pastorale familiare Mons. Domenico Battaglia
Arcivescovo Metropolita di Napoli
La Misericordia è la pienezza della Giustizia
alla inaugurazione dell’Anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico interdiocesano partenopeo e del Tribunale metropolitano
È per me un piacere accogliervi qui oggi per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale interdiocesano partenopeo e del Tribunale metropolitano. A nome dei loro Vicari giudiziali e mio personale, desidero salutare cordialmente tutte le Autorità presenti ed in particolare mons. Filippo Iannone, Presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, figlio di questa nostra Chiesa napoletana, che egli ha servito in molteplici modi, non ultimo come Vescovo ausiliare e Vicario generale. In questa felice occasione ringrazio tutti voi che, a diverso titolo, collaborate nei nostri Tribunali ecclesiastici.
Il vostro operato nella Chiesa e per la Chiesa si sforza di rispondere a quell’esigenza profonda di giustizia, che Dio stesso ha posto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. Il fondamento della giustizia nella visione cristiana della vita sta nel considerare il fratello il permanente prolungamento dell’Incarnazione, per cui Gesù stesso ci insegna che tutto quello che abbiamo fatto ai più piccoli, lo abbiamo fatto a Lui (Mt 25,40).
Papa Francesco ci ricorda la freschezza del Vangelo, quando ci fa riflettere sulla misericordia e sul perdono, quale condizione necessaria per vivere la fraternità (Lc 6, 36-38). Sottolinea fortemente che i testi evangelici ci indicano «l’assoluta priorità della "uscita da sé verso il fratello" come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assoluta e gratuita di Dio» (Evangeli gaudium 179).
Il compito di qualsiasi istituzione ecclesiastica è quella di riconoscere che nei fratelli e nelle sorelle si trova la presenza di Gesù Cristo. Diceva San Giovanni Crisostomo che il povero è l’ottavo sacramento che la Chiesa celebra negli emarginati e negli scarti umani (Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, 50, 3-4). La Chiesa con queste istituzioni vuole prendersi cura degli ultimi, dei più fragili, quello segnati dai tanti dolori della vita. In questi luoghi si incontrano tante storie lacerate che cercano un senso più profondo per vivere; cercano un aiuto, un soccorso ai loro drammi personali e familiari. Ognuno di loro nasconde una presenza di Gesù Cristo che ancora oggi ci dice: «ho avuto sete e mi hai dato da bere». Questi uomini e queste donne ci interpellano sulla carità, sul perdono, sul senso di giustizia.
Ognuno di loro è un mondo. Nell’unicità delle loro vite ci chiedono di sentirsi accolti dalla Madre Chiesa; ci chiedono un consiglio e una visione chiara sui loro destini familiari. L’applicazione rigida del principio di uguaglianza, dimenticando quello di diversità, può facilmente portare ad una giustizia ingiusta: perciò la corretta applicazione della legge deve tener sempre conto delle circostanze concrete e singolari in cui ogni uomo vive, della sua storia personale, della sua condizione, con le due ferite e le sue fragilità.
Tutti noi sappiamo bene che anche la Chiesa, Corpo mistico di Cristo e Comunità visibile di fedeli, ha bisogno di norme giuridiche, cioè vincolanti, per regolare la vita al suo interno e così conseguire il fine ultimo, la salvezza delle anime. La filosofia antica ci insegna che la giustizia è una virtù perfetta, perché è esercizio della virtù nella sua completezza, esercitata verso gli altri e non solo verso sé stessi. San Tommaso definisce la giustizia come la costante e perpetua volontà, tradotta in azione, di riconoscere ad ogni uomo ciò che gli è dovuto secondo due principi fondamentali di uguaglianza e di diversità.
Qui entra in gioco il rapporto, talvolta difficile, ma ineludibile, che intercorre tra giustizia e carità. Non esiste vera carità senza giustizia: come ci ricorda Papa Francesco, la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio. Anche don Lorenzo Milano diceva che «la giustizia senza la carità è incompleta; ma la carità senza la giustizia è falsa».
La prima carità, ovvero il primo atto d’amore verso il prossimo, d’altronde, è proprio quella di riconoscere i suoi diritti ed i suoi doveri, la sua dignità e, quindi, la sua responsabilità, cioè la capacità ed il dovere di rispondere dei propri atti e delle proprie scelte. Inoltre, papa Francesco ci ricorda che la forma più alta e più vera della carità è la fraternità: essa, infatti, è l’impegno a far crescere l’altro restituendogli quella dignità che possa farlo tornare protagonista della sua vita. Perciò, alla comunità cristiana tutta è chiesto di imparare l’arte dell’accompagnamento, cioè del prendersi cura delle fragilità per restituire la dignità della vita a chi fa più fatica e sta più indietro.
La carità ci educa a riconoscere negli altri la presenza di Cristo. Non solo si esercita la carità, ma la Chiesa forma all’amore verso Dio e verso il prossimo. Formare all’amore non significa che abbandoniamo il conseguimento della giustizia, ma ci fa entrare nel concreto del vivere quotidiano.
Infatti l’educare nella Chiesa comporta un considerare e custodire i minori. Uno sguardo attento e necessario va rivolto, senza dubbio, anche all’emergenza educativa e alla tutela dei minori. Anche le strutture giuridiche nella Chiesa, devono poter maturare questo sguardo educativo sulla realtà dei più piccoli e dei più fragili. Ed è il motivo per cui ho lanciato per la Chiesa e la Città di Napoli, già da tempo, l’appello ad un nuovo patto educativo. L’impegno per un nuovo patto educativo ha bisogno di un cambio di mentalità, perché i più indifesi, i poveri non siano considerati scarti educativi, ma energie nuove per rinnovare la società umana e la Chiesa stessa. Anche la tutela dei minori, che si inserisce nel quadro di quest’impegno, ha bisogno di questo cambio, perché si possa tutti insieme camminare verso una Chiesa più santa e più giusta ed una società più umana. Per tutelare i piccoli bisogna superare quella mentalità dello scarto umano, per cui chi non ha mezzi economici deve restare in fondo alla fila senza considerare quei talenti e quelle energie che Dio dona a tutti per la edificazione della Chiesa, e potrei dire, per edificare tutta quanta la creazione.
La tutela dei minori implica, quindi, un lavoro sinergico positivo e propositivo, in cui non solo vi deve essere la difesa dei più indifesi, ma l’incoraggiamento ad un cambio di prospettive. La tutela deve diventare proposta di un futuro migliore per chi dalla vita ha avuto solo sofferenze, deve avere il sostegno per sperare ancora e per far crescere le sue aspirazioni più giuste. Il lavoro diventa sinergico, perché investe le istituzioni giuridiche, sociali ed ecclesiali. Sono convinto che la tutela dei minori è un pilastro del patto educativo che consente di avanzare nel rinnovare le relazioni sociali, rendendole più autentiche e più giuste.
Allora, non esiste vera giustizia senza carità, in quanto è l’amore che spinge a fare nostra la domanda più profonda di chi si sente schiacciato dai meccanismi di ingiustizia, di che fa più fatica, di chi è più fragile e vulnerabile, di ogni piccolo, di chi non ha voce.
Permettetemi, quindi, di concludere questo mio breve saluto augurando a tutti voi che operate nei Tribunali, sia ecclesiastici che civili, di saper cogliere fino in fondo questa sfida: vivere una giustizia animata da una autentica esigenza di carità.
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ultimo aggiornamento
06 aprile, 2022