Festa del Santuario |
Card. Pietro PAROLIN |
Un Dio che regna servendo
Omelia di Sua Em.za il Cardinale Pietro PAROLIN, Segretario di Stato di Sua Santità Papa Francesco, al Santuario dell’Amore Misericordioso
30 settembre 2018
Eccellenze,
Distinte Autorità,
Rev.di Sacerdoti,
Rev.de Suore,
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Sono lieto di essere qui con voi in questo Santuario dell’Amore Misericordioso che oggi celebra la sua festa e che la Beata Madre Speranza tanto desiderò venisse costruito. Ed è ben giusto celebrare il Signore, rallegrarsi per quanto Egli compie nella storia e nelle nostre vite, esprimere riconoscenza per la sua benevolenza e per la grandezza del suo amore per noi, che desta sempre meraviglia.
Le letture che abbiamo ora proclamato sono sovrabbondanti nel raccontarci l’amore misericordioso di Dio. È come se Dio volesse presentarsi, e volesse lasciarci il suo identikit, offrirci la chiave per comprendere l’intimo suo progetto e addirittura l’intima sua natura.
Ascoltando queste parole siamo immessi in un universo che ci attrae perché è dominato dall’amore, che è quella forza immensa e sussistente che dà vita e sostenta tutti, che si china, si abbassa, si sacrifica per rialzare, per salvare, per non abbandonare nessuno nel vuoto e nella perdizione.
Nel Salmo 102 abbiamo ascoltato queste espressioni, riferite a Dio: "Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia. Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Egli non continua a contestare E non conserva per sempre il suo sdegno". E poco prima, nella lettura tratta dal libro di Osea, sempre a riguardo di Dio si afferma: "Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione" (Os 11,8b).
È perciò evidente che non siamo qui di fronte ad un motore immobile che, isolato nel suo mondo inaccessibile e perfetto, geometrizza la creazione e la osserva come spettatore, lasciando che segua il suo corso, buono o tragico che sia. Non siamo di fronte a un Dio tignoso e rancoroso, che con il bilancino da farmacista pesa al milligrammo tutte le mancanze e ricorda e rinfaccia sempre le colpe, anche quando vede il pentimento autentico, la vera intenzione di cambiare vita, di fare passi concreti sulla strada buona. Siamo di fronte a un Dio "grande e benevolo", che ci attira per la grandezza del suo "cuore", perché scopriamo in Lui non una forza impersonale, lontana e vendicativa, ma un Padre misericordioso e vicino.
Non siamo pronti a vedere il sommo potere e la somma grandezza farsi piccola e divenire nella concretezza e non nella teoria, l’altra faccia del servizio. Non siamo pronti a vedere all’opera Dio che regna servendo.
Se poniamo attenzione, potremmo anche constatare un certo parallelismo tra quanto esprimono i versi del Salmo prima citati e l’intento di Madre Speranza, che era quello di "far conoscere a tutti che Dio è un Padre che ama, perdona, dimentica e non tiene in conto i peccati dei suoi figli quando li vede pentiti. Non un giudice severo, ma un Padre santo, saggio e bello, che sta aspettando il figlio prodigo per abbracciarlo". (M. Esperanza de Jesús, Exhortaciones, 2.01,1965).
Nell’agire di Dio con gli uomini tuttavia vi è una progressione, un inizio e un procedere del cammino, che trova il suo culmine nell’Incarnazione del Figlio di Dio. Nella vita, passione, morte e risurrezione di Gesù di Nazareth l’amore misericordioso di Dio trova il suo assoluto e la sua più grande manifestazione. L’inno alla carità dell’Apostolo Paolo e la lavanda dei piedi degli Apostoli nel Cenacolo sono come due stelle polari che ci pongono di fronte alla grandezza di Dio, che è tanto alta e inarrivabile da essere disposta a farsi piccola, a chinarsi sulle ferite delle creature per fasciarle, per sanarle, per ridare vita e speranza laddove non c’è più.
Queste letture ci pongono di fronte alla stessa essenza divina, quella che l’Apostolo Giovanni affermerà esplicitamente, offrendoci la definizione di Dio: "Dio è amore" (1Gv 4,8). Sono letture che da un lato ci confortano e ci aprono al sorriso e alla fiduciosa speranza di chi sa di essere infinitamente amato e atteso, di chi sa che Dio ha un originale pensiero di bene per ciascuno di noi, che ci benedice, ci segue passo passo e ci offre tutti i mezzi per camminare sulla via della vita.
Dall’altro però sono letture che ci pongono allo specchio e ci mettono nella condizione di fare un serio esame di coscienza. Incontrare il Signore che "depone le vesti" e si cinge di un asciugamano per lavare i piedi ai suoi discepoli è come sperimentare la vertigine della santità ed essa può allarmarci, come accadde a San Pietro. Non siamo pronti a vedere il sommo potere e la somma grandezza farsi piccola e divenire nella concretezza e non nella teoria, l’altra faccia del servizio. Non siamo pronti a vedere all’opera Dio che regna servendo.
