Festa del Santuario |
S.E. Gualtiero Sigismondi |
Omelia di S.E.
Gualtiero Sigismondi,
vescovo di Orvieto-Todi
Festa del Santuario
Collevalenza - 25 settembre 2022
Dio, ricco di misericordia": questa è l’acclamazione con la quale l’autore della Lettera gli Efesini confessa che Dio, "per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo" (Ef 2,4-5).
Il termine "misericordia" è composto da due parole, "miseria" e "cuore", riferite, rispettivamente, all’uomo e a Dio. Il cuore di Dio batte forte "per noi uomini e per la nostra salvezza": "Egli manifesta la sua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono". "La misericordia è saperci amati nella nostra miseria. Non si può capire la misericordia – avverte Papa Francesco – se non si capisce la propria miseria (…). Con la misericordia di Dio può parlare soltanto la nostra miseria. Se qualcuno di noi pensa di arrivare alla misericordia per un altro cammino, che non sia la propria miseria, ha sbagliato strada (…). Misericordia è l’esperienza di sentirci accolti, rimessi in piedi, rafforzati, guariti, incoraggiati. Essere perdonati è sperimentare qui e ora ciò che più si avvicina alla Risurrezione. Il perdono è passare dalla morte alla vita, dall’esperienza dell’angoscia e della colpa a quella della libertà e della gioia (…). Nella propria miseria sempre troveremo una luce che è la strada per andare al Signore: è Lui che fa la luce nella miseria. Può custodire la bellezza della misericordia chi è consapevole della propria miseria".
Fratelli e
sorelle carissimi, la miseria appartiene alla debolezza della natura umana.
Guai a rimanere imprigionati nello scandalo dei nostri limiti, che spesso
impedisce di guardare la vita come una continua possibilità di ripartenza.
Quante volte abbiamo osato pensare che non avremmo ripetuto gli errori
commessi e ci siamo poi ritrovati a fare i conti con quello che la nostra
presunzione ci aveva illuso di dominare? Come sarebbe invece più liberante
e, dunque, più umano prendere atto con sano realismo dei nostri limiti e
disporre il cuore ad accogliere la misericordia che Dio è sempre pronto a
concederci se solo volgiamo a Lui il nostro sguardo, se riconosciamo che di
Lui non possiamo fare a meno e che soltanto dalla forza rigeneratrice del
perdono può venire l’energia per rialzarci dopo ogni caduta e ripartire.
L’ultima parola della nostra esistenza non è una sentenza di condanna ma un
abbraccio d’amore. L’uomo, per quanto possa voltare le spalle a Dio, non può
cancellare l’impronta del dito della Sua mano, che
l’ha plasmato "a Sua immagine e somiglianza" (cf. Gen 1,26). Tutti
noi siamo, per così dire, "firmati" da Dio, "tatuati" da Lui: il "tau" della
Sua croce, scritto con il suo preziosissimo Sangue, chi può cancellarlo?
Fratelli e sorelle carissimi, la misericordia non è una qualità tra le altre di Dio, ma il palpito del suo stesso cuore. La divina misericordia non cambia i connotati del peccato – il bene è bene e il male è male -, ma lo brucia in un fuoco d’amore. L’azione misericordiosa di Dio precede il pentimento dell’uomo. La misericordia ha sempre la precedenza sul pentimento, massima espressione della nostra libertà: il primo passo è sempre quello di Dio; il primo sguardo benedicente è sempre il Suo. L’uomo, quando dialoga con Dio, non può rinunciare a fare appello al Suo amore, osando dire: "Ricordati di noi, Signore, nella tua misericordia". Anche nel verbo "ricordare" è iscritto lo stesso termine, "cuore", custodito nella parola "misericordia". Il cuore di Dio è quello "mite e umile" del Figlio Suo (cf. Mt 11,29): mitezza e umiltà sono la sistole e la diastole del Suo amore misericordioso, che vuole aver bisogno del nostro cuore "contrito e umiliato".
Mitezza e umiltà impregnano le risposte che Gesù dà a Pilato nell’interrogatorio che precede la condanna a morte (cf. Gv 18,33-38.19,12-16).
Pilato è stretto tra l’incudine della voce della sua coscienza e il martello dell’urlo della folla: tenta di placare la folla sedando la propria coscienza, ma invano. "Che cos’è la verità?" (Gv 18,38): nel porre questa domanda, Pilato non dà a Gesù il tempo di rispondere, ma esce di nuovo verso i giudei nel disperato tentativo di non consegnarlo alle loro mani inique. Con questo gesto, una sorta di appello, egli cerca, inutilmente, di abbassare non solo il chiasso della folla, ma anche il tono della sua coscienza, che non gli concede di preferire Cesare a Dio. Il profondo silenzio con cui Gesù si lascia consegnare nelle mani dei giudei costituisce la "colonna sonora" della divina misericordia. Il volto di Gesù, che illumina il Crocefisso custodito in questo santuario, ci esorta alla confidenza e alla fiducia, ci guarda serenamente e ci accoglie, attraendoci nell’abbraccio di Dio, Padre misericordioso.
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ultimo aggiornamento
12 ottobre, 2022