"Aprirsi alla Grazia
dell’Amore
Misericordioso"
ROBERTO LANZA |
(Dalla Preghiera per il Santuario composta dalla Madre Speranza)"... Benedici, Gesù mio, il tuo grande Santuario e fa che vengano sempre a visitarlo da tutto il mondo: alcuni a domandarti la salute per le proprie membra straziate da malattie che la scienza umana non sa curare; altri a chiederti perdono dei propri vizi e peccati; altri, infine, per ottenere la salute per la propria anima annegata nel vizio... E fa, Gesù mio, che vengano a questo tuo Santuario le persone del mondo intero, non solo col desiderio di curare i corpi dalle malattie più strane e dolorose, ma anche di curare le anime dalla lebbra del peccato mortale e abituale".
È
sempre molto difficile trattare un argomento come quello della malattia e della sofferenza umana, la ribellione, le domande sul perché del dolore sono la reazione più naturale dell’uomo, di qualsiasi uomo. La sofferenza è compagna inseparabile di ogni esistenza umana. C’è la sofferenza fisica del corpo, con l’esperienza della malattia, del deperimento organico, della morte. C’è la sofferenza morale dell’anima, più devastante di quella fisica, causata dall’ingratitudine, dall’abbandono, dal tradimento, dall’emarginazione. Il dramma del "male", in particolare della sofferenza degli innocenti, è un problema antico quanto l’uomo. Con esso si sono confrontati uomini di scienza e filosofi, non credenti e credenti, di tutte le fedi, di tutte le generazioni. Nonostante gli sforzi, però, la ragione da sola non è mai riuscita e non riesce tuttora a trovare una risposta soddisfacente.Quanto fastidio danno e quanta ribellione provocano certe parole dette a sproposito in certi momenti drammatici. Il dolore ha infinite sfumature.
Mi è capitato spesso, percorrendo i corridoi degli Ospedali, o entrando nelle case di persone malate o andando in altre strutture dove svolgo il mio servizio alla Chiesa, di imbattermi in persone sofferenti, che, provate nella carne e fiaccate nello spirito mi domandano conto del perché il Signore "manda" loro questa sofferenza, di quali gravi peccati commessi, di cui non avevano memoria, dovevano scontare pene e supplizi. Tante volte mi è capitato di ascoltare tante persone che mi ripetevano parole veramente profonde e devastanti per il mio spirito: "Perché proprio a me? Io che forse potevo vivere felice, realizzando progetti e sogni che avevo nel cassetto. Tutti mi dicono: affidati a Dio, abbandonati a Lui, loro fanno presto a dirlo, tanto mica soffrono come me. Mi sono stancato, o Signore, di soffrire e anche di vedere i miei cari vivere la mia stessa sofferenza. Per ora non mi riesce pregarti, è troppo forte la ferita che mi ha colpito, e so offrirti soltanto il mio silenzio e la mia rabbia." In fondo il tarlo si insinua e continuamente ti chiede: "Sei stato sempre retto, perché proprio a te?" Ogni volta sembra di rivivere l’assurda e antica "tesi tradizionale" che gli amici di Giobbe, una volta saputo della sua malattia, rivendicano, al suo cospetto, quando vanno a trovarlo: "Caro Giobbe se soffri è perché hai peccato."
Vicino ad una persona che si "lamenta" della propria sofferenza e che come prima reazione "impreca", occorre stare in silenzio, ascoltare, capire, fare una carezza, ma non dobbiamo mai dare "lezioni e consigli" risaputi. Quanto fastidio danno e quanta ribellione provocano certe parole dette a sproposito in certi momenti drammatici. Il dolore ha infinite sfumature. Le scritture ci ricordano che sotto la croce, "Maria stava", immobile, in silenzio, ma presente. Ciascuno ha il suo dolore e ogni dolore, come ogni uomo, è irripetibile. Tuttavia confrontarsi sul tema della sofferenza significa anche porsi interrogativi circa il senso della vita, scrive infatti Pascal: "Gli uomini, non avendo potuto guarire ogni malattia, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci". Per questo l’uomo d’oggi ha esorcizzato la sofferenza e cerca di narcotizzarsi, di divertirsi, nel senso etimologico del termine.
