(ROBERTO LANZA)

Per la nostra riflessione volevo partire da quelle meravigliose parole del papa emerito Benedetto XVI° che nella Deus Caritas Est affermava: "La Chiesa è la famiglia di Dio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del necessario. Al contempo però la caritas-agape travalica le frontiere della Chiesa; la parabola del buon Samaritano rimane come criterio di misura, impone l’universalità dell’amore che si volge verso il bisognoso incontrato per caso, chiunque egli sia." 1

La parabola del buon samaritano è una delle più note dei vangeli e molti cristiani nel corso dei secoli ci si sono confrontati. Luca colloca questa parabola nella prima tappa del grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Il racconto della parabola è occasionato da un maestro della legge che domanda a Gesù che cosa deve fare per ottenere la vita eterna e Gesù, invece di rispondere, racconta questa parabola. Da Gerusalemme a Gerico ci sono circa 27 chilometri per un totale di 1100 metri di dislivello, la strada passa attraverso l’inospitale deserto di Giuda, caratterizzato da tanti burroni. Era una strada tortuosa e pericolosa, facile teatro di imboscate. E proprio in una "trappola" cade un viandante. I briganti lo spogliano, lo percuotono, lo derubano, e se ne vanno poi indisturbati, lasciandolo solo come lo avevano trovato, ma mezzo morto. Gerico era una città sacerdotale, e proprio lì sono diretti il sacerdote e il levita, di ritorno dal loro servizio nel Tempio di Gerusalemme. Il sacerdote vede quell’uomo mezzo morto, non è che non si accorga di lui, lo vede eccome! Lo vede mezzo morto e tuttavia continua ad andare per la sua strada. Sarebbe troppo scomodo fermarsi. Dentro di sé forse ha pensato che era già pericoloso passare per quella strada, figuriamoci se poteva fermarsi per aiutare un estraneo! E se i briganti fossero ancora da "quelle parti"? Siamo qui nel deserto, anche se volessi, come potrei aiutarlo? E poi... e poi sono un sacerdote, mica un dottore! E se lo "sciagurato" mi muore tra le braccia, come faccio? Sono un sacerdote, non posso venire a contatto con la morte, perderei la mia purità rituale. No. Non è per niente ragionevole fermarmi.

Spesso le parabole contengono un aspetto inverosimile o inaudito, che costituisce il centro del racconto, che suscita l’attenzione e permette la riflessione. In questa parabola l’elemento inaudito sta nel fatto che sulla stessa strada dopo il sacerdote e il levita passa addirittura un samaritano, ossia uno straniero odiato dagli ebrei e a sua volta nemico degli stessi. Per questo Samaritano amare il prossimo significa veramente farsi carico, significa accettare di perdere tempo, rimetterci denaro, significa ospitare nel suo cuore la persona che ha incontrato bisognosa durante il cammino.

 

Noi, ne siamo capaci?

Le varie azioni, compiute dal samaritano servendosi dei propri beni, sono riassunte nel verbo, ripreso nel vangelo due volte: “avere cura di lui.”
 

Sì, forse siamo capaci di dedicare un pò del nostro tempo per chi ha bisogno, magari ci fa sentire anche realizzati, ci compiacciamo di noi stessi, pensiamo: "come sono bravo"!

Ma se appena ci rendiamo conto che l’avventura in cui ci siamo imbarcati è troppo impegnativa, allora ci diamo alla fuga non appena possibile e magari la chiamiamo pure una "ritirata strategica." Anche il samaritano, probabilmente in viaggio per affari, vede quell’uomo, si rende conto che è stato privato del bene della salute. Le parabole di solito sono molto equilibrate nel descrivere i sentimenti dei protagonisti; qui invece si dice che questo samaritano, quando vide il malcapitato non pensò alla tradizione in cui era vissuto, ai suoi rapporti con gli ebrei, non pensò a quanto aveva già da fare, ma ne ebbe compassione. Ciò che gli fa prendere una decisione non è la sua cultura o quanto aveva programmato, ma la compassione. I briganti lo avevano spogliato e ferito e se ne erano andati; il sacerdote e il levita avevano visto ed erano passati oltre dall’altra parte della strada con un atteggiamento di separazione, di distacco; il samaritano non bada alle barriere di culto, di nazionalità che lo separavano da quell’uomo, non bada a possibili pericoli, non si attende alcuna ricompensa e si fa vicino per un soccorso premuroso e diligente; lo aiuta, gli medica le ferite, lo massaggia con dell’olio, lo solleva e lo mette sul proprio cavallo, per portarlo fino alla prima locanda e per finire lascia un pò di soldi al locandiere, perché possa continuare ad assistere quell’uomo.

