunità: laddove viviamo, riceviamo un’impronta primigenia d’amore e lì è collocato il solco fertile della nostra. Il terzo, come detto e in netta circolarità, ancora una volta, con il secondo, emerge dalla necessità intrinseca dell’incontro con un volto d’Amore, e viene predisposto dall’ascolto di sé e dalla tradizione, intesa come accogliere la storia che ci precede e che ci è stata trasmessa. All’ascolto, si diceva, segue il dialog., Facendo tesoro della pedagogia divina, è possibile attingere alla varietà dei linguaggi attraverso i quali mi rendo comprensibile all’altro, che poggiano tutti sulla com-passione: il saper entrare nel vivo della storia e della carne dell’altro. In questo, un ruolo indiscutibile, strettamente intrecciato alla Verità d’amore, è la libertà, possibilità per l’altro di essere ascoltato e di ascoltarmi. Circa il secondo, infine, Sant’Agostino scrive: interior intimo meo et superior summo meo17. Detto altrimenti: Dio vive non solo nella prossimità che ci provoca, ma nell’intimità personale; uno star insieme radicale che, in ultima istanza, educando il singolo all’ascolto, Si fa riconoscere anche nell’altro.
Quanto detto confluisce poi in una via di attuazione del tutto personale. Tenendo a mente il paragone della Parola di Dio come spada (Eb 4, 12) per il discernimento, si consideri ciò che, proprio magistralmente18, scrive San Paolo in 1Cor 12, 4-11: vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell’unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.
Ricordando che ministerium nel suo significato etimologico indica servizio, orbene un offrire le proprie capacità all’altro, non è frutto del caso che le prime scuole siano sorte e siano state amministrate in ambito ecclesiale. In questo testo è infatti condensato, esplicitamente ed implicitamente, il cuore dell’insegnamento, da cui possiamo trarre qualche ultima suggestione che riassuma quanto visto.
Nonostante la diversità di ruoli, passioni, carismi che caratterizza ciascuno, ogni cristiano è chiamato ad essere insegnante, in quanto testimone verace, affidabile e coerente della sapienza evangelica, riassunta nella virtù della Carità. La portata di queste indicazioni è senz’altro universale: non solo la figura del docente preposto, ma ognuno, in quanto membro di un’unica, vasta comunità19, è chiamato ad incoraggiare il vicino ed il lontano a guardarsi dentro e rintracciare nel proprio cuore la Verità.
Il cristiano, rovesciando l’affermazione di Caino, è cioè per vocazione custode, non indifferente, del proprio fratello, di cui è chiamato a rispondere.
L’educazione che siamo chiamati a trasmettere, e che abbiamo a nostra volta ricevuto, è rivolta a chiunque, consapevolmente o inconsapevolmente, ignori la radicale portata di questo Amore modello; il Cristianesimo non è infatti una dottrina misterica, bensì guarda all’uomo nella sua interezza.
Tale discorso s’inserisce nella cornice di una misericordia concreta, dal momento che restituisce all’uomo la propria libertà nella misura in cui dischiude la luce di un Bene che cambia il mondo.
Nella consapevolezza che «lampada per i miei passi è la tua parola,/luce sul mio cammino»
(Sal 119, 105), come le vergini sagge20, che imparano a far brillare al modo dell’attesa la propria lampada, rammentiamo che: essere cristiani, secondo la sua prima finalità, non è un carisma individuale, bensì sociale. Non si è cristiani perché soltanto i cristiani pervengono alla Salvezza, ma si è cristiani perché la diaconia cristiana ha senso ed è necessaria per la storia21.
1 Vedasi, fra le tante fonti esemplificative: Pr 4, 1-2; Es 24, 12.
2 Gen 2, 18-19.
3 Karl Rahner, Sul problema dell’evoluzione del dogma, in Saggi teologici, Paoline, Roma 1965, p. 278.
4 Rintracciare nel mondo e nelle sue scienze Dio non è asserzione ardita: «resta fermo che dal mondo e dalla sua struttura spirituale traspaiono l’originario pensiero creatore e la sua potenza fondante» Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p. 247.( Ratz, Intro crist, p. 247)
5 Si ricordi che «ignoranza delle scritture è ignoranza di Cristo» DV 25.
6 Sal 19, 8 recita: «la testimonianza del Signore rende saggio il semplice»; le Scritture, sacramento della parola di Dio, sono destinate alla nostra istruzione (Rm 15,4) e «hanno la potenza di istruire in ordine alla salvezza, che si ottiene mediante la fede» (2Tm 3,15).
7 Esemplificativo di questa travagliata ricerca è il Salmo 119.
8 Vedasi Gv 13, 34-35. Significa «che il dialogo di Dio con l’uomo, l’abbandonarsi di Dio all’umanità ha raggiunto il suo traguardo in Gesù, l’uomo che è Dio. In questo dialogo non si è trattato e non si tratta tanto di dire qualcosa, o tante cose, quanto piuttosto di dire se stesso attraverso la parola. Sicché il suo intento non è raggiunto quando è stata comunicata la maggiore quantità possibile di nozioni, bensì quando grazie alla parola appare evidente l’amore, quando nella parola i "tu" vengono tra loro a contatto. Il senso del dialogo non sta in un terzo elemento, in un sapere oggettivo, bensì negli stessi interlocutori. Si chiama: unione» Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, cit. p. 253.
9 Cfr: «questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni -oracolo del Signore-: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo "Conoscete il Signore!" perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande -oracolo del Signore-, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato» Ger 31, 33-34.
10 Alla tua luce, Signore, vediamo la luce (Sal 35, 10), oltre la nebbia simulata dalla nostra comprensione mediata, confusa (1 Cor 13, 9-12).
11 «L’uomo non trae da sé ciò che gli è più proprio; questo gli deve pervenire come ciò che non è stato fatto da lui, che non è un suo prodotto, bensì come una libertà che gli sta di fronte e che a lui si dona» Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, cit. p. 259.
12 Gesù stesso ci ricorda che «Uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8b).
13 È assai significativo, a questo proposito, meditare la discesa di Gesù negli inferi per liberare coloro che non avevano potuto conoscere, avevano ignorato la Sua venuta.
14 Ulteriore spunto lo si può rintracciare nella DV 2, in cui questa circolarità è esplicitata nei termini degli agenti: popolo di Dio, magistero, tradizione.
15 Essendo impossibile trattare il tema diffusamente nel presente contributo, si fa un breve accenno alle caratteristiche dell’insegnamento che ha suggerito Gianfranco Ravasi, rintracciando in Nee 8 sette parole cardine dell’insegnamento: leggere, spiegare, comprendere; ascoltare, piangere, donare, celebrare.
16 Atteggiamento primigenio della Fede.
17 Confessiones III, 6, 11
18 Proprio di San Paolo è il reiterato invito a non ignorare: 1Cor 10, 1; Rm 1, 13.
19 Non a caso, il passaggio che segue il brano su indicato è il paragone della comunità cristiana come unico corpo di Cristo: 1Cor 12, 12-30.
20 Mt 25.
21 Ratz, Intro, p. 240
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ultimo aggiornamento
12 aprile, 2018