Attualità |
P. Aurelio Pérez fam |
“Gesù Cristo
è il volto
della misericordia
del Padre” (MV 1)
Noi siamo chiamati ad essere segno e strumento del suo amore con i tratti del volto del buon Gesù
SEGNO E STRUMENTO DEL TUO AMORE NEL MONDO
Incontro internazionale dell’ALAM - Collevalenza 11.05.2018
(seguito)
IL VOLTO PIENO DI PACE E DI GIOIA DI GESÙ
Gesù, che è la nostra Pace, ha detto ai suoi: "Vi do la mia pace, non come la dà il mondo…" (Gv 14, 27), e anche: "Vi ho detto queste cose perché abbiate la mia gioia e la vostra gioia sia piena" (Gv 15, 11). Chi parla così è perché Lui stesso è pieno di pace e di gioia, anzi è la fonte della pace e della gioia.
Il Vangelo dice che Gesù «esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10,21). Quando Lui passava, «la folla intera esultava» (Lc 13,17). Dopo la sua risurrezione, dove giungevano i discepoli si riscontrava «una grande gioia» (At 8,8). A noi Gesù dà una certezza: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. […] Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,20.22). (cf GetE, n. 124).
La nostra gioia
La gioia e il senso dell’umorismo vengono presentati da Papa Francesco come medicina per un’altra malattia del nostro tempo: "la negatività e la tristezza" (n. 111). Sappiamo quanta tristezza si nasconde spesso dietro la maschera ingannevole del piacere. La gente vive spesso in una sorta di permanente carnevale, e i media sono il palcoscenico di questa commedia. Per questo Gesù dice: "vi do la mia gioia… gioia piena!".
122. Quanto detto finora non implica uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è «gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17)…
125. Ci sono momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale…
126. Ordinariamente la gioia cristiana è accompagnata dal senso dell’umorismo, così evidente, ad esempio, in san Tommaso Moro, in san Vincenzo de Paoli o in san Filippo Neri…
128. Non sto parlando della gioia consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi. Il consumismo infatti non fa che appesantire il cuore; può offrire piaceri occasionali e passeggeri, ma non gioia. Mi riferisco piuttosto a quella gioia che si vive in comunione, che si condivide e si partecipa, perché «si è più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35) e «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). L’amore fraterno moltiplica la nostra capacità di gioia, poiché ci rende capaci di gioire del bene degli altri: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia» (Rm 12,15)…
IL VOLTO SINCERO E DECISO DI GESÙ
Ci sono alcuni insegnamenti di Gesù che, mentre ci esortano a seguire un determinato stile di vita, rivelano nel contempo qualcosa di Lui. Mentre parla a noi sta parlando di sé. In Lui avvertiamo l’autorevolezza della verità e della sincerità, che gli viene riconosciuta persino dagli avversari.
Sia il vostro parlare: «Sì, sì», «No, no»; il di più viene dal Maligno (Mt 5, 37)
Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni qual è la via di Dio secondo verità. (Lc 20, 21)
Il volto sincero di Gesù, che manifesta la sua libertà unica, gli permette di riflesso di apprezzare anche la sincerità negli altri, mentre al contrario gli rende insopportabile l’ipocrisia (vedi tutte le controversie contro l’apparente giustizia dei farisei). Per questo motivo Gesù non è permaloso. Guardiamo, per esempio, la sua reazione di fronte alla diffidenza iniziale di Natanaele-Bartolomeo nei suoi confronti:
Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». (Gv 1, 44-47)
La nostra sincerità (parresia)
Finché ci mettiamo qualche maschera, o cerchiamo piedistalli per presentare un’immagine di noi gonfiata, non siamo ancora nella verità. La maschera è sempre menzognera, soprattutto quando ha solo un’apparenza di sincerità. E dietro le maschere ci sono le nostre paure. Allora sincerità e santa decisione vanno di pari passo. È una questione non tanto o non solo di carattere, ma è dono dello Spirito che gli stessi apostoli, paurosi e chiusi, hanno ricevuto dal Signore risorto. Nello Spirito hanno avuto quel dono che il libro degli Atti chiama parresia, definita da papa Francesco come una delle 5 caratteristiche della santità nel mondo attuale: "Audacia e fervore". Si contrappone alla malattia de "l’accidia comoda, consumista ed egoista (G e E, n. 111).