Le varie azioni, compiute dal samaritano servendosi dei propri beni, sono riassunte nel verbo, ripreso nel vangelo due volte: "avere cura di lui." Si è assunto la responsabilità per quell’uomo, correndo anche dei seri rischi: lo porta, ossia gli fa da madre; spende del denaro per permettergli di rimettersi in vita, si comporta come un padre. Quello che i due addetti al culto non hanno fatto, lo compie invece il samaritano, perché mosso a compassione: è la compassione che lo fa uscire dalle frontiere della legge e gli fa incontrare l’uomo; è la compassione che trasforma la sua competenza e assistenza in comunicazione vera e personale, in servizio. Per il samaritano quell’uomo vale più del suo viaggio, dei suoi affari, del suo olio, del suo vino, dei suoi denari, del suo tempo. Si è identificato con quell’uomo bisognoso, si chiede fra sé cosa gli capiterà se non si ferma e perciò lo aiuta, senza badare al pericolo o alla ricompensa. Nella lettera agli Ebrei è scritto: "Gesù proprio per essere stato messo alla prova in tutto e aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova"2. Proprio perché ha patito come noi, è in grado di capire quelli che patiscono. La carità viene allora avvicinata all’idea di "compassione", intesa in senso etimologico come capacità di soffrire insieme, di condividere la sofferenza; pensate ad un’esperienza di una persona che ha sofferto, che ha passato dei momenti difficili di malattia, che ha subito degli interventi, che sa cosa vuol dire essere ammalato, essere debole, essere convalescente a lungo, probabilmente capisce molto di più una persona malata.

Dio è venuto tra noi e agisce dentro di noi. Anche Gesù è un povero Galileo, disprezzato da molti dottori della legge, ma in realtà è l’inviato di Dio che si mette dalla parte dell’uomo, che è un viaggiatore ferito, e non rifiuta di essere solidale con lui, di morire per lui.
 

Una persona, invece, che ha una salute di ferro, che non è mai stato all’ospedale, che non sa cosa vuol dire essere ammalato, pensa che chi si lamenta abbia delle storie. Non è proprio necessario essere ammalati per capire gli ammalati, ma può essere un aiuto. È un’esperienza chiara che noi facciamo in tante situazioni differenti: avere sperimentato una situazione ci aiuta a capire chi si trova in quella analoga situazione; uno che non ha esperienza di realtà concreta rischia di essere teorico e di non comprendere veramente. Alla fine della parabola Gesù invita il dottore della legge a mettersi non dal punto di vista del sacerdote, del levita e neppure da quello del samaritano, ma da quello dello sfortunato viandante, e gli domanda: "Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?" Il dottore della legge risponde giustamente: "Chi ha avuto compassione di lui."

Allora, potremmo dire, sintetizzando tutte le osservazioni fatte finora, che la carità comprende tre momenti decisivi. Innanzitutto, è carità accorgersi della debolezza o della necessità del prossimo; il primo atto misericordioso è accorgersi che l’altro ha bisogno, il contrario è l’atteggiamento insensibile di chi non si accorge di nulla. Era un principio pratico, applicato ad esempio nelle comunità religiose dei benedettini, quello di non chiedere mai nulla per sé a tavola, ma di essere attenti al vicino, per cui, proprio per regola, se non ho il sale non posso chiederlo per me, ma deve essere il mio vicino di tavola ad accorgersi che mi manca il sale e lo chiede per me; era un principio pedagogico, educativo, molto serio. Dopo questo primo passo dell’accorgersi del bisogno dell’altro, il secondo passo è quello di provare compassione, letteralmente, nel senso di "con-patire." Succede infatti, talvolta, di accorgersi che un altro ha bisogno, ma posso fermarmi lì, non mi interessa, non soffro insieme a lui; teoricamente penso che dovrei fare qualcosa, ma non mi muove dentro, non c’è la commozione e non c’è la compassione. Carità invece, è l’atteggiamento per cui io soffro vedendo l’altro soffrire, non a livello teorico ma a livello reale, personale, sentimentale: è la partecipazione reale dell’affetto e della volontà, per cui mi accorgo e partecipo in modo sensibile a questo bisogno dell’altro. Il terzo gradino comporta l’intervento, perché fino a qui è avvenuto qualcosa dentro di me: ho visto, ho provato compassione, potrei fermarmi lì, ma la carità, invece, richiede che, a questo punto, faccia il passo operativo.

