S t u d i |
P. Aurelio Pérez fam |
"INTRA VULNERA TUA ABSCONDE ME!"
1. Le ferite del Signore
A Madre Speranza venne chiesto una volta: "Come vede, Madre, Gesù nell’Eucaristia?". E lei: "Lo vedo con le braccia aperte, mostrando le piaghe al Padre, e intercedendo per tutti noi".
C’è un’antica preghiera, che il popolo di Dio ha fatto sua, "Anima Cristi santifica me!". S. Ignazio di Loyola la raccomanda soprattutto dopo aver fatto la comunione eucaristica. Ricordo che mia madre la ripeteva spesso, con un fil di voce, gli ultimi giorni della sua vita terrena: tra l’altro una delle espressioni su cui non mi ero fermato fino a quei giorni è: "In hora mortis meae voca me!", nell’ora della mia morte, chiamami! (è l’ultima chiamata-vocazione!). In questa preghiera c’è un’espressione sulla quale desidero soffermarmi con l’atteggiamento titubante di chi si avvicina a un roveto ardente: "Intra vulnera tua absconde me!", dentro le tue piaghe nascondimi!
Che mistero quello di Dio, così pieno di amore per noi che anziché salvarci con un intervento onnipotente, spettacolare, manifestando la forza del suo braccio, la potenza della sua destra che di certo non gli manca, preferisce salvarci attraverso delle "ferite", e delle ferite "sue"!
Già il profeta lo aveva detto, contemplando da lontano, nel Servo del Signore, il mistero di una onnipotenza che ci salva attraverso un’apparente impotenza. A fronte di Dio che dice: "È forse la mia mano troppo corta per riscattare, oppure io non ho la forza per liberare?" (Is 50,2), subito dopo il Servo del Signore afferma: "Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi." (Is 50, 5-6).
Non è facile entrare in questa sapienza misteriosa, in cui "quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono" (1Cor 1, 27-28).
Questa difficoltà la sperimentarono bene gli apostoli, che sognavano, come la maggior parte del popolo di Israele, un Messia trionfante, che avrebbe schiacciato i nemici e ristabilito il regno di David. La predizione fatta da Gesù - per ben tre volte! - della sua passione e morte li ha sconcertati, sicuramente confusi, incapaci di capire. E quando è arrivata l’ora, si è realizzata la parola di Gesù: "Rimarrete tutti scandalizzati per causa mia!", e sono fuggiti di fronte alla croce, e poi si sono chiusi nel cenacolo, con le porte sprangate per paura dei Giudei, finché Gesù risorto li ha raggiunti portando la sua pace.
Il braccio potente del Signore ha davvero un modo paradossale di manifestarsi. Solo chi è guidato dallo Spirito di Dio ed è umile, come Maria la Madre del Signore, lo può comprendere: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore…" (Lc 1, 51).
Ecco perché il profeta si chiede pieno di stupore: "Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?" (Is 53,1). Inizia così il quarto e definitivo canto del Servo, che presenta il compimento di questa sapienza misteriosa e salvifica di Dio:
"Egli è stato trafitto per le nostre colpe, |
schiacciato per le nostre iniquità. |
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; |
per le sue piaghe noi siamo stati guariti!" (Is 53,5; cf tutto il canto) |
Anche Pietro, il primo degli apostoli e anche il primo ad essere scandalizzato dalla croce del Messia ("Dio non voglia Signore! Questo non ti accadrà mai!" Mt 16,22s), una volta che ha iniziato a pensare secondo Dio e non secondo gli uomini, scrive nella sua prima lettera: "Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti" (1Pt 2,24).
Chi mai davvero avrebbe potuto capire, se non gli "fosse stato manifestato", questo disegno incredibile di amore e di misericordia? Possiamo solo lodare, benedire, contemplare...
Comprendiamo un po’ meglio perché Gesù risorto si manifesta mostrando sempre le sue piaghe. E ci chiediamo: perché il suo corpo risorto, di Uomo nuovo perfetto, deve manifestarsi con quei segni di sofferenza e morte violenta? Perché quello è il sigillo indelebile dell’amore con cui ci ha amati, impresso nel suo corpo glorioso per l’eternità. E Gesù lo mostra a noi, memoriale perpetuo nell’Eucaristia, e lo mostra al Padre, "sempre vivo per intercedere in loro [nostro] favore" (Eb 7,25).
