ROBERTO LANZA

"Essere capaci di avere compassione: questa è la chiave. Questa è la nostra chiave. Se tu davanti ad una persona bisognosa non senti compassione, se il tuo cuore non si commuove, vuol dire che qualcosa non va. Stai attento, stiamo attenti. Non ci lasciamo trascinare dall’insensibilità egoistica."

(Papa Francesco – Angelus del 14 luglio 2019)

 

Non ho potuto resistere alla "tentazione" di riportare alcune righe dell’Angelus di Papa Francesco; il 14 luglio ero presente e mentre ascoltavo quelle parole così cariche di umiltà e di fede, ho potuto contemplare, con profondo rispetto, il religioso silenzio che era sceso nella Piazza di S. Pietro nel cuore dei presenti. Così d’incanto mi sono venute in mente le parole della Madre Speranza: "Teniamo a mente che quelli che soffrono attendono il nostro conforto, attendono anzi che ci facciamo partecipi delle loro sofferenze. Lo stesso ci chiede l’amore verso il Signore Gesù. Quando incontrerete un uomo sotto il dolore fisico o morale, non dategli un aiuto o un consiglio senza avergli prima dato uno sguardo di compassione"1.

 

Cosa ci dicono queste parole?

Credo che dobbiamo essere continuamente rinnovati a prendere coscienza della nostra vera vocazione, ossia quella di incarnare l’amore di Dio per ogni uomo. Certamente il discorso sulla carità è continuo ed insistente nella comunità cristiana, se ne sottolinea da sempre l’essenzialità, così da affermare come non si possa essere cristiani "autentici" se non si vive la carità, né si possa testimoniare nessun apostolato ecclesiale senza una vita caritativa. Eppure, nelle nostre comunità, sembra che si conosca poco la carità nella sua specificità evangelica, nonostante essa venga richiamata con insistenza. Tuttavia parlare oggi di carità in un mondo immerso in una sorta di "filantropia sociale" non risulta davvero facile. Carità e filantropia non sono sinonimi, anche se parlano ambedue del medesimo oggetto, ossia il "povero" nel bisogno.

Una presa di coscienza che ci rende sensibili alle esigenze di chi è in difficoltà e ai suoi bisogni; nasce allora dal cuore quella filantropia (= amore per l’uomo), che ci porta a fare anche belle cose in aiuto di chi è nella necessità.

Tale filantropia è già da sola un grande contrassegno dell’umanità dell’uomo, e merita di essere in ogni caso incoraggiata e sviluppata. Il cristiano fa altrettanto e ancora di più, perché sa di trovarsi non solo dinanzi ad un suo fratello, ma dinanzi ad una presenza "mascherata" del suo Dio: "Ogni aiuto che avete dato ad uno di questi piccoli, l’avete dato a me"2, Questa attenzione ai "poveri" ha quindi, nel pensiero di Gesù, una motivazione più profonda della "compassione filantropica", perché il povero che viene aiutato è Dio stesso, che ama "travestirsi" da povero e viene come tale a provocarci; anzi alla fine della vita ci giudicherà addirittura sulla risposta a questa provocazione.

La Chiesa deve diventare quel luogo in cui la verità dell’amore di Dio, per ogni uomo, deve rendersi percepibile e tangibile

Diciamoci la verità che spesso abbiamo la tentazione di non guardare ai poveri Lazzari che sono stesi alla porta dei ricchi Epuloni, che danno loro soltanto gli avanzi che avrebbero gettato ai cani. I cristiani di oggi non possono accampare scuse, non possono ammettere ritardi, prima di ogni cosa e di ogni questione viene l’uomo nella sua vita e nella sua dignità. A volte noi pensiamo che la carità sia darsi da fare, cercare tutti i modi per riempire i poveri e gli ammalati di attenzioni. Partiamo cioè con un’idea un po’ troppo precisa di quello che serve a chi ci chiede aiuto. Ci consoliamo magari con riti, pellegrinaggi, catechesi e spesso ci dimentichiamo della "vera" misericordia di Dio. Sulla misericordia e sull’amore saremo giudicati, non sul numero delle preghiere e sui chilometri fatti a piedi. Forse dobbiamo imparare a stare con i poveri, non riempiamoci la bocca di belle parole sui poveri! Incontriamoli, guardiamoli negli occhi, ascoltiamoli. I poveri sono per noi un’occasione concreta di incontrare il Cristo stesso, di toccare la sua carne sofferente. L’amore non rimane chiuso in sé stesso, l’amore apre il cuore all’altro. L’amore di Gesù non è solo parole, ma gesti: "Capite quello che ho fatto per voi? Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi." Anche noi, come Gesù, siamo chiamati ad esprimere il nostro amore come servizio ai più deboli, ai tanti volti di povertà, materiale, morale, spirituale che incontriamo sulle nostre strade di tutti i giorni: è la carità che plasma e forma tutte le altre virtù e dona valore a tutte le opere.

