Verso una cultura della misericordia |
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A cura del CeSAM | |
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Il Sinodo sui giovani
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I giovani e la cultura digitalizzata
"Non si tratta più soltanto di «usare» strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri". Con queste parole il documento finale del "Sinodo dei Vescovi sui Giovani, la Fede ed il Discernimento Vocazionale" annuncia il cambiamento di rotta che si è verificato nella società contemporanea e nel modo in cui quest’ultima ospita le relazioni interpersonali, soprattutto quelle dei più giovani.
Da una parte è vero, come afferma Paul Lévy, che il contesto virtuale non è uno spazio negativo contrapposto ad uno reale positivo, bensì qualcosa che potenzia la realtà permettendo ai soggetti che la abitano di portare le proprie azioni oltre il confine dei limiti spazio-temporali contingenti: "Web e social network […] - si legge ancora nel documento - costituiscono comunque una straordinaria opportunità di dialogo, incontro e scambio tra le persone, oltre che di accesso all’informazione e alla conoscenza". D’altra parte, però, proprio in virtù di tale potenziamento di possibilità e prestazioni, risulta evidente l’esigenza di ricavare, all’interno dell’etica e dell’educazione, spazi e momenti di riflessione sull’uso degli strumenti tecnologici che veicolano la virtualità, dal momento che c’è anche un lato oscuro della rete. "I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche". Se il significato di "connessione" finisce infatti per essere vincolato al contesto della rete internet e delle connessioni digitali, allora c’è il rischio che vengano compromessi anche i significati di "relazione" e di "persona". Una relazione che si realizzi esclusivamente attraverso mediatori digitali e che pretenda di poter fare a meno del contatto, della voce, dello sguardo e di tutta l’integralità dei soggetti coinvolti in un rapporto comunicativo, rischia di rivelarsi come una relazione a metà, costretta a rinunciare a qualcosa di importante. In conseguenza di ciò, si rischia anche di dissociare il concetto di "persona" dalla figura di un individuo con il quale non si interagisce in maniera diretta, bensì avvalendosi esclusivamente di una chat o di un ausilio digitale.
Gli interventi che più di tutti risultano efficaci per combattere tali derive sono quelli che coinvolgono una sensibilizzazione delle menti, affinché esse siano capaci di adottare una visione critica che non trascuri tutto il portato umano, e quindi in primis anche corporeo, della relazione interpersonale. Laddove, infatti, i giovani fanno propria e abitano una modalità molto "social" - e spesso poco sociale - di interagire con gli altri, ci sono aspetti dell’esistenza e del vissuto della persona che rimangono nascosti, o peggio ancora offesi e umiliati, e che invece avrebbero bisogno di essere accolti e custoditi proprio all’interno di una relazione autentica che non sia vittima dei molti tagli accettati come inevitabili effetti collaterali della potenza del virtuale.
Il nascondimento di tutte le fragilità e le vulnerabilità dell’essere umano, insieme alla costruzione di un modello ideale di perfezione a cui è bene adeguarsi se si desidera approvazione, appaiono come accettabili conseguenze del progresso tecnologico e del vivere in un contesto digitalizzato. Se ciò è pericoloso, lo è ancora di più il fatto che proprio in tale orizzonte vengono realizzate "forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico". All’etica e all’educazione si chiede quindi di comprendere tali dinamiche sociali in continua evoluzione, di portare ausilio e consulenza e di fornire un indispensabile filtro critico a tutti coloro che usufruiscono dei potenti strumenti grazie ai quali il tempo e lo spazio della comunicazione diventano illimitati e sconfinati e a causa dei quali, allo stesso tempo, il "qui e ora" della relazione interpersonale sbiadiscono e perdono il colore vivido del contatto, della prossimità e della piena percezione empatica.
All’interno di validi percorsi educativi, sostiene Matthew Lipman, trova spazio l’educazione al "pensiero caring", che si traduce al modo di un’educazione all’incontro e alla relazione con sé e con l’altro, al sentire le proprie emozioni e quelle altrui, al dialogo, all’ascolto e al prendersi cura della persona nella sua totalità, che non si limita a ciò che scrive in una chat, né a delle emoticons disegnate per "significare" universalmente e in maniera mortificante una certa emozione che, al contrario, ha la caratteristica viva di incarnarsi in modo del tutto singolare e particolare in ogni persona. Se quindi, da una parte è certamente auspicabile che siano accolte e sostenute le molte opportunità offerte dalla cultura digitalizzata, "irrinunciabile per raggiungere e coinvolgere i giovani, anche in iniziative e attività pastorali", dall’altra è necessario adottare sempre un atteggiamento di prudenza nell’usare - e nel guidare i giovani ad usare - i media e gli strumenti digitali, in quanto essi potrebbero trasformare l’ambiente in cui si vive in "un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza" dove si potrebbe avvertire la mancanza di un incontro autentico con l’altro, nel quale, afferma Emmanuel Lévinas, "si gioca l’essenziale, l’assoluto […]. E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto".
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ultimo aggiornamento
15 ottobre, 2019