Dio si è “accorto” della situazione di bisogno, di necessità in cui è sprofondata l’umanità, ha preso il fatto in considerazione, ha partecipato affettivamente a questa situazione, è venuto a compatire, a salvare e all’origine di tutto questo c’è l’azione di Dio
 

Per l’uomo derubato e ferito dai briganti il prossimo è il samaritano: egli si è comportato come suo prossimo. Nel dialogo che precedeva la parabola, il dottore della legge aveva detto che per avere la vita eterna bisognava osservare il comandamento presente nella legge, ossia amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi, e Gesù aveva dato la sua approvazione. Mettere Dio al centro è il cardine della vita; ma chi ama Dio insieme a lui deve amare anche il prossimo. Noi, spesso, siamo portati a vedere molto diversi i due comandamenti dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo. Madre Speranza era molto attenta a questa dimensione di misericordia verso gli altri: "Il mondo sfugge quelli che piangono e allora gli afflitti pur avendo bisogno di sfogarsi si isolano. La nostra accoglienza sia per loro un’ancora di salvezza. È importante allora capirli e immedesimarci con empatia nelle loro situazioni; dal momento che si vedranno capiti si sentiranno confortati e le nostre parole scenderanno come balsamo salutare sulle loro ferite."3 E ancora: "Qualcuna mi ha detto che non sa come fare per amare il prossimo come se stessa, essa vede questo molto difficile. A me non sembra: perché per questo è necessario amare Gesù, infatti è noto che colui che ama gli altri senza sforzo, ama ciò che ama l’Amato. Siccome Gesù ama svisceratamente gli uomini è logico che chi ama Gesù ami anche il prossimo da questi tanto amato"4. Fondamentalmente però, con questa parabola, Gesù vuole presentare se stesso, vuole spiegare la missione che ha ricevuto dal Padre, Egli non ci dice prima di tutto quello che dobbiamo fare, ma rivela la sua persona e la sua missione: andando verso Gerusalemme, verso la croce, Egli è il Figlio di Dio che porta a compimento la compassione del Padre per gli uomini e che si fa prossimo ad ogni persona. Cristo ci ha rivelato un Dio come lo vorremmo. Un Dio che è amore e misericordia; apparentemente sembra che non sia utile, però ci dà tutto, ci dà ciò che nessuna analisi scientifica, nessun progresso tecnologico e neppure lo sviluppo delle scienze umane potrà mai darci: sentirci amati singolarmente, uno per uno, in modo assoluto.

Quando ci accorgiamo che Dio ci ama così, allora sentiamo che lo stare lontano da Lui e dagli altri per altre ragioni umane è perdere tempo, è perdere Dio stesso. Gesù ha raccontato questa parabola perché l’amore - agape di Dio verso gli uomini costituisce la parte essenziale del suo messaggio. Dio regna là dove gli uomini cominciano a comportarsi come quel samaritano; agire come quel samaritano è testimoniare che il regno di Dio è venuto tra noi e agisce dentro di noi. Anche Gesù è un povero Galileo, disprezzato da molti dottori della legge, ma in realtà è l’inviato di Dio che si mette dalla parte dell’uomo, che è un viaggiatore ferito, e non rifiuta di essere solidale con lui, di morire per lui. Questa parabola illustra molto bene il comportamento di Gesù: è venuto tra noi per mettersi con tutto se stesso accanto ad ogni uomo, ha amato e aiutato veramente tutti, particolarmente i più bisognosi, giudei e pagani, uomini e donne, senza preclusioni verso nessuno. Attraverso la parabola del buon samaritano Gesù annuncia una notizia inaudita e lieta: Egli è venuto per donare a tutti gratuitamente il suo amore, tutti possono ricevere la sua compassione non meritata.

La Madre Speranza era cosciente di tanto dono, scriveva ancora nel suo diario: “Gesù mio, fà che il mio amore per te sia sempre un amore riconoscente, mai provocato dalla paura del castigo che ho meritato, neanche per il premio che posso sperare dal tuo amore e dalla tua misericordia, ma fa’ che ti ami con tutte le forze, perché meriti di essere amato più di ogni cosa”
 

La Madre Speranza così scriveva nel suo Diario: "Questa notte l’ho trascorsa col buon Gesù: mi sono raccolta un pò per pregare e la notte è trascorsa senza accorgermi. Gesù mi ha detto che quanto più mi eserciterò nella virtù della carità, tanto più cresceranno in me i sentimenti di pietà che sgorgano con facilità da un cuore che già vive l’amore di Dio, ed è questo che fa vedere la bellezza, la bontà e l’infinita misericordia di Dio."5

