pastorale familiare Marina Berardi
A
bbiamo ormai tutti familiarizzato con la sigla COVID 19, il virus che ci sta facendo toccare con mano la nostra fragilità ed impotenza, inghiottendoci in un vortice di paura, solitudine ed incertezza. Abbiamo dovuto improvvisamente cambiare i nostri consueti stili di vita al fine di preservare noi stessi e gli altri da un possibile contagio. C’è chi ha risposto a tutto questo con un agire irrazionale ed incontrollato e chi invece ha cercato di sminuire la portata dell’evento.Per un lunghissimo periodo le notizie della Protezione Civile e dei TG sono apparse come un vero e proprio bollettino di guerra dove, in svariate parti del mondo, il genere umano sembrava soccombere sotto l’avanzare del virus, perdendo tante, troppe battaglie e soprattutto troppe vite umane. L’emblema nella nostra martoriata Italia rimarrà per sempre la lunga e inesorabile colonna di camion militari che portava via le bare di chi non ce l’ha fatta, ma anche i volti sfiniti di coloro che ancora oggi continuano a prodigarsi senza sosta in campo sanitario e non solo.
L’elogiabile scelta del lockdown per salvare vite umane, ha purtroppo avuto una dolorosissima ripercussione economica per famiglie e datori di lavoro, al punto da mettere in crisi anche la normale gestione per le necessità primarie.
Un evento di portata mondiale destinato a rimanere nella memoria dell’umanità per sempre. La pandemia ci ha colpiti tutti con violenza inaudita e ha messo in crisi non solo la nostra integrità fisica ma anche l’assetto sociale, la dimensione morale e spirituale. Ogni certezza, ritenuta indiscussa solamente tre mesi fa, è stata messa a dura prova, come l’impossibilità di partecipare alle celebrazioni liturgiche. Dall’altra, il crollo economico ha creato e acuito povertà già esistenti, sebbene abbia fatto emergere piccoli e grandi gesti di solidarietà, spesso nascosti, che sono l’espressione più bella della nostra umanità.
In Europa, siamo stati i primi a dover fronteggiare la terribile emergenza anche se l’Italia è stata provata in modo diverso, con un nord letteralmente flagellato, un centro parzialmente colpito ed un sud dove il virus sembra aver allentato la morsa.
Spinta dalla Parola di Dio che la liturgia pasquale ci offre, ho chiesto a tre famiglie di condividere qualcosa del loro vissuto e ciò che lo Spirito ha operato in loro. È il tentativo di diffondere l’amore e il bene, come vaccino per contrastare la dolorosa sensazione di umana impotenza e di paura. È la ricerca di senso e non del sensazionale. È lo stupirsi nel cogliere che, sia pure attraverso eventi imprevisti e dolorosi, è Dio che bussa alla porta di casa e aprirgli porta a "fare la differenza"; questo è il passaggio che rende le storie "uguali".
Lascio la parola a Maurizio, Laico dell’Amore Misericordioso e medico nella martoriata Lombardia. È lui a farsi voce dell’intera famiglia.
«In tutto questo turbinio di eventi, a distanza di un po’ di tempo e non ancora fuori dal pericolo, abbiamo tentato un bilancio di come la nostra famiglia sta cercando di affrontare la situazione.
Siamo tra coloro che sono stati colpiti da un lutto: abbiamo perso Nino, papà di Elena, anche lui Laico dell’Amore Misericordioso. Seppure le sue condizioni fossero già precarie, la sua mancanza ci ha trovati del tutto indifesi di fronte all’ineluttabilità degli eventi che ci hanno travolto. Ci ha ferito in maniera molto profonda l’impossibilità di vederlo, di condividere con lui la paura della malattia, il non poterlo accompagnare e neppure potergli dare l’ultimo saluto. Ci ha pensato Alina a creare un angolino in casa per ricordare il Nonno.
