Verso una cultura della misericordia
A cura del CeSAM una serie di
riflessioni sulle sette Opere di misericordia spirituale (3)
Ammonire i peccatori
PROF. LUIGI ALICI «
Che disastri sono stati compiuti in nome di questa opera!». Così scrive don Fabio Rosini nel suo libro sulle opere di misericordia spirituale (Solo l’amore crea, San Paolo 2016, p. 97), a proposito di "ammonire i peccatori". E aggiunge: «Che abbiamo fatto del cristianesimo, facendolo diventare la frusta etica della società… Quanti formatori che, non sapendo veramente coltivare i cuori, hanno risolto il dilemma educativo con la risorsa del senso di colpa, sparato in tutte le direzioni, indiscriminatamente». In effetti, fino a qualche anno fa, ci siamo spesso dimenticati che l’invito ad ammonire i peccatori – ammonire, non condannare – è presentato dalla tradizione cristiana come un’opera di misericordia spirituale, non come un crudele verdetto giudiziario.Oggi, tuttavia, accanto a questo pericolo, possiamo correrne anche un altro, opposto, rappresentato da un "buonismo" facile che non riesce a distinguere fra il peccato e il peccatore, e preferisce assumere un atteggiamento di falsa tolleranza, che tende a mettere la sordina a ogni verità scomoda, fino a ignorarla del tutto. Ieri, l’enfasi un po’ ossessiva sul peccato rischiava di dimenticare il peccatore con le sue ferite; oggi, la cordialità accogliente nei confronti del peccatore può trasformarsi in ambigua compiacenza che rischia non solo di essere mistificante, ma addirittura di abbandonare l’altro a se stesso, senza aiutarlo davvero.
C’è una via stretta che passa tra questi due scogli contrapposti: quello più tradizionale della cosiddetta "frusta etica", come la chiama don Rosini, che brandisce l’ammonimento come una clava, e quello più recente, che s’illude di neutralizzare le asperità della vita, trasformando il peccato in un atto "diversamente buono", per non dispiacere a nessuno. Ci è stato sempre insegnato che non dobbiamo confondere il peccato con il peccatore e già questo principio fondamentale della vita cristiana dovrebbe aiutarci ad evitare i due scogli. Del resto, anche quando andiamo dal medico non ci aspettiamo una dissertazione accigliata e astratta sulla malattia in sé, in cui si dimentichi del tutto il malato: la mia malattia è il mio problema, e la mia malattia dev’essere inquadrata in una concreta storia biografica, fatta di condizioni e abitudini di vita, di predisposizioni e fragilità assolutamente personali. D’altro canto, non ci aspettiamo nemmeno il "medico pietoso", che ci dà una pacca sulle spalle e non prende troppo sul serio la nostra salute; desideriamo piuttosto una diagnosi che "ci metta nella verità" in ordine alle nostre reali condizioni e alle vie concrete per raggiungere, nei limiti del possibile, la guarigione.
Se vogliamo misericordiosamente ammonire i peccatori percorrendo questa via stretta, dovremmo attenerci al principio fondamentale del primato del bene sul male. Primato del bene significa riconoscere il male nella nostra vita per quello che è, ma sempre alla luce di una prospettiva più alta e consolante: "Tu puoi fare di più, tu puoi essere di più; hai davanti a te possibilità di gran lunga più straordinarie e più belle di quelle che finora hanno tenuto in ostaggio la tua vita; non sentirti schiavo del tuo peccato!". Questo approccio è un’"opera di misericordia" se non si limita a dispensare dall’alto qualche consiglio paternalistico che non crea alcuna relazione; deve piuttosto esprimersi in un’opera concreta di accompagnamento: "Io sono con te, puoi contare su di me, così come anch’io posso contare su di te, insieme possiamo farcela…". Un’opera capace di portare frutto se sappiamo porci – tutti insieme – sulla via di una conversione all’Amore misericordioso, l’unico che non solo può, ma addirittura vuole riprenderci in casa al più presto!
Il riconoscimento della "miseria", perciò, non è mai fine a se stesso, ma deve aiutare a scoprire che l’amore divino non ha nulla a che fare con il nostro opportunismo gretto, non corrisponde affatto a un’immagine dell’amore ridotto a un calcolo meschino della convenienza di cui non riusciamo a liberarci e che addirittura pretendiamo di proiettare sul volto del Padre misericordioso, come il figlio maggiore della parabola. La misericordia è l’infinito dell’amore, che dinanzi alla miseria spirituale non regredisce in una sanzione spietata, ma al contrario è capace di quell’inaudito passo in avanti, rappresentato dal perdono. Un ammonimento in questo senso non offre mai garanzie di successo: le chiavi della vita spirituale delle persone non sono nelle nostre mani, e spesso ci vuole tempo, pazienza, buona volontà, ma soprattutto grazia, per poterle ritrovare e farle girare in un portone sprangato, con una serratura arrugginita. A noi non si chiede questo: si chiede semplicemente di innescare, con coraggio e discrezione, percorsi di ritrovamento di sé e disponibilità a cambiare vita. Percorsi che possono essere generativi quanto più aiutano a riconoscere che il male non è la prima parola nella vita umana, e proprio per questo non sarà nemmeno l’ultima.
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ultimo aggiornamento
18 maggio, 2018