Dio si è "accorto" della situazione di bisogno, di necessità in cui è sprofondata l’umanità, ha preso il fatto in considerazione, ha partecipato affettivamente a questa situazione, è venuto a compatire, a salvare e all’origine di tutto questo c’è l’azione di Dio, è Lui che per primo condona, dona e trasforma, usa misericordia e rende l’uomo capace di misericordia: l’origine di tutto è la misericordia di Dio, il suo amore paterno: "Quando incontrate una persona sotto il peso del dolore fisico o morale non tentate di offrirle un aiuto o un incoraggiamento senza prima averla guardata con amore"6. Non sono dunque gli uomini a produrre la novità cristiana, a mettere in atto la liberazione; la salvezza è dono di Dio e solo per sua iniziativa eserciterà la sua misericordia, ossia fare dell’uomo l’oggetto della sua benevolenza e gratuità. La parola italiana "misericordia" deriva direttamente dal latino ed è composta dalla radice del verbo "miserere", che è uguale ad avere pietà e da "cor-cordis", che significa: cuore, quindi, avere un "cuore che sente pietà." Dio ama ed usa misericordia perché ha con la sua creatura una relazione unica, forte, un amore particolare, un’esigenza del cuore stesso di Dio, una tenerezza gratuita fatta di pazienza e comprensione: "Sion ha detto il Signore mi ha abbandonato, si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io non ti dimenticherò mai"7.

Il Signore non finisce mai di pensare a noi, il suo amore veglia continuamente sulla nostra vita, Egli non si arrende non si stanca neanche quando siamo lontani da Lui, è sempre pronto a tendere la mano e rialzarci. Il crocifisso è la prova più eloquente di questo Amore Misericordioso, Dio infatti ci ha amati donandoci il suo Figlio che immolato sulla croce ha redento l’umanità: "La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito"8. Dio si interessa per primo dell’uomo, Dio ha abitato la storia dell’uomo con l’incarnazione di Gesù, andando alla ricerca della sua creatura e per farsi ritrovare da lui. Chi non ama una carità concepita e vissuta in questo modo? La Madre Speranza era cosciente di tanto dono, scriveva ancora nel suo diario: "Gesù mio, fà che il mio amore per te sia sempre un amore riconoscente, mai provocato dalla paura del castigo che ho meritato, neanche per il premio che posso sperare dal tuo amore e dalla tua misericordia, ma fa’ che ti ami con tutte le forze, perché meriti di essere amato più di ogni cosa"9. Dio cammina sempre sulle nostre strade, è il buon Samaritano che carica sulle proprie spalle tutta l’umanità, e non in una circostanza soltanto, non solo in momenti di particolare pericolo, ma per sempre, con eterna fedeltà.

La santità non consiste nel fare cose sempre più difficili, ma nel farle ogni giorno con più amore. Quindi, è un amore che “è più nei fatti che nelle parole”, si sperimenta più nel dare che nel ricevere. Noi in Dio e Dio in noi, questa è la vita cristiana
 

È vero che a volte è veramente difficile amare che ci odia, chi ci fa del male, chi non ci sopporta o che noi non sopportiamo, chi ci ha deluso, chi non ricambia il nostro amore, ma Dio ci chiede di amare. Forse chi ci ignora continuerà ad ignorarci, chi ha sbagliato continuerà a sbagliare, chi non a capito continuerà a non capire, chi ci odia continuerà ad odiarci, ma se amiamo con tutto il cuore, saremo immagine, icona di quella misericordia che Dio ha voluto donarci in Cristo. Così esortava la Madre Speranza: "Per quel che mi riguarda, vi devo dire che la perfezione non è altro che amare il nostro Dio con tutto il cuore e con tutte le nostre forze, dato che se sul serio amiamo il nostro Dio faremo il possibile per procurargli il bene della sua gloria in noi stesse, riferendo alla sua gloria il nostro essere con tutte le sue azioni, non soltanto quelle buone, ma anche quelle indifferenti e, non contente di questo, saremo diligenti e ci sforzeremo di attrarre al suo servizio e al suo amore anche il nostro prossimo con il fine che da tutti e in tutte le cose Dio sia onorato e glorificato"10 .

E ancora: "Il comandamento dell’amore al prossimo non s’identifica con quello dell’amore a Dio, perché Dio lo dobbiamo amare in sé e per sé e il prossimo non per se stesso, ma in Dio e per Dio. Però è simile perché l’uno non si concepisce senza l’altro ed entrambi si riferiscono a Dio, l’uno direttamente e l’altro indirettamente. Questo comandamento è molto giusto perché noi dobbiamo amare sulla terra coloro con i quali vivremo uniti nel cielo. È anche molto utile perché se Dio comanda a me di amare gli altri, comanda lo stesso a ciascuno di essi e, se tutti obbediamo, io posso essere sicura che tutti mi amano e quindi vivere in pace. L’amore al prossimo ha come regola l’amore ordinato a se stessi."