129. … la santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo. Perché ciò sia possibile, Gesù stesso ci viene incontro e ci ripete con serenità e fermezza: «Non abbiate paura» (Mc 6,50). «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Queste parole ci permettono di camminare e servire con quell’atteggiamento pieno di coraggio che lo Spirito Santo suscitava negli Apostoli spingendoli ad annunciare Gesù Cristo. Audacia, entusiasmo, parlare con libertà, fervore apostolico, tutto questo è compreso nel vocabolo parresia, parola con cui la Bibbia esprime anche la libertà di un’esistenza che è aperta, perché si trova disponibile per Dio e per i fratelli (cfr At 4,29; 9,28; 28,31; 2 Cor 3,12; Ef 3,12; Eb 3,6; 10,19).
131. … Riconosciamo la nostra fragilità ma lasciamo che Gesù la prenda nelle sue mani e ci lanci in missione. Siamo fragili, ma portatori di un tesoro che ci rende grandi e che può rendere più buoni e felici quelli che lo accolgono. L’audacia e il coraggio apostolico sono costitutivi della missione.
133. Abbiamo bisogno della spinta dello Spirito per non essere paralizzati dalla paura e dal calcolo, per non abituarci a camminare soltanto entro confini sicuri.
138. Ci mette in moto l’esempio di tanti sacerdoti, religiose, religiosi e laici che si dedicano ad annunciare e servire con grande fedeltà, molte volte rischiando la vita e certamente a prezzo della loro comodità. La loro testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita. I santi sorprendono, spiazzano, perché la loro vita ci chiama a uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante.
139. Chiediamo al Signore la grazia di non esitare quando lo Spirito esige da noi che facciamo un passo avanti... In ogni situazione, lasciamo che lo Spirito Santo ci faccia contemplare la storia nella prospettiva di Gesù risorto. In tal modo la Chiesa, invece di stancarsi, potrà andare avanti accogliendo le sorprese del Signore.
IL VOLTO PIENO DI COMPASSIONE DI GESÙ
Quanto mi sarebbe piaciuto vedere l’espressione del volto di Gesù quando guarisce gli indemoniati, il lebbroso, la suocera di Pietro, il paralitico, la donna incurvata, l’uomo dalla mano paralizzata, il cieco dalla nascita; quando guarda la vedova di Naim che accompagna l’unico figlio morto alla sepoltura, le sorelle di Lazzaro che piangono il fratello morto, le folle stanche e smarrite, la donna sorpresa in adulterio, la peccatrice in casa di Simone… Proviamo a farne un esercizio di contemplazione.
Particolarmente significativa in proposito è la chiamata di Zaccheo (cf Lc 19, 1-10), capolavoro di misericordia simpatica, e quella di Levi-Matteo (cf Mt 9, 9-13), entrambe paradigmatiche dello stile accogliente di Gesù, che è venuto non per giudicare ma per salvare.
Nella Misericordiae Vultus, al n. 8 papa Francesco fa una bella sintesi di quanto sto cercando di dire:
"Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione" (MV, 8).
La nostra compassione misericordiosa
Papa Francesco dedica i nn. 95-109 della Lettera apostolica sulla chiamata alla santità a quella che chiama la "grande regola di comportamento". È la conclusione del Capitolo terzo, "Alla luce del Maestro", dedicato alla riflessione sulle Beatitudini, strada maestra della santità.
96. …Il testo di Matteo 25,35-36 «non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo».[80] In questo richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi.
98. Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche un’immondizia che sporca lo spazio pubblico. Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità, una creatura infinitamente amata dal Padre, un’immagine di Dio, un fratello redento da Cristo. Questo è essere cristiani! O si può forse intendere la santità prescindendo da questo riconoscimento vivo della dignità di ogni essere umano? (cf anche Il culto che Lui più gradisce, nn. 104-107)
"ABBÀ, PADRE!". IL VOLTO DI GESÙ IN INTIMITÀ CON IL PADRE
Dove attinge l’umanità di Gesù questa forza di amore misericordioso, che pervade e trabocca da tutta la sua persona, se non dall’intima comunione con il Padre? Il Verbo "fatto carne" rivolto verso di noi nel tempo e nello spazio, era continuamente rivolto verso il Padre.