Mentre i primi provvedimenti di isolamento venivano presi nella nostra regione ed in tutta la nazione, noi stavamo piangendo il nostro caro. Era il periodo in cui già cominciava a prospettarsi il serio pericolo di contagio e così, di comune accordo con Elena, decidemmo che io dovessi trasferirmi lontano dai miei, visto il costante rischio a cui mi esponeva il lavoro.
È stato un lungo periodo di lontananza da tutti, un periodo di grande sofferenza, ma che ho vissuto come una sfida, come se la volontà di Dio in quel momento ci chiedesse questo sacrificio.
Si è trasformato anche in un periodo di grande preghiera: l’interruzione della celebrazione eucaristica in chiesa ha dato la possibilità a me ed a Elena di seguirla quotidianamente lontani, ma uniti nell’Unico Sacrificio e questo ci ha dato forza, pur nelle nostre debolezze. La lontananza ci è costata tanto: Elena si è intristita sempre più, colpita dal lutto, dalla paura del contagio per i bambini e dall’impossibilità di essere insieme, avendo la responsabilità della gestione della famiglia sulle sue spalle. Tutto questo è durato un mese, poi abbiamo dovuto tornare sulle nostre decisioni ed io sono tornato a casa.
Elena, poco a poco, si sta riprendendo ed abbiamo scoperto nuove risorse nella nostra famiglia, costretta a casa forzatamente, così giorno dopo giorno: Francesco ha instaurato un bellissimo rapporto con Alina soprattutto nel periodo in cui io non sono stato in casa, si è anche trasformato nel nostro parrucchiere, oltre ad aver sostenuto tre esami all’università; Manuel è diventato l’uomo di casa, sempre pronto ad aiutare per preparare e sparecchiare la tavola e nei piccoli lavori domestici, senza trascurare compiti e lezioni scolastiche. Insieme cerchiamo di sostenere nonna Dora che si è mostrata forte fino all’ultimo.
Piano piano, anche se molto piano, stiamo riprendendo la normalità, non nel senso che la nostra quotidianità stia tornando come prima, ma nel senso che stiamo riappropriandoci della nostra vita, della capacità di non farci travolgere, provando ad adattarci alle mutate situazioni per continuare a vivere.
In tutto questo, è stata messa alla prova la nostra fede e la nostra capacità di lasciarci plasmare dalla volontà di Dio, credendo che Lui è Amore Misericordioso e che con Lui non possiamo lasciarci sopraffare dalla paura.
Tra i frutti di questi due mesi di lotta, di prova, di vaglio vediamo: una fiducia cercata e conquistata in un mare in tempesta; l’unità come Famiglia, tutti responsabili di tutti, dove nessuno viene lasciato indietro, dove difetti e fragilità sono uno sprone per accoglierci per ciò che siamo. In noi si è fatto strada il pensiero che ognuno è stato scelto da Dio per stare al fianco dell’altro come consorte, come figlio naturale o acquisito, questo non ha importanza, perché tutti siamo famiglia, "uniti come una forte pigna".
Il nostro comune denominatore è stato quello di fare sempre riferimento alla nostra amata Madre Speranza, pregarla e sentire la sua presenza nella nostra casa e in mezzo a noi».
Sì, "uniti come una forte pigna". È così che scopriamo che l’altro è dono, il tempo è dono, tutto misteriosamente è dono perché tutto concorre al bene. Madre Speranza ne era certa: "Il Signore non permetterebbe nulla nella nostra vita se non sapesse di poterne ricavare un bene più grande. Un giorno mi sono imbattuta in un video speciale in cui Marco, un bambino di 11 anni, recitava questa poesia che aveva scritto come compito datogli dalla maestra Emanuela. Nata un po’ controvoglia, diventata una grande cosa: la prof.ssa Mariella la fa trasformare in canzone, con un coro a distanza che ha coinvolto alunni, insegnanti, dirigente, personale Ata e genitori di tutto l’Istituto comprensivo "Foligno 5" che, con l’aiuto dell’insegnante Pantaleo, diventa un bellissimo video.