Nell’omelia della Domenica in albis, della Divina Misericordia, Papa Francesco diceva, commentando l’apparizione di Gesù risorto ai discepoli e a Tommaso:
"Egli offre loro le piaghe. Da quelle piaghe siamo guariti (cfr 1 Pt 2,24; Is 53,5). Ma come può una ferita guarirci? Con la misericordia. In quelle piaghe, come Tommaso, tocchiamo con mano che Dio ci ama fino in fondo, che ha fatto sue le nostre ferite, che ha portato nel suo corpo le nostre fragilità. Le piaghe sono canali aperti tra Lui e noi, che riversano misericordia sulle nostre miserie. Le piaghe sono le vie che Dio ci ha spalancato perché noi entriamo nella sua tenerezza e tocchiamo con mano chi è Lui. E non dubitiamo più della sua misericordia1.
2. Le nostre ferite
Chi di noi può dire che non ha delle ferite? Si possono scrivere libri sulle nostre ferite, piangerci addosso, maledirle o disperarci, oppure prendere atto che, per sua natura, la nostra è una condizione ferita con cui è necessario imparare a convivere. Ho l’impressione che solo i santi, e in qualche modo i poeti e i saggi, rendono ragione di questa nostra condizione che S. Paolo chiama, nella lettera ai Romani, "schiavitù della corruzione", impegnata in un gemito e una sofferenza come di "dolori di parto", in attesa della liberazione (cf Rom 8, 21ss).
Il filosofo Martin Heidegger riconosceva, riferendosi particolarmente a Reiner Maria Rilke, che il poeta riesce a raggiungere il mistero dell’essere in modo più diretto e profondo del filosofo stesso. Lascio allora una parola sulle nostre ferite al poeta spagnolo Miguel Hernández, morto in carcere ad appena 31 anni, dopo la fine della guerra civile spagnola2.
Llegó con tres heridas: |
la del amor, |
la de la muerte, |
la de la vida. |
Con tres heridas viene: |
la de la vida, |
la del amor, |
la de la muerte. |
Con tres heridas yo: |
la de la vida, |
la de la muerte, |
la del amor. |
In modo quasi ossessivo il poeta riassume tutte le ferite umane, alternandone solo l’ordine, nella terna amore, morte, vita. Significativamente l’amore apre e chiude le triadi.
La vita umana inevitabilmente ha le sue ferite, di tanti tipi, che spaziano dai dolori fisici delle malattie, a quelli più profondi della psiche e dello spirito, che si rendono palesi nelle relazioni.
...dice papa Francesco:
“Adorando, baciando le sue piaghe scopriamo che ogni nostra
debolezza è accolta nella sua tenerezza.
Tali ferite sembrano concentrarsi in una sola, inguaribile e tragica, la morte, "da la quale nullu homo vivente pò scappare" (Cantico delle creature di S. Francesco). La morte in vario modo segna tutte le ferite della vita: i vari "distacchi" che ritmano la nostra esistenza, da quello dal seno materno, fino all’uscita da questa vita terrena, sono un po’ esperienze di morte. Si muore, poco a poco, a qualcosa di vecchio per passare a una dimensione nuova. Non è questo il significato della Pasqua, che è passaggio ed è passione, morte e risurrezione?
E che dire della ferita dell’amore? È la più alta di tutte, perché investe la nostra dimensione relazionale, e spazia dalla dimensione dell’eros a quella dell’agape più pura, passando per la filia dell’amicizia con le sue tante sfumature.
E in una visione cristiana della vita, sappiamo che il peccato è la ferita più profonda, che investe le tre dimensioni e - direbbe Kierkegaard - costituisce la vera "malattia mortale".