Non è possibile pensare a Gesù senza il Padre. Tutta la sua vita è una ricerca continua di fare solo ciò che è gradito al Padre, tutta la sua preghiera è un’intimità di rapporto unico del Figlio diletto verso l’Abbà.
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre…" (Lc 11, 1-2).
"Padre nostro!": è Gesù stesso che ci insegna il modo di rivolgerci a Dio, e con l’insegnamento ci fa anche dono della fiducia illimitata nei confronti di Colui che possiamo chiamare Padre. Solo il Figlio poteva aprirci le porte della sua "pietà", del suo rapporto privilegiato con il Padre, perché Lui solo è la "via per andare al Padre, la verità per conoscerlo e la vita per amarlo" (Trisagio alla Ssma Trinità, molto caro alla spiritualità di Madre Speranza).
E solo il Figlio ci può introdurre nella conoscenza amorosa di quel Volto che nessuno di noi potrebbe vedere, se la grande misericordia del nostro Dio non ce lo avesse fatto conoscere. (cf Gv 14, 8-9)
La nostra preghiera costante
La preghiera costante è una delle caratteristiche che papa Francesco vede urgenti nel nostro cammino di santità. È la medicina giusta per le "tante forme di falsa spiritualità senza incontro con Dio che dominano nel mercato religioso attuale (G e E, n. 111)
148. San Giovanni della Croce raccomandava di «procurare di stare sempre alla presenza di Dio, sia essa reale o immaginaria o unitiva, per quanto lo comporti l’attività».[109]
149. Ciò nonostante, perché questo sia possibile, sono necessari anche alcuni momenti dedicati solo a Dio, in solitudine con Lui. Per santa Teresa d’Avila la preghiera è «un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’essere amati».[111] Vorrei insistere sul fatto che questo non è solo per pochi privilegiati, ma per tutti, perché «abbiamo tutti bisogno di questo silenzio carico di presenza adorata».[112]
150. In tale silenzio è possibile discernere, alla luce dello Spirito, le vie di santità che il Signore ci propone.
151. Ricordiamo che «è la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato…».[113] Dunque mi permetto di chiederti: ci sono momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui? Lasci che il suo fuoco infiammi il tuo cuore? Se non permetti che Lui alimenti in esso il calore dell’amore e della tenerezza, non avrai fuoco, e così come potrai infiammare il cuore degli altri con la tua testimonianza e le tue parole? E se davanti al volto di Cristo ancora non riesci a lasciarti guarire e trasformare, allora penetra nelle viscere del Signore, entra nelle sue piaghe, perché lì ha sede la misericordia divina.[114]
152. Prego tuttavia che non intendiamo il silenzio orante come un’evasione che nega il mondo intorno a noi. Il "pellegrino russo", che camminava in preghiera continua, racconta che quella preghiera non lo separava dalla realtà esterna ...
154. La supplica è espressione del cuore che confida in Dio, che sa che non può farcela da solo. Nella vita del popolo fedele di Dio troviamo molte suppliche piene di tenerezza credente e di profonda fiducia. Non togliamo valore alla preghiera di domanda, che tante volte ci rasserena il cuore e ci aiuta ad andare avanti lottando con speranza.
155. Se veramente riconosciamo che Dio esiste, non possiamo fare a meno di adorarlo, a volte in un silenzio colmo di ammirazione, o di cantare a Lui con lode festosa. Così esprimiamo ciò che viveva il beato Charles de Foucauld quando disse: «Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per Lui».[117]
156. La lettura orante della Parola di Dio, più dolce del miele (cfr Sal 119,103) e «spada a doppio taglio» (Eb 4,12) ci permette di rimanere in ascolto del Maestro affinché sia lampada per i nostri passi, luce sul nostro cammino (cfr Sal 119,105). …
157. L’incontro con Gesù nelle Scritture ci conduce all’Eucaristia, dove la stessa Parola raggiunge la sua massima efficacia, perché è presenza reale di Colui che è Parola vivente. Lì l’unico Assoluto riceve la più grande adorazione che si possa dargli in questo mondo, perché è Cristo stesso che si offre. E quando lo riceviamo nella comunione, rinnoviamo la nostra alleanza con Lui e gli permettiamo di realizzare sempre più la sua azione trasformante.
"VI HO CHIAMATO AMICI". IL VOLTO FAMILIARE DI GESÙ
Gesù, per trent’anni è vissuto in comunità con Maria e Giuseppe, in un’esperienza di famiglia vera.