Dentro ogni bambino c’è una famiglia. Conoscendo i genitori, Paolo e Laura e la sorella Benedetta, ho chiesto loro di condividere insieme a Marco l’esperienza vissuta in terra umbra, segnata dal virus ma in qualche modo risparmiata da una grave emergenza.
«Se dovessimo scegliere una sola parola per descrivere cosa è stato questo periodo per la nostra famiglia, sarebbe: dono. Può sembrare irrispettoso; ovviamente abbiamo avuto e abbiamo ben presente tutto il "male" che questa pandemia ha portato in tutto il mondo, ma guardando in fondo e scavando nel cuore, la parola che risuona alle nostre vite, è proprio dono.
I primi giorni c’è stata la paura, la preoccupazione per la salute, per i nostri lavori e per il nostro futuro, la tendenza a cercare in maniera quasi compulsiva le notizie riguardanti i contagi, i ricoveri, i morti… e l’angoscia aumentava. Poi pian piano ha fatto spazio dentro di noi, accanto alla preoccupazione, la consapevolezza che il tempo che ci viene concesso è "abitato" da uno scambio di doni. Che accanto a quello che ci viene in qualche modo "tolto", c’è qualcosa che ci viene donato.
In primo luogo l’impossibilità di partecipare alla Santa Messa e alle celebrazioni della Settimana Santa, ci ha messo nel cuore una nostalgia che ci ha permesso di scoprire i tanti modi in cui comunque il Signore si dona a noi, ci permette di incontrarLo e di ascoltarLo, attraverso la preghiera personale e in famiglia e attraverso il sacramento stesso del matrimonio, pur restando l’Eucarestia il culmine della vita cristiana.
Pregare insieme per i malati, i medici, gli infermieri e tutti coloro che sono in prima linea nella lotta contro il Coronavirus, ma soprattutto per le persone che stanno morendo da sole, ci fa sentire ancora di più parte di un solo corpo che è la Chiesa.
La libertà di muoverci e il lavoro che ci sono stati tolti hanno portato in dono la possibilità di vivere le relazioni familiari di qualità, in maniera più intensa, ma soprattutto con una "quantità" che non abbiamo mai vissuto e mai più rivivremo.
Ci ha portato in dono la possibilità di fare un "reset" delle nostre vite, portandovi un nuovo ordine, dando le giuste priorità, smascherando il superfluo che ci abita, per riscoprire l’essenziale.
La totale incertezza sul nostro futuro, scoprirci così fragili, vedere che qualcosa di minuscolo e invisibile può in un attimo portare via tutto, ci dona la consapevolezza che non possiamo controllare proprio niente, e che lasciando andare tutto puoi veramente abbandonarti alla Provvidenza e scoprire che "tutto concorre al bene per coloro che amano Dio".
Il Signore sta educando in questo tempo i nostri cuori a vedere ciò che quotidianamente ci dona, piuttosto che ciò che ci viene tolto e ci rendiamo conto che tutto questo è grazia, che non è frutto delle nostre capacità, ma dono di Dio. La paura e la preoccupazione ci sono ancora, ma occupano il giusto posto, il giusto spazio e la giusta prospettiva, perché illuminati dalla luce della gratitudine e dalla certezza che non andrà tutto bene, ma che "sarà per il nostro bene", se solo resteremo uniti a Lui».
A queste parole fa eco l’esperienza condivisa da Carla che, insieme al marito, si è scoperta positiva al covid-19. Entrambi con un fisico provato e per Sauro una miracolosa, seppur lenta, ripresa; entrambi preparati ad un viaggio interiore che alimenta la speranza.
«Due mesi intensi ma, se mi volto indietro, tutto mi sembra avvenuto ieri. Il mio ricovero subito dopo quello di mio marito. Le difficoltà, il suo aggravamento improvviso, quell’ultimo saluto prima di entrare in terapia intensiva, che mi ha sostenuto nei momenti più critici: "Carla, offro tutto al Signore".