Gesù, il Figlio di Dio che ha voluto condividere la nostra esperienza umana, in tutto uguale a noi fuorché nel peccato, è venuto tra di noi con queste tre ferite: di vita e di morte, ma soprattutto d’amore. E per fede noi crediamo che solo le ferite di Cristo possono guarire tutte le nostre ferite.
E allora, dice papa Francesco: "Adorando, baciando le sue piaghe scopriamo che ogni nostra debolezza è accolta nella sua tenerezza. Questo succede in ogni Messa, dove Gesù ci offre il suo Corpo piagato e risorto: Lo tocchiamo e Lui tocca le nostre vite. E fa scendere il Cielo in noi. Le sue piaghe luminose squarciano il buio che noi ci portiamo dentro. E noi, come Tommaso, troviamo Dio, lo scopriamo intimo e vicino, e commossi gli diciamo: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28)"3.
3. Le ferite degli altri
Molto spesso l’ostacolo più grande per la serenità della vita è costituito non solo dalla non accettazione delle proprie ferite, ma dall’amaro rifiuto delle ferite altrui. Queste due non accettazioni, ad intra e ad extra, sono strettamente collegate e interdipendenti, perché il più delle volte la non accettazione degli altri e la fissazione carica di giudizio e di condanna sui loro limiti, non è altro che il riflesso della non accettazione delle nostre stesse ferite che vediamo proiettate negli altri4. Gli altri, in fondo, ci fanno solo da specchio, e più che prendercela, arrabbiarci, giudicare o condannare – cosa molto facile e frequente – dovremmo essere grati a chi, con la sua specularità, ci permette di conoscere un po’ meglio noi stessi.
Se, per la grazia di Dio, entriamo in questa sapienza, non solo troveremo più pace e capacità di convivere con le nostre ferite e con quelle altrui, ma scopriremo che questa è una via privilegiata per diventare "misericordiosi come il Padre". Dal rifiutare si può passare ad accettare, anzi ad abbracciare le piaghe degli altri, come ha fatto San Francesco con i lebbrosi. Questa è la via della misericordia e di ogni autentica conversione.
“Io, che tante volte ho ricevuto la pace di Dio, che tante volte ho ricevuto il suo perdono e la sua misericordia, sono misericordioso con gli altri?...”
"Così hanno fatto i discepoli: misericordiati, sono diventati misericordiosi. […] I loro timori si erano dissolti toccando le piaghe del Signore, adesso non hanno paura di curare le piaghe dei bisognosi. Perché lì vedono Gesù. Perché lì c’è Gesù, nelle piaghe dei bisognosi.
Sorella, fratello, vuoi una prova che Dio ha toccato la tua vita? Verifica se ti chini sulle piaghe degli altri. Oggi è il giorno in cui chiederci: "Io, che tante volte ho ricevuto la pace di Dio, che tante volte ho ricevuto il suo perdono e la sua misericordia, sono misericordioso con gli altri? Io, che tante volte mi sono nutrito del Corpo di Gesù, faccio qualcosa per sfamare chi è povero?". Non rimaniamo indifferenti. Non viviamo una fede a metà, che riceve ma non dà, che accoglie il dono ma non si fa dono. Siamo stati misericordiati, diventiamo misericordiosi"5.
"Nelle tue piaghe nascondimi!"
Possiamo comprendere la verità di quella preghiera: "Nelle tue piaghe nascondimi!". Quando sperimento i miei limiti, i miei peccati… le mie ferite!... e ne sento il dolore, e magari mi chiedo perché il Signore non le guarisce definitivamente, perché ancora permette che mi tormentino e affliggano… e quando poi, allo stesso modo, mi chiedo perché gli altri intorno a me hanno quei limiti, difetti, peccati, e mi lamento con me stesso, con Dio e con gli altri… dove cercherò rifugio?
Almeno 5 salmi della Bibbia usano l’espressione "all’ombra delle tue ali" per indicare il rifugio e protezione che troviamo nel Signore:
Custodiscimi come pupilla |
degli occhi, |
all’ombra delle tue ali nascondimi |
(Sal 17, 8) (cf anche Sal 36, 8; 57, 2; 61, 5; 63, 7-8) |
Queste preghiere piene di confidenza e abbandono nelle situazioni dure della vita, indicano la sicurezza che trovo nella mano onnipotente del Signore. Ebbene, quella mano che ha fatto tutto ciò che esiste… è piagata, e mi può proteggere con sicurezza perché "si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori" (Is 53,4).