 

Tutto qui? Assolutamente No!

Nelle parole di Papa Francesco e in quelle della Madre Speranza, è racchiuso un tesoro enorme che dobbiamo riprendere in mano e che dobbiamo avere la consapevolezza di custodire, perché rappresenta il centro della nostra fede e della nostra coscienza, ossia la missione di "stare dentro la storia con amore." La Chiesa deve diventare quel luogo in cui la verità dell’amore di Dio, per ogni uomo, deve rendersi percepibile e tangibile: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri"3. Praticando la carità non eseguo un’opera sociale, ma principalmente io annuncio Gesù Cristo, proclamo il suo Regno, la sua salvezza, la sua compassione e tenerezza per ogni uomo. Se non si ama il fratello che si vede è impossibile amare Dio che non si vede: "Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità"4. Comunque quando parliamo di poveri non dobbiamo pensare soltanto a quelle persone che non hanno niente di "materiale" a loro disposizione. La povertà, infatti, è identificata spesso e soltanto come la condizione di singole persone che si trovano ad avere, per ragioni di ordine economico, un limitato o del tutto mancante accesso a beni essenziali e primari per vivere. I poveri però non sono soltanto questo tipo di persone, ma anche tutte quelle che si sentono in miseria, ossia non solo in ristrettezze economiche o sociali, ma che si trovano in una condizione di estrema infelicità, o di una condizione spirituale o morale sofferente, o ancora in una situazione esistenziale deficitaria. Il termine stesso greco di povero ptochós non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire soprattutto "mendicante", che chiede l’elemosina della vita.

Il Cuore di Gesù è il simbolo per eccellenza della misericordia di Dio e il crocifisso dell’Amore Misericordioso ha raffigurato sul petto proprio l’immagine di un cuore rosso e sormontato da una scritta, “Charitas”.

Ed è qui che si inserisce in maniera decisiva il nostro carisma, una ricerca della motivazione che stia nell’attenzione all’altro, nell’accorgersi della sua umanità, del prenderla a cuore, del prendersi cura. Alcune volte il pane che doniamo ai poveri non è sufficiente, alcune volte i poveri hanno bisogno di una "corda", per tirarsi fuori da quel pozzo di povertà che li rende così infelici. La carità è la sorgente, il coronamento della misericordia, e questa è il primo "passo" della carità, è il luogo e il segno credibile dell’amore di Dio. La misericordia senza amore può diventare anonima e frammentaria, la carità senza la misericordia può farsi teorica e sterile. Quando la Madre Speranza ha ricevuto la rivelazione dell’Amore Misericordioso, una scelta le è apparsa da subito decisiva: "Gesù ci ha scelte per esercitare a nome suo la misericordia con i poveri e portare ai loro cuori afflitti il balsamo della consolazione"5. Un’impostazione che anche il Papa Francesco ha richiamato nel messaggio per la II°giornata mondiale dei poveri: "la risposta di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità".

Il Cuore di Gesù è il simbolo per eccellenza della misericordia di Dio e il crocifisso dell’Amore Misericordioso ha raffigurato sul petto proprio l’immagine di un cuore rosso e sormontato da una scritta, "Charitas", per ricordare che il cuore misericordioso del Cristo ci attende sempre, è un cuore che ama appassionatamente. È lì, nel fissare quel "cuore rosso", che si comprende, come dice la Madre Speranza, il linguaggio dell’amore; è lì che si capisce che "amare" vuol dire servire, dare la vita. L’amore cresce attraverso l’amore, e l’amore chiama per nome. I poveri non sono utenti, pazienti, malati mentali, anziani, ma sono Antonio, Maria, Carlo, sono così familiari che li chiamo per nome. Solo così posso vedere e ascoltare la loro esperienza per mettermi al loro fianco. È difficile a volte aver il coraggio di guardare una persona in faccia, perché rivela il mio modo di relazionarmi con l’altro.

A questa carità senza limiti e all’attenzione al vero bene dei più bisognosi, la Madre non si stancò di esortare anche i suoi figli, poiché il "distintivo" dell’Amore Misericordioso, doveva essere proprio la carità. Ma più che con le parole, come afferma il primo Figlio dell’Amore Misericordioso, Padre Alfredo Di Penta, lei educò alla carità con il suo esempio: "Figlie mie, vi devo dire che dove non c’è carità verso il prossimo non c’è ombra di perfezione, né di santità. La santità, infatti, consiste essenzialmente nell’amare Gesù e questo amore ha come parte sostanziale il riferimento ai nostri simili. Ne deriva che, per sapere se veramente amiamo Gesù, basta che verifichiamo se nel nostro cuore arde in concreto la carità verso il prossimo; la grandezza di questa sarà la misura del nostro vero amore. Figlie mie, la carità deve essere il nostro distintivo e deve portarci ad amare i poveri come noi stesse"6. Stiamo parlando, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta, o di un panino, o di un piatto di minestra, hanno bisogno di umanità, hanno bisogno dell’attenzione del cuore. Perciò, a ciascuno di noi è necessaria anche, e soprattutto, la "formazione del cuore." Anche noi tutti, dell’Amore Misericordioso, sentiamo questa chiamata che proviene dal "dono" e sappiamo di dover dare una risposta di particolare fedeltà. Non si tratta solo di soccorrere, ma, prima di tutto, di voler bene con affetto sincero e preferenziale a questi fratelli, amandoli per primi, impariamo ad amare tutti, con amore universale.