Siamo stati ricoverati in due città diverse, preoccupati l’uno per l’altra. Sono stati i nostri quattro figli a prendersi cura di noi. La gioia più grande è stata che nessuno di loro si è ammalato, come pure nessun paziente o anziano che Sauro aveva visitato poco prima che la malattia si manifestasse.
Fisicamente ho sofferto dei classici sintomi dati dal virus e la prima settimana ho vissuto in un continuo torpore. Come già in altre occasioni, ho sperimentato che la sofferenza porta frutto e per questo l’ho offerta per i nostri figli e le loro famiglie. Ho vissuto una vera quaresima e una vera Pasqua: morte e vita si sono affrontate. Ho detto: "Signore, mi affido nelle tue mani e fa di me e di Sauro ciò che desideri, secondo la tua volontà. Tu, Signore, fai meglio di me". Ho sentito diventare leggero il mio giogo nel momento che mi sono abbandonata con fiducia a quanto il Signore avrebbe permesso.
Con l’interruzione della partecipazione alla Santa Messa, avevo intensificato la preghiera e l’adorazione personale e credo che questo mi abbia preparata. Non ho avuto la percezione di essere stata forte, ma piuttosto che fosse il Signore a prendersi cura di noi, che mi teneva in braccio proprio nel momento più duro, quando le condizioni di Sauro sembravano far temere il peggio.
Mentre qualcuno mi ha chiesto da dove nascesse questa fede, altri hanno mostrato meraviglia per il fatto che tutto questo stesse accadendo proprio a noi che portiamo pellegrini a Medjugorje e a Collevalenza, quasi che ciò dovesse renderci immuni. Non è così. Nel Signore la croce è una grazia ed è un modo per cogliere quanta misericordia Lui ogni giorno usa con noi.
Durante il ricovero, ho incontrato un personale sanitario attento sia professionalmente che umanamente, sebbene potessi leggere solo il loro nome scritto in grande sui presidi di protezione. Non potrò mai dimenticare il giorno di Pasqua in cui le infermiere, di cui una con simpatiche orecchie da coniglietto, ci hanno portato gli ovetti di cioccolato. Piccoli gesti che in certe situazioni diventano sconfinati.
In tutto questo periodo, sono stati preziosissimi il telefonino e gli auricolari, che usavo per non disturbare la vicina di letto. Attraverso questi mezzi, ho potuto avere contatti con la famiglia e seguire catechesi, Sante Messe e momenti di preghiera. Non solo una finestra sul mondo ma una porta per abitare il cuore, dove sono custoditi i desideri e l’affetto per tante persone care.
Indimenticabile il giorno del mio ritorno a casa quando ho potuto rivedere i nipotini, con i quali abbiamo improvvisato un balletto, espressione della nostra gioia, io sul terrazzo e loro nel giardino.
Vorrei concludere con un ricordo di quando sognai Madre Speranza, alla quale chiesi cosa volesse il Signore da me. Mi rispose: "A te il Signore ti vuole spezzare". Nel tempo ho capito che ero chiamata ad offrire la mia vita nella quotidianità ed essere nutrimento per la mia famiglia e per i fratelli che continua a mettermi accanto, fino a diventare ministro della Comunione. Tutto è grazia».
Non ci resta che rendere grazie al Signore per il frutto che la potatura dettata dagli eventi ha portato in queste famiglie e pregare per quelle che non riescono a vedere oltre il dolore e che, loro malgrado, soccombono sotto la fatica del vivere.
Signore, tu sei la vite e noi i tralci e sappiamo che senza di Te non possiamo far nulla. Quanto più la strada si fa impervia e buia, aiutaci Signore a dimorare nella tua Parola e a riconoscere il tuo Amore.
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ultimo aggiornamento
23 giugno, 2020