S. Bernardo fa questo bellissimo commento alle parole del Cantico dei Cantici "O mia colomba che stai nelle fenditure della roccia":
"Un altro ha così commentato questo passo, chiamando «fessure della pietra» le piaghe di Cristo. Giusto davvero. Cristo è infatti la pietra. Buone fessure, che provano la resurrezione di Cristo e la sua divinità. Signore mio, dice Tommaso, e Dio mio! (Gv 20,28). Da dove riportiamo questo oracolo se non dalle fenditure della pietra? In queste il passero ha trovato per sé una casa, e la tortora il nido dove deporre i suoi piccoli (Sal 83,4); in queste la colomba si trova al sicuro e guarda senza paura lo sparviero che vola all’intorno. […]
Che cosa appare attraverso le piaghe, se non le viscere? In che cosa poteva risplendere più chiaro che Tu, o Signore, sei soave e mite e di grande misericordia (Sal 85, 5) che nelle tue piaghe?
È perciò chiaro che ha sbagliato colui che ha detto: la mia iniquità è troppo grande perché io meriti il perdono (Gen 4,13) […] Io invece con fiducia prendo per me dalle viscere del Signore quanto mi manca, perché abbondano in misericordia, né mancano le fenditure per cui possano scorrere fino a me. Hanno forato le sue mani e i suoi piedi, hanno squarciato il fianco con la lancia, e attraverso queste fessure io posso succhiare il miele della pietra e l’olio del durissimo sasso, cioè gustare e vedere com’è soave il Signore. Egli nutriva pensieri di pace e io non lo sapevo. Chi infatti conosce i sentimenti del Signore, o chi fu suo consigliere? (Ger 29,11). […]
Il ferro trapassò la sua anima, e si avvicinò al suo cuore (Sal 104,18) perché ormai non possa più non compatire le mie debolezze. È aperto l’ingresso al segreto del cuore attraverso le ferite del corpo, appare quel grande sacramento della pietà, appaiono le viscere di misericordia del nostro Dio, per cui ci visitò dall’alto un sole che sorge (Lc 1,78). Che cosa appare attraverso le piaghe, se non le viscere? In che cosa poteva risplendere più chiaro che Tu, o Signore, sei soave e mite e di grande misericordia (Sal 85, 5) che nelle tue piaghe? Nessuno infatti ha una compassione più grande di colui che dà la sua vita per gli schiavi e i condannati.
Il mio merito, pertanto, è la misericordia del Signore. Non sono privo di meriti fino a che egli non lo è di misericordia. Che se le misericordie del Signore sono molte, anche i miei meriti sono molti. Che importa se ho coscienza di molti delitti? Dove abbondarono i delitti, sovrabbondò anche la grazia (Rm 5,20). E se la misericordia del Signore è da sempre e dura in eterno (Sal 102,17), anch’io canterò in eterno le misericordie del Signore (Sal 88,1)".
(1) Papa Francesco, Omelia per la domenica in albis della divina misericordia, 11 aprile 2021.
(2) Nativo di Orihuela (Alicante), a pochi chilometri dalla terra natale di Madre Speranza, nella sua infanzia e nei suoi primi studi aveva assorbito una fede e una visione profondamente cristiana della vita, anche se crescendo aveva sposato l’ideologia comunista e militato nel bando repubblicano. Una visione che si riflette in questo suo famoso poema che non ha bisogno di traduzione: Llegó con tres heridas… Venne con tre ferite.
(3) Papa Francesco, Ib.
(4) Carl Gustav Jung ha approfondito questa dinamica in modo acuto e sapiente, definendo la proiezione come un trasferimento inconscio, cioè inconsapevole e non intenzionale, di elementi psichici soggettivi su un oggetto esterno.
(5) Papa Francesco, Ib.
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ultimo aggiornamento
08 maggio, 2021