Facciamo fatica ad accettare la “scuola” della sofferenza per scoprire che cosa sia la vita e la felicità. Nonostante tutte le nostre riflessioni e le nostre proteste, infatti, la debolezza, il dolore, la morte rimangono comunque un mistero.
Sappiamo benissimo che ormai nella società moderna si tenta di sopprimere certi interrogativi, poiché essi potrebbero turbare il circuito: consumare, produrre consumare o porterebbero scompiglio nel "goditi oggi." Così come non sono risolutrici, a mio avviso, la paura e la fuga davanti alle domande e alle realtà scomode della vita: esse sono indispensabili per la maturità della nostra persona, è importante tenere conto che la sofferenza c’è e che essa è parte essenziale dell’identità dell’uomo su questa terra. Diceva Benedetto XVI° nell’Enciclica SPE SALVI: "Proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità, dell’amore, del bene, scivolano in una vita vuota, nella quale forse non esiste quasi più il dolore, ma si ha tanto maggiormente l’oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine."
Il non-sapere ci pone di fronte al mistero, e questo può essere la semplice notte o la notte che nasconde ai nostri occhi una realtà più grande!
La conseguenza di tutto questo è il non sapere più cosa fare di fronte ad una malattia, ad un evento tragico, ad un malessere, si è quindi isolati e soli.
Facciamo fatica ad accettare la "scuola" della sofferenza per scoprire che cosa sia la vita e la felicità. Nonostante tutte le nostre riflessioni e le nostre proteste, infatti, la debolezza, il dolore, la morte rimangono comunque un mistero. Certo non è questo il "luogo" dove rispondere a domande così impegnative e soprattutto tenendo conto che posso rubarvi solo due minuti e poche righe, ma una cosa è certa: l’esperienza della fragilità, del limite, della malattia e della morte può insegnarci alcune cose fondamentali. La prima è che non siamo eterni, non siamo in questo mondo per rimanerci per sempre; siamo pellegrini, di passaggio. La seconda è che non siamo onnipotenti, nonostante i progressi della scienza e della tecnica, la nostra vita non dipende solo da noi, la nostra fragilità è segno evidente del limite umano. Infine, l’esperienza della fragilità ci insegna e ci costringe a mettere nel giusto ordine le cose che contano davvero.
E allora come inquadrare il discorso?
Ecco allora che entriamo in un universo molto vasto, l’uomo non soffre solo in quanto essere destinato alla morte fisica, ma anche a causa "dell’altro." Ad esempio, se io in un momento d’ira ricopro di insulti il mio collega d’ufficio, è Dio che voleva umiliarlo, o io, abusando della mia libertà di agire, ho rotto la mia alleanza con Dio e con il prossimo creando sofferenza nella persona? E se a volte l’ammalato continua a pensare negativamente, mangiare in modo errato, frequentare persone sbagliate e fare quello che non dovrebbe fare, e la sua guarigione non può arrivare e resta nella sofferenza è Dio che permette tutto questo?
E se a volte l’ammalato continua a pensare negativamente, mangiare in modo errato, frequentare persone sbagliate e fare quello che non dovrebbe fare, e la sua guarigione non può arrivare e resta nella sofferenza è Dio che permette tutto questo?
Così come è importante avere presente che dentro la parola "malattia" non c’è solo la parte che fa male (il malato non è una cellula): una persona malata patisce il limite della libertà, si può sentire una certa svalutazione come "essere" perché non più efficiente, può intristire l’essere di peso ad altri, fa star male il dover dipendere, non si sa come superare stati di ansia e di timore, si stenta a trovare la persona in cui riporre fiducia e confidenza, si soffre ad essere privati di occupazioni importanti e della ricerca dei propri interessi.
Di tutto questo è arduo trovare un senso.
Certamente bisogna alleviare la sofferenza ed il male con tutte le energie di cui si dispone, ma è fondamentale capire e rispettare compiutamente il linguaggio della "sofferenza" e lo possiamo fare solo alla luce della vita del Cristo: "Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. E grandi folle cominciarono a seguirlo da ogni regione"1. L’amore di Gesù verso i malati e le sue numerose guarigioni di infermi di ogni genere sono un chiaro segno che "Dio ha visitato il suo popolo"2.