La scena ci richiama alla nostra responsabilità e può anche inquietare, perché ci ricorda che non possiamo più accampare scuse se non assumiamo i medesimi atteggiamenti di Gesù. Siamo invitati alla sequela Christi, a cercare di imitarlo. Ma imitarlo significa abbassarsi sui più deboli e poveri, significa porli al centro, servire i più piccoli e abbandonati, significa anche non criticare come fosse in contraddizione con il vero cristianesimo chi lo fa, trovando sempre l’alibi più sofisticata, l’invenzione di priorità diverse e scovando con astuzia e pertinacia - degni di miglior causa - le scuse più improbabili pur di non eseguire il comando divino della carità, pur di non scendere mai dal piedistallo e fare quello che ha fatto Dio, il quale è sceso e si è chinato verso la creatura che annaspava senza speranza nei suoi peccati e nella sua incapacità di risorgere.
Il nostro tempo, abitato dalla estrema rapidità dei cambiamenti, dove ogni cosa sembra possedere la consistenza di una farfalla che vive un solo giorno e dove si rischia di ritrovarsi spaesati di fronte a panorami che mutano continuamente, abbiamo bisogno di sostare per riprendere le forze.
La scena della lavanda dei piedi perciò ci parla della misericordia di Dio e ci insegna a nostra volta ad essere misericordiosi, ad essere non soltanto fruitori della misericordia che viene dall’alto di cui noi abbiamo grande bisogno, ma anche protagonisti della misericordia verso il prossimo, facendo agli altri quello che ogni giorno il Signore compie per noi.
San Paolo, da parte sua, ci elenca le caratteristiche indispensabili per riconoscere l’autentica carità dai suoi numerosi surrogati, per riconoscere la moneta d’oro a ventiquattro carati da quella che, anche se luccica e splende, rimane pur sempre di latta.
L’Apostolo delle genti ci avverte che la carità, per essere tale, deve essere magnanima e benevola, non invidiosa, non deve vantarsi né gonfiarsi, non deve mancare di rispetto né cercare il suo interesse, non deve adirarsi, né tenere conto del male ricevuto, che non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità (cf 1Cor 13,4-7).
In modo analogo a quanto accade per la lavanda dei piedi compiuta da Gesù, anche la bellezza dell’inno alla carità ci apre alla meraviglia e alla riconoscenza, ma, al tempo stesso, ci pone davanti alla realtà di quanto siamo lontani dal realizzare un’ideale così grande. L’inno paolino mette in controluce quello che accade spesso nella vita delle persone, tanto prese singolarmente quanto nel momento in cui si associano per perseguire un determinato obiettivo, dove spesso si compie il bene accompagnandolo però con atteggiamenti, riserve e finalità tutt’altro che buone e pure e dove dunque anche il bene si presenta impastato nelle contraddizioni e nei grovigli che nascono dal cuore umano malato di egoismo.
Davanti alla perfezione divina e allo zoppicare dell’essere umano, siamo allora tutti chiamati ad incamminarci con fiduciosa speranza verso l’Amore Misericordioso, verso chi può venirci in soccorso per colmare i nostri vuoti e incapacità, verso chi può prestarci quanto ci manca per testimoniare in modo credibile con le parole, ma soprattutto con le opere e l’intera vita, che abbiamo incontrato il Signore Risorto e che Egli ha riorientato i nostri pensieri e le nostre azioni.
Il Santuario dell’Amore Misericordioso è un luogo dove possiamo acquistare gratuitamente la speranza che Dio in Gesù Cristo ci dona, dove possiamo risollevare il nostro io, spesso aggredito da venti corrosivi, ponendoci al riparo dello sguardo di Dio che accoglie e perdona, che rinnova, consola e che restituisce la forza di scendere dal Tabor e di risalire dagli inferi, dando un nuovo senso alle nostre fatiche.
Il nostro tempo, abitato dalla estrema rapidità dei cambiamenti, dove ogni cosa sembra possedere la consistenza di una farfalla che vive un solo giorno e dove si rischia di ritrovarsi spaesati di fronte a panorami che mutano continuamente, abbiamo bisogno di sostare per riprendere le forze.
Questo Santuario, per il quale la Beata Madre Speranza ha consumato tante energie e preghiere, è una di quelle oasi dove fermarsi per dire grazie e per chiedere una grazia, è un luogo dove, incontrando Dio come Amore misericordioso, si può trovare il coraggio di portare ordine alla propria esistenza, non sotterrando il talento ricevuto, ma facendolo crescere.
Abbiamo bisogno di fermarci e di alzare lo sguardo verso il Cielo, di non dimenticare mai la sorgente dalla quale proveniamo e la meta alla quale siamo incamminati, se vogliamo vivere il tempo che ci è dato muniti di una bussola che orienti il cammino, per non vagare continuamente, trasportati come piume dal vento, senza trovare autentica pace e senza portare frutto.
Maria, Madre di misericordia e Madre della Misericordia, interceda per noi.
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ultimo aggiornamento
29 ottobre, 2018