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Sac. Angelo Spilla |
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ncora un miracolo "in itinere", compiuto da Gesù mentre è in cammino. L’episodio della guarigione dei dieci lebbrosi fa parte della sezione del viaggio che porta Gesù dalla Galilea verso Gerusalemme (Lc 17, 11-19).Gesù passa attraverso la regione centrale della Samaria che fa parte della provincia procuratoria soggetta direttamente all’amministrazione romana.
All’ingresso di un villaggio gli si fa incontro un gruppo di lebbrosi. Al tempo di Gesù c’erano tanti lebbrosi e non si conosceva il modo come curare questa malattia. Secondo il linguaggio biblico con il termine lebbra si indicano diverse malattie della pelle. Erano quattro categorie di persone che all’epoca di Gesù venivano equiparate a un morto. Il povero, il lebbroso, il cieco e colui che era senza figli.
Nel caso del lebbroso, poi, la normativa biblica prescriveva che quelli che ne venivano colpiti dovevano vivere in isolamento, fuori dai centri abitati, fino alla loro completa guarigione, perché considerata malattia contagiosa. Il libro del Levitico descrive il modo di come questi dovevano vivere (Lv 13, 45-46). Per di più se tutte le malattie erano ritenute un castigo di Dio, la lebbra veniva ritenuta come il simbolo del peccato.
Il lebbroso doveva, quindi, restare lontano e, se guariva, doveva andare a presentarsi al sacerdote del tempio, il solo che poteva dichiarare eventualmente l’avvenuta guarigione e riammetterlo nella comunità.
I lebbrosi, quindi, a motivo di tutto ciò si sentivano rifiutati dagli uomini e da Dio.
Gesù sta continuando il suo viaggio verso Gerusalemme, il lungo e doloroso cammino dalla periferia verso la capitale, da una religione rinchiusa in se stessa verso una religione aperta che sa accogliere gli altri come fratelli, continuando ad eliminare le disuguaglianze che gli uomini hanno creato.
Il vangelo ci dice, dunque, che proprio a motivo di ciò, i dieci lebbrosi non si accostano a Gesù, ma da lontano gli gridano:"Gesù maestro, abbi pietà di noi!". Bellissima questa esclamazione dei lebbrosi, questa preghiera; riconoscono Gesù propriamente come "colui che sta in alto".
Gesù davanti a questo grido dove si chiede misericordia, non si avvicina, non li tocca, come fa invece nel caso di un altro lebbroso che egli guarisce. Qui Gesù si limita semplicemente a guardarli e dice loro di andare a mostrarsi ai sacerdoti; dice loro di agire come se fossero già guariti. Chiede la loro fiducia prima ancora di sperimentare il risultato positivo.
Ed essi, tutti e dieci, mostrano questa fiducia perché vanno, fiduciosi della sua parola. Il numero dieci nella Bibbia ha un valore simbolico: indica la totalità. I dieci lebbrosi sono, quindi, espressione di tutta l’umanità lontana da Dio e bisognosa di incontrare Gesù.
Il brano del vangelo ci dice ancora che mentre sono in cammino la loro lebbra scompare; sono guariti, vengono curati lungo la strada. Anche la vita cristiana è paragonata a un itinerario, a un lungo faticoso viaggio.
A questo punto il racconto evangelico segnala la reazione di uno dei guariti. Di fronte alla guarigione i dieci lebbrosi reagiscono in maniera diversa. Nove proseguono il viaggio verso il tempio, uno interrompe il suo tragitto. Quest’ultimo torna indietro "lodando Dio a gran voce". Si getta ai piedi di Gesù per ringraziarlo. La ricerca vera ed appassionata di chi ha compiuto la guarigione, vale molto di più della lebbra cancellata. E Gesù:" Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?".
Queste domande di Gesù sono un invito a riflettere sul rapporto tra esperienza dei doni di Dio e la fede. Non è casuale, poi, che sia un samaritano colui che sente il bisogno di rendere grazie a Dio.
Ma comprendiamo bene il significato delle parole di Gesù. Gesù non parla di ringraziamenti. A Gesù gli dispiace non tanto la mancata riconoscenza da parte degli altri nove, ma il fatto che non hanno reso gloria a Dio. L’unico che è tornato indietro è uno straniero; l’unico che ha capito subito che la salvezza di Dio giunge agli uomini attraverso Gesù.
A questo punto Gesù facendo rialzare il samaritano che si era prostrato davanti a lui, gli dice:"La tua fede ti ha salvato".
Dando gloria a Dio quest’ultimo ha riconosciuto l’intervento di Dio nella sua guarigione. Su questo il samaritano ha dato una lezione ai giudei osservanti della Legge. I nove hanno avuto fede e sul loro atto di fede sono stati guariti; hanno obbedito a quanto Gesù aveva detto loro di fare, seguendo quanto prescritto dalla legge di Mosè. Ma il samaritano, invece, ritornando indietro da Gesù rende gloria a Dio per questo atto miracoloso che lo ha liberato dalla malattia e dall’emarginazione.
Nella sua condizione di escluso ed emarginato rispetto ai membri del popolo di Dio, questo samaritano riconosce ed accoglie la gratuità dell’azione di Dio. Riscopriamo la dimensione della gratuità della vita.
"La tua fede ti ha salvato". Non dice più "guarito"; Gesù dice che questo samaritano ora è salvato. Non sta più parlando del corpo ma dell’anima.
Vale anche per noi che vogliamo fare questo incontro di grazia. La guarigione è un’esperienza provvisoria che prepara al dono della vita piena e definitiva accolto nella fede. Quando sentiamo la presenza di Dio nella nostra vita o quando ci rendiamo conto che lui ha fatto qualcosa di speciale per noi non basta attenerci alle regole mantenendoci di essere buoni cristiani semplicemente. Occorre trovare il coraggio di rendere gloria a Dio riconoscendo che è entrato nella nostra vita per cambiarla. È quanto ci dice l’esperienza di questo incontro.
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ultimo aggiornamento
12 aprile, 2018