L’unica prova concreta che noi crediamo e viviamo la paternità di Dio Amore Misericordioso nella nostra vita, è considerare e trattare tutti gli uomini come figli dell’unico Padre

Amandoli per la loro dignità, impariamo a voler bene gratuitamente, senza cercare i nostri interessi, soddisfazioni, affetti, ricompense. Amandoli nella loro povertà impariamo ad amare intensamente, con cuore grande e generoso, a imitazione di Cristo Amore Misericordioso: "La virtù soprannaturale della carità ha per fondamento Dio. Sappiamo che ogni servizio reso al prossimo è fatto a Gesù stesso, il quale prende per sé il bene e il male fatto agli altri e saremo giudicati sull’amore"7.

Nella povertà del misero vedo la povertà di quel Dio che si è spogliato di sé per permettermi di toccarlo. L’unica prova concreta che noi crediamo e viviamo la paternità di Dio Amore Misericordioso nella nostra vita, è considerare e trattare tutti gli uomini come figli dell’unico Padre, quindi come nostri fratelli, il povero esiste perché ci umanizza, i suoi bisogni ci fanno uscire da noi stessi e ci rendono sempre meno attenti ai nostri "egoismi". A tutti noi non verrà richiesta una professione di fede, ma se abbiamo fatto dell’amore divino il centro della nostra esistenza e questo ogni tanto dovremmo ricordarcelo: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, […] e Io dirò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, operatori di iniquità"8.

La misericordia è un’arte che si apprende, imparando a toccare. Ogni volta che Gesù si commuove, si ferma e tocca, tocca l’intoccabile: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain. Toccare è una parola dura, che ci mette alla prova, perché non è spontaneo toccare, non dico solo il mendicante, ma forse anche il contagioso o l’infettivo. Noi facciamo la nostra elemosina, e lasciamo cadere la monetina dall’alto, guardandoci bene dal toccare la mano che chiede, mantenendo la distanza di sicurezza, senza rivolgere un saluto, una parola, e il povero rimane un problema, anziché diventare una fessura d’infinito dell’amore di Dio, la possibilità di incontrarlo. Perdonaci Signore, per l’arroganza che nasce dalla superbia, per il vittimismo con cui sappiamo darci sempre una giustificazione. Perdona Signore, il nostro egocentrismo che ci impedisce di desiderare il bene per gli altri e ci rende incapaci di amare, il malcontento e i contrasti generati dall’invidia. Perdonaci, per la vita senza scopo, il tempo perso e la fuga dall’impegno quotidiano. Perdona le nostre tante omissioni e per la durezza del cuore che si chiude all’amore e per tutte le volte che ci siamo lavati le mani. Scuotici, svegliaci, Signore per non lasciarci nella tentazione dell’egoismo e della chiusura!

 

La misericordia è un’arte che si apprende, imparando a toccare. Ogni volta che Gesù si commuove, si ferma e tocca, tocca l’intoccabile: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain

Fratello mio, vuoi onorare il corpo di Cristo?

"Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione." Quando si è fatta la scelta dei poveri, si è sempre sicuri, doppiamente sicuri, di aver fatto la scelta giusta, si è scelto come Gesù e si è scelto Gesù. Sarebbe così bello il mondo se tutti assomigliassimo sempre così tanto a Gesù al punto da non riuscire più a notarne la differenza. Cominciamo a cercare di vivere come se già valessimo il prezzo che Lui ha pagato per noi! Cominciamo oggi!

Ti prego eterno Amore Misericordioso, lascia che le mie braccia si confondano con le tue ogni volta che il dolore di chi soffre ha bisogno di trovare sul tuo petto un porto sicuro, un luogo di tenerezza nel quale rifugiarsi anche soltanto per piangere o per affidare al silenzio la melodia di una preghiera… Lascia che il mio cuore senta ogni giorno più forte la ricchezza dell’unico e vero amore... il TUO!


1 La Perfeccion della vida religiosa

2 Mt. 25,40

3 Gv. 13, 34-35

4 1 Gv. 3,17-18

5 Consigli pratici (1941) (El Pan 2)

6 El Pan 2,60

7 Consigli pratici (1933) (El Pan 2)

8 Mt. 7, 21-23

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