L’importante non è sapere soltanto chi è il prossimo che bisogna amare, ma fare qualcosa per diventare prossimo, per farsi vicino a chi è nel bisogno. L’essenziale non è cercare chi bisogna amare, ma cercare di amare concretamente. Lo stesso Gesù, quando parla dell’amore, ci parla di cose che si possono fare e toccare: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. Quando non c’è questa "visibilità", si può vivere un cristianesimo di illusioni, perché non si capisce bene e non si vive fino in fondo la buona notizia del vangelo dell’amore. La santità non consiste nel fare cose sempre più difficili, ma nel farle ogni giorno con più amore. Quindi, è un amore che "è più nei fatti che nelle parole", si sperimenta più nel dare che nel ricevere. Noi in Dio e Dio in noi, questa è la vita cristiana. L’amore edifica, costruisce, comprende, cura, sostiene il debole. L’essenza dell’amore cristiano non è quella di chi si sente superiore agli altri, ma di chi si fa servo per amore.

Nell’ottica della carità, le nostre incomprensioni, le divisioni delle nostre storie, i punti di vista opposti, i continui malintesi ed equivoci, possono essere sempre rimarginati. È l’esigenza della carità, che lascia aperta la porta per ritrovare l’amore perduto, capace di promuovere un avvicinamento, un inizio di riconciliazione. L’identificazione del prossimo da amare, che al dottore della legge sta tanto a cuore, per Gesù è una questione largamente superata. Chiedere chi sia il prossimo può diventare un problema inutile; a Gesù non interessano le sottili disquisizioni dei rabbini su chi è il prossimo e non afferma neppure teoricamente che il prossimo è ogni persona bisognosa di aiuto. Al dottore della legge Gesù ha risposto con un esempio pratico, per mostrare come bisogna comportarsi per essere prossimo, cioè vicino all’altro. Non è l’altro che deve avere determinate qualità morali, religiose, sociali per essere amato, ma sei tu che devi diventare prossimo, devi realizzare un rapporto vero con gli altri, mettendoti nella loro situazione e cercando di portare loro quell’aiuto che tu ti aspetteresti se fossi al loro posto. È la missione che l’annuncio dell’Amore Misericordioso ancora oggi ripropone nella sua piena attualità ad ognuno di noi.

 

Vi pare poco?

Chi vive il carisma dell’Amore Misericordioso, non è più colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo. Prendiamo consapevolezza di questo amore, di questa nostra preziosità agli occhi di Dio
 

Chi vive il carisma dell’Amore Misericordioso, non è più colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo. Prendiamo consapevolezza di questo amore, di questa nostra preziosità agli occhi di Dio: un Dio che ci cerca, che ci vuole donare tutto se stesso, anche se noi non lo chiediamo, una misericordia che è presente sempre e che opera sempre anche se noi non ce ne accorgiamo. E allora non ci resta che accogliere la provocazione di Gesù ripetuta alla fine di questo vangelo: "Và e anche tu fa lo stesso"!

Poveri noi se lasciamo cadere nel vuoto questo imperativo di Gesù!

Poveri noi se continueremo a dire: "non ho tempo...ho paura, non stava mica per morire solo come un cane sul bordo della strada! Magari era "soltanto" preoccupato da qualcosa che stava vivendo, oppure aveva un problema familiare, o di amicizia, o affettivo, o lavorativo, o magari si sentiva soltanto un pò solo e non è che non me ne sia accorto, anzi! Ma avevo "cose" più urgenti da fare, faccende che non potevo certo rimandare in quel momento, perché significherà ripetere i gesti del sacerdote e del levita.

Ricordiamoci che la domanda importante da fare per la nostra vita non è: "chi è il mio prossimo", ma "sii tu prossimo per chi ha bisogno"!!


1 Lettera Enciclica Deus Caritas Est n. 25 lettera b

2 Eb. 2, 14-18

3 Consigli pratici (1941) (El Pan 5)

4 Consigli pratici (1941) (El Pan 5)

5 Diario 16 Marzo 1952

6 El pan 5,6

7 Is. 49,15

8 Rm 5, 5

9 Diario (1927-1962) (El Pan 18)

10 Le Ancelle dell’Amore Misericordioso (1943) (El Pan 8)

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ultimo aggiornamento 14 gennaio, 2019