Poi all’inizio della vita pubblica, fin da subito ha chiamato i suoi discepoli a seguirlo, poi ha scelto i dodici perché stessero con Lui e poi per mandarli a predicare il Vangelo. Gesù riflette in questa dimensione comunitaria la sua esperienza trinitaria: "Come il Padre ha amato me così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Gv 15). «tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te» (Gv 17,21).
Gesù vive con i suoi discepoli l’intimità peculiare dell’amicizia, della confidenza e della trasparenza totale:
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. (Gv 15, 12-17)
È interessante notare che Gesù presenti il comandamento nuovo in un contesto di amicizia e di intimità con i suoi, per i quali sta per dare la vita.
Il nostro essere comunità
Papa Francesco definisce il quarto dei cinque percorsi necessari per vivere oggi la santità con questo titolo: "In comunità". E lo presenta da subito con una motivazione pratica: da soli ci perdiamo. È il rimedio efficace contro un’altra malattia terribile: "l’individualismo". (G e E, n. 111).
140. È molto difficile lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati. È tale il bombardamento che ci seduce che, se siamo troppo soli, facilmente perdiamo il senso della realtà, la chiarezza interiore, e soccombiamo.
Ma oltre all’aiuto fraterno, qui è in gioco proprio l’essere segno e strumento del Suo amore: come faremo a presentare questo sacramento al mondo se non ci amiamo, se non viviamo uniti nonostante le nostre tendenze egoistiche? Quale era il grande segno che i primi cristiani presentavano ai pagani? "Guardate come si amano!".
143. La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani. Questo capitava nella comunità santa che formarono Gesù, Maria e Giuseppe, dove si è rispecchiata in modo paradigmatico la bellezza della comunione trinitaria. Ed è anche ciò che succedeva nella vita comunitaria che Gesù condusse con i suoi discepoli e con la gente semplice del popolo.
IL VOLTO DI GESÙ CHE DA LA VITA PER AMORE
Una particolare attenzione merita la contemplazione del volto di Gesù nella Passione, perché quella è la rivelazione suprema del "Vultus misericordiae". Per questo la nostra Madre ci ha messo davanti agli occhi e al cuore il Crocifisso dell’AM.
La paradossale bellezza del Crocifisso
Può essere bello il volto di uno che soffre? Che connotazione ha la bellezza in questo caso? Dostoevskij fa dire al principe Miskin, in uno dei suoi capolavori, la famosa frase: "La bellezza salverà il mondo". Ma di quale bellezza si tratta?
«La bellezza salverà il mondo, è una frase di Dostojevskij – dice Josef Ratzinger – ma pochi si ricordano che la famosa frase ha un seguito che le dà un senso pieno. Chi non ha conosciuto questa frase? Tutti la conosciamo, ci si dimentica, però, nella maggior parte dei casi, di ricordare che Dostoevskij intende qui la bellezza redentrice di Cristo… Dobbiamo imparare a vedere questa bellezza redentrice di Cristo, se noi lo conosciamo non più solo a parole ma veniamo colpiti dallo strale della sua paradossale bellezza – la Croce è una paradossale bellezza…"1.
"anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1Gv 3,16)
L’ultima parte della Lettera del Papa si chiude con una esortazione al COMBATTIMENTO, VIGILANZA E DISCERNIMENTO.
158. La vita cristiana è un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita.
IL COMBATTIMENTO E LA VIGILANZA
159. Non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia. Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male. Gesù stesso festeggia le nostre vittorie. Si rallegrava quando i suoi discepoli riuscivano a progredire nell’annuncio del Vangelo, superando l’opposizione del Maligno, ed esultava: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore» (Lc 10,18).
Qualcosa di più di un mito
160. Non ammetteremo l’esistenza del diavolo se ci ostiniamo a guardare la vita solo con criteri empirici e senza una prospettiva soprannaturale.
161. Non pensiamo dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea.[121] Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più esposti. Lui non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi. E così, mentre riduciamo le difese, lui ne approfitta per distruggere la nostra vita, le nostre famiglie e le nostre comunità, perché «come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1 Pt 5,8).
