ROBERTO LANZA

 

"e così, come per avere un grande covone di grano occorre seminare un piccolo seme, coprirlo con la terra, straziarlo con acqua, sole, freddo, neve e finalmente farlo marcire e annientare perché fruttifichi e produca grano in grande abbondanza".

(Diario)

… Continua dal numero precedente di aprile…

Chi di noi non ha mai visto un covone di grano, ossia quel fascio di steli di grano falciati alla base, con in sommità le spighe. Eppure, forse ignoriamo il tanto lavoro che c’è dietro la "riuscita" di realizzare un covone. Un duro lavoro che abbraccia quasi un intero anno passando per quasi tutte le stagioni: in autunno il grano si semina e lo si lascia riposare dentro la terra, presto si formerà la spiga con tanti minuscoli fiori. Ogni fiore fecondato dal polline formerà un chicco, ossia il seme del grano. In estate la pianta completerà il suo ciclo: la bella spiga è tutta piena di chicchi. Infine, nel mese di luglio tutto il grano sarà pronto per essere mietuto e organizzato in covoni pronti all’uso.

Tuttavia, nelle varie tappe di questo procedimento, non fila così tutto "liscio" come lo abbiamo descritto.

Spesso si incontrano terreni sabbiosi, che sono meno dotati per ricevere una semina, terreni argillosi, che richiedono una lavorazione profonda e duratura nel tempo per permettere la semina, terreni umidi, che favoriscono lo sgretolamento delle zolle con poca aderenza del terreno, oppure terreni troppo "duri", dove la terra non permette una coesione coerente con la semina. Nella semina c’è sempre bisogno di lavorazioni manuali per aiutare il seme a crescere. Spesso c’è bisogno di lavori "complementari" con i quali si prepara al meglio la semina con attività che si inseriscono fra la lavorazione principale e la semina stessa.

Se così vale per un piccolo seme, perché per il nostro essere, per il nostro cuore, per la nostra anima dovrebbe essere diverso? Perché il Signore non dovrebbe usare gli stessi metodi per farci crescere nella santità? Perché per portare frutto lo Spirito Santo non dovrebbe lavorare in profondità, nel terreno della nostra vita? Ma vale proprio la pena crescere?

Crescere è una lotta interiore, dentro ognuno di noi c’è un seme, un seme potente: Dio vive e lavora dentro di noi PER LA NOSTRA CRESCITA. Questo piccolo seme, dentro di noi, giorno dopo giorno, silenziosamente, cresce con forza inesauribile, e da piccolo seme può diventare un grande albero, ma come ogni seme anche questo deve essere coltivato con costanza e attenzione. Camminando ci accorgeremo che, se da Dio vengono i doni, se da Lui viene la grazia, quasi nulla sboccerà senza però la nostra collaborazione, il nostro impegno, la nostra fatica. Ma i frutti di questo processo non si possono vedere subito, si possono intravedere, immaginare, ma prima di ogni altra cosa ci vuole la fiducia e la pazienza di chi li vuol vedere crescere; ogni cosa che cresce, prima è come nascosta, poi è piccola e nel tempo diventa sempre più grande. Nella nostra vita, ci capita spesso di ricevere dei regali, al compleanno, alla laurea, o in altre occasioni, che non apprezziamo, poi però passato un pò di tempo li riguardiamo e ci sembrano diversi e magari utili, molto utili. Anche Dio ci dona dei regali che a volte non capiamo nella loro forma, nel loro contenuto, nella loro utilità.

Il seme è una piccolissima cosa, ma contiene misteriosamente la vita, una potenza vitale straordinaria. Chissà quante volte hai pensato: "Che cosa me ne faccio di un seme?" e magari lo butti lì nella terra senza pensarci due volte e di lui non ti ricordi più. Dopo un po’ di tempo ritorni vicino a quella terra, senza ricordare che lo avevi buttato e ti domandi: Cos’è quella piccola cosa? e magari passi oltre. Dopo ancora un po’ di tempo però ci passi accanto e scopri una stupenda pianta carica di fiori bellissimi e guardandola ti meravigli. Dopo ancora del tempo, incuriosito dalla bella pianta, la vai ancora a vedere e la scopri carica di magnifici frutti, con a loro interno dei semi. Ecco, hai compreso tutto: era quel regalo che ti era stato fatto, il seme, che non ti piaceva, che trovavi inutile e del quale non ti ricordavi più, ma che ora sei felice che ti abbiano fatto frutto. Lì, in quella stupenda pianta, ci sono molti semi che sono a tua disposizione, puoi scegliere se buttarli nella spazzatura o se utilizzarli e magari offrirli ad altri, perché abbiano la tua stessa meraviglia e la tua stessa gioia. Così, infatti, è per la nostra vita: è come questa piantina più la curi, le doni il tuo affetto, le tue attenzioni, più migliora, cresce, e a modo suo ti dona qualcosa, ti fa vedere che grazie a te cresce vigorosa, lucente, forte, resistente alle tempeste.

Spesso ci affanniamo ogni giorno, ogni istante pensiamo a cosa dobbiamo fare l’istante successivo, programmiamo il nostro futuro vogliamo avere tutto sotto controllo. Pensiamo così di poter gestire la nostra vita, decidere la direzione che dovrà prendere, quali e quanti angoli svoltare e soprattutto quando, ma non ci rendiamo conto che la