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Il dono del celibato e le quattro “vicinanze”
«I
l celibato è un dono che la Chiesa latina custodisce, ma è un dono che per essere vissuto come santificazione necessita di relazioni sane, di rapporti di vera stima e vero bene che trovano la loro radice in Cristo». A ribadirlo è stato il Papa, nel discorso di apertura del Simposio internazionale "Per una teologia fondamentale del sacerdozio", promosso dal cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e dal Centro di Ricerca e di Antropologia delle Vocazioni, che si è tenuto nell’Aula Paolo VI dal 17 al 19 febbraio. «Senza amici e senza preghiera il celibato può diventare un peso insopportabile e una contro-testimonianza alla bellezza stessa del sacerdozio», ha detto il Papa, che ha poi aggiunto: «Mi spingo a dire che lì dove funziona la fraternità sacerdotale ci sono legami di vera amicizia, lì è possibile vivere con più serenità anche la scelta celibataria».Al centro dell’ampio e articolato discorso del Pontefice, durato circa un’ora, le "quattro vicinanze" che stanno alla base dell’identità sacerdotale: a Dio, al vescovo, ai presbiteri, al popolo di Dio. «Il cambiamento ci pone sempre davanti a diversi modi di affrontarlo – ha affermato il Papa -: il problema è che molte azioni e molti atteggiamenti possono essere utili e buoni ma non tutti hanno sapore di Vangelo». Due tipi di fuga da evitare: quello del mercenario che vede venire il lupo e «fugge verso il passato o verso il futuro e che non porta a soluzioni mature», e l’atteggiamento che nasce dalla fiduciosa presa in carico della realtà «ancorata alla sapiente Tradizione viva e vivente della Chiesa, che può permettersi di prendere il largo senza paura».
«Qualche sacerdote, qualche vescovo deve essere evangelizzato: questo succede, è il dramma di oggi», ha detto ancora il Papa, secondo il quale «il sacerdote, più che di ricette o di teorie, ha bisogno di strumenti concreti con cui affrontare il suo ministero, la sua missione e la sua quotidianità perché senza una relazione significativa con il Signore il nostro ministero è destinato a diventare sterile».
«Senza l’intimità della preghiera, della vita spirituale, della vicinanza concreta a Dio attraverso l’ascolto della Parola, la celebrazione eucaristica, il silenzio dell’adorazione, l’affidamento a Maria, l’accompagnamento saggio di una guida, il sacramento della Riconciliazione, senza queste vicinanze concrete un sacerdote è, per così dire, solo un operaio stanco che non gode dei benefici degli amici del Signore». «Si è sacerdoti se si è capaci di lasciarsi portare nel deserto, se si ha un cuore abbastanza allargato da fare spazio al dolore del popolo che gli è affidato», ha affermato ancora Francesco. Troppo spesso, invece, «nella vita sacerdotale si pratica la preghiera solo come un dovere, dimenticando che l’amicizia e l’amore non possono essere imposti come una regola esterna, ma sono una scelta fondamentale del nostro cuore». «Quando i preti si chiudono fanno una vita da scapoloni», il monito del Papa, che tra i mali delle comunità ha citato l’invidia, «un atteggiamento distruttivo» che porta al chiacchiericcio e anche a «forme clericali di bullismo».
L’antidoto è l’amore fraterno, che per i presbiteri «non resta chiuso in un piccolo gruppo, ma si declina come carità pastorale, che spinge a viverla concretamente nella missione, poiché l’identità sacerdotale non si può capire senza l’appartenenza al santo popolo fedele di Dio». «E il popolo – ha ribadito Francesco non è una categoria logica, non è una categoria mitica. Il popolo ci chiede pastori del popolo, non professionisti del sacro; pastori che sappiano di compassione, di opportunità; uomini coraggiosi, capaci di fermarsi davanti a chi è ferito e di tendere la mano; uomini contemplativi che, nella vicinanza al loro popolo, possano annunciare sulle piaghe del mondo la forza operante della Risurrezione».
Nella nostra "società di reti", ciò che abbonda è il "sentimento di orfanezza". «Connessi a tutto e a tutti, ci manca l’esperienza dell’appartenenza, che è più di una connessione», la denuncia del Papa, secondo il quale «con la vicinanza del pastore si può convocare la comunità e favorire la crescita dell’appartenenza, l’antidoto contro una deformazione della vocazione che nasce precisamente dal dimenticare che la vita sacerdotale si deve ad altri: al Signore e alle persone da lui affidate».
Ma il clericalismo e la rigidità non appartengono solo per i preti. «Quando penso al clericalismo, penso anche alla clericalizzazione del laicato – ha puntualizzato il Papa – quella promozione di una piccola élite che, intorno al prete, finisce anche per snaturare la propria missione fondamentale del laico. Quanti laici clericalizzati, tanti! È una bella tentazione».
Doriano Vincenzo De Luca
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ultimo aggiornamento
06 aprile, 2022