Svegli e fiduciosi
162. La Parola di Dio ci invita esplicitamente a «resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6,11) e a fermare «tutte le frecce infuocate del maligno» (Ef 6,16). Non sono parole poetiche, perché anche il nostro cammino verso la santità è una lotta costante. Chi non voglia riconoscerlo si vedrà esposto al fallimento o alla mediocrità. Per il combattimento abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà: la fede che si esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la celebrazione della Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l’impegno missionario.
IL DISCERNIMENTO
166. Come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo è il discernimento, che non richiede solo una buona capacità di ragionare e di senso comune, è anche un dono che bisogna chiedere.
Un bisogno urgente
167. Al giorno d’oggi l’attitudine al discernimento è diventata particolarmente necessaria. Infatti la vita attuale offre enormi possibilità di azione e di distrazione e il mondo le presenta come se fossero tutte valide e buone. Tutti, ma specialmente i giovani, sono esposti a uno zapping costante.
168. Questo risulta particolarmente importante quando compare una novità nella propria vita, e dunque bisogna discernere se sia il vino nuovo che viene da Dio o una novità ingannatrice dello spirito del mondo o dello spirito del diavolo. In altre occasioni succede il contrario, perché le forze del male ci inducono a non cambiare, a lasciare le cose come stanno, a scegliere l’immobilismo e la rigidità, e allora impediamo che agisca il soffio dello Spirito. Siamo liberi, con la libertà di Gesù, ma Egli ci chiama a esaminare quello che c’è dentro di noi – desideri, angustie, timori, attese – e quello che accade fuori di noi – i "segni dei tempi" – per riconoscere le vie della libertà piena: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1 Ts 5,21).
169. Il discernimento è necessario non solo in momenti straordinari, o quando bisogna risolvere problemi gravi, oppure quando si deve prendere una decisione cruciale. È uno strumento di lotta per seguire meglio il Signore. Ci serve sempre: per essere capaci di riconoscere i tempi di Dio e la sua grazia, per non sprecare le ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a crescere. Molte volte questo si gioca nelle piccole cose, in ciò che sembra irrilevante, perché la magnanimità si rivela nelle cose semplici e quotidiane.
[124] Si tratta di non avere limiti per la grandezza, per il meglio e il più bello, ma nello stesso tempo di concentrarsi sul piccolo, sull’impegno di oggi. Pertanto chiedo a tutti i cristiani di non tralasciare di fare ogni giorno, in dialogo con il Signore che ci ama, un sincero esame di coscienza. Al tempo stesso, il discernimento ci conduce a riconoscere i mezzi concreti che il Signore predispone nel suo misterioso piano di amore, perché non ci fermiamo solo alle buone intenzioni.
172. Tuttavia potrebbe capitare che nella preghiera stessa evitiamo di disporci al confronto con la libertà dello Spirito, che agisce come vuole. Occorre ricordare che il discernimento orante richiede di partire da una disposizione ad ascoltare: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella in nuovi modi.
174. Una condizione essenziale per il progresso nel discernimento è educarsi alla pazienza di Dio e ai suoi tempi, che non sono mai i nostri. Lui non fa "scendere fuoco sopra gli infedeli" (cfr Lc 9,54), né permette agli zelanti di "raccogliere la zizzania" che cresce insieme al grano (cfr Mt 13,29)…
Concludo con un pensiero a Maria, doveroso in questo mese di maggio, e a cavallo tra la festa di Maria Mediatrice (8 maggio) e la memoria delle apparizioni di Fatima (13 maggio):
176. Desidero che Maria coroni queste riflessioni, perché lei ha vissuto come nessun altro le Beatitudini di Gesù. Ella è colei che trasaliva di gioia alla presenza di Dio, colei che conservava tutto nel suo cuore e che si è lasciata attraversare dalla spada. È la santa tra i santi, la più benedetta, colei che ci mostra la via della santità e ci accompagna. Lei non accetta che quando cadiamo rimaniamo a terra e a volte ci porta in braccio senza giudicarci. Conversare con lei ci consola, ci libera e ci santifica. La Madre non ha bisogno di tante parole, non le serve che ci sforziamo troppo per spiegarle quello che ci succede. Basta sussurrare ancora e ancora: «Ave o Maria…».
Diciamolo anche noi, insieme, ciascuno nella propria lingua:
"Ave Maria..."
1 Cfr. J. RATZINGER, Intervento al Meeting di Rimini, 2002, Ed. Paoline, 2005, 53-57.
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ultimo aggiornamento
07 agosto, 2018