La sua compassione verso tutti coloro che soffrono si spinge così lontano che Egli si identifica con loro: "Ero malato e mi avete visitato"3. Il suo amore di predilezione per gli infermi non ha cessato, lungo i secoli, di rendere i cristiani particolarmente premurosi verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Esso sta all’origine degli innumerevoli e instancabili sforzi per alleviare le loro sofferenze; è una storia bellissima, malgrado gli inevitabili limiti umani: strutture ospedaliere, ordini religiosi, associazioni caritative, dedizione eroica dei santi, operatori sanitari ad ogni titolo, gli impegnati nel volontariato nelle varie forme continuano a rendere attuale, in certo modo, la presenza di Gesù che risana. I gesti di Gesù in favore dei malati hanno quindi valenza multipla: manifestano l’amore di Dio che si è fatto vicino ad ogni uomo, aiutano a riconoscere la novità della vita portata da Lui sulla terra, contribuiscono a riscoprire aspetti particolari della vita cristiana, fanno nascere risposte autentiche.
Diceva il poeta Paul Claudel: “Dio non è venuto a spiegare il male: è venuto a riempirlo della sua presenza.” Il Signore Gesù, proprio perché figlio di Dio, assumendo il male, il dolore e la morte, ha lasciato in essi un seme di divinità, di luce, di salvezza.
Ma ci dobbiamo anche chiedere: Gesù, come ha vissuto la sofferenza? L’Onnipotente, come ha vissuto la debolezza? La persona più singolare della storia, il verbo incarnato Gesù Cristo, è ben lontano dall’aver "scavalcato" il dolore, l’ha vissuto anche Lui in prima persona: "Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora"4. "L’anima mia è triste fino alla morte"5. Tutti abbiamo presente la flagellazione, l’incoronazione di spine, la via al Calvario, la crocifissione, e soprattutto un grido: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Solo l’amore di Dio ci può far comprendere perché Gesù, fra mille modi che poteva trovare per salvarci e per redimerci, ha scelto la sofferenza fisica e spirituale, e solo l’amore di Dio ci può aiutare a diventare protagonisti nel tempo di malattia vivendola in sintonia con Gesù: "L’umana sofferenza ha raggiunto il suo culmine nella passione di Cristo e contemporaneamente essa è entrata in una dimensione completamente nuova, quella dell’Amore"6.
Diceva il poeta Paul Claudel: "Dio non è venuto a spiegare il male: è venuto a riempirlo della sua presenza". Il Signore Gesù, proprio perché figlio di Dio, assumendo il male, il dolore e la morte, ha lasciato in essi un seme di divinità, di luce, di salvezza. L’amore divino non ci protegge da ogni male, ma ci sostiene in ogni male permettendoci di superarlo. Ecco il nostro carisma, le parole della Madre, scritte in occasione della "Preghiera per il Santuario", sono talmente ricche di speranza e di fiducia nella potenza dell’Amore Misericordioso che possiamo provare ad abbozzare alcune riflessioni utili. La grande attenzione di Dio per la situazione dell’uomo, crea sempre le condizioni per una realizzazione piena della nostra vita, è il desiderio pieno di fiducia che nasce dalla sicurezza dell’aiuto di Dio che si prende cura di ogni momento e dell’intero "destino" dell’uomo: siamo sempre nelle Sue mani. La speranza, alla quale siamo chiamati, è qualcosa che non è fuori, ma dentro di noi; è quello slancio vitale che ci fa vivere trascendendo noi stessi, che ci toglie dalle disperazioni, e che ci ancora saldamente a Dio.
La speranza, alla quale siamo chiamati, è qualcosa che non è fuori, ma dentro di noi; è quello slancio vitale che ci fa vivere trascendendo noi stessi, che ci toglie dalle disperazioni, e che ci ancora saldamente a Dio. Per la visione cristiana “elaborare” la malattia, facendola diventare un momento significativo della propria vita, è un’opera più delicata e difficile che la semplice lotta ad oltranza contro di essa.
Per la visione cristiana "elaborare" la malattia, facendola diventare un momento significativo della propria vita, è un’opera più delicata e difficile che la semplice lotta ad oltranza contro di essa: è forse l’opera di creatività più personale che un uomo può fare nella piccola storia che è chiamato a vivere. Dio ci ama e ciò non vuol dire che non potranno esserci momenti di incertezza, di grande travaglio, anche a causa di gravi prove fisiche o psichiche: ma questa speranza ci dà la certezza dell’amore di Dio e del suo aiuto che non ci può mancare: "Chi mi separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, i pericoli, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati."7 Il Cristo non ha soppresso la sofferenza; non ha neppure voluto svelarcene interamente il mistero, l’ha presa su di sé, e questo basta perché ne comprendiamo tutto il valore: "Bene, figlia mia, trovi questa situazione troppo pesante e dura? Guarda Gesù, si lamentò nella misera paglia? si lamentò quando le spine laceravano la sua fronte? quando gli aguzzini lo inchiodarono alla croce? Forse ti stanno facendo soffrire più dell’innocente Gesù? Figlie mie, che ricompensa avreste se non incontraste sul vostro cammino sacrifici, fatica e sofferenze?"8
Anche i santi hanno trovato arduo e difficile tutto questo "percorso" ed hanno cercato aiuto per non subire la sofferenza e valorizzarla. S. Teresa d’Avila, in un momento di prova, aveva domandato al Signore: "mi sai dire perché?" Rispose Gesù: "È il trattamento che riservo ai miei amici". E Teresa: "Capisco perché ne hai così pochi". Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi in un dialogo dei suoi personaggi dice: "La Provvidenza non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne una più certa e più grande". Questa è la verità da accogliere: nell’ottica della fede cristiana, la sofferenza di ogni uomo, vissuta in Cristo, può acquistare davvero un significato redentivo. Afferma, in proposito, Giovanni Paolo II: "La vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, non abolisce le sofferenze temporali della vita umana, né libera dalla sofferenza l’intera dimensione storica dell’esistenza; tuttavia su questa dimensione e su ogni sofferenza, Egli getta una luce nuova che è la luce della Salvezza"9.
“Forse non è vero che è dolce e piacevole soffrire con Gesù? Non è vero forse quanto vi ho detto mille volte che l’amore si alimenta col sacrificio e che con l’amore diventa dolce anche il soffrire?”
Come l’oro si saggia con il fuoco, così il Signore "mette alla prova" i nostri cuori; come il forno i cocci del vasaio, così la sofferenza prova le anime dei giusti. Quanto più dura è la prova, tanto più gloriosa sarà la ricompensa: "Forse non è vero che è dolce e piacevole soffrire con Gesù? Non è vero forse quanto vi ho detto mille volte che l’amore si alimenta col sacrificio e che con l’amore diventa dolce anche il soffrire?"10. L’Amore misericordioso è un Padre che cerca i suoi figli, che vuole il loro bene, nulla ci potrà separare da questo Padre: "Dio non vuole né permette alcuna cosa che non sia il nostro bene. Tutto viene dalla mano di Dio, nostro Padre, che è degno di essere amato sia quando permette il dolore che quando manda la gioia"11. Quanto è dura la tua volontà, o Signore, quando è incomprensibile, quando non riesco a capirne le motivazioni, le ragioni, avrei voglia di scappare, avrei voglia di non capire, di non accettare, ma poi come una canna di bambù mi devo piegare al vento della tua volontà, sino a spezzarmi e morire al tuo volere per compiere il tuo disegno di amore, ma solo in Te sperimento quanto sia bello essere stretto al tuo petto come il più piccolo dei tuoi figli: "non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele".
Veramente un grande mistero di amore!
O voi tutti che sentite più gravemente il peso della croce, voi che siete poveri e abbandonati, voi che piangete, voi di cui si tace, voi sconosciuti del dolore, riprendete coraggio: voi siete i preferiti del regno di Dio, siete il seme della misericordia di Dio; siete i fratelli del Cristo sofferente; e con Lui, voi salvate il mondo!
L’Amore Misericordioso vi sostenga!
1 Mt. 4,23
2 Lc. 7,16
3 Mt. 25,36
4 Gv. 12,27
5 Mt. 26,38
6 Salvifici Doloris n. 18
7 Rm. 8, 35-37
8 Consigli Pratici (1939)
9 Salvifici Doloris n. 15
10 Consigli pratici (1941)
11 El Pan de nuestra casa
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ultimo aggiornamento
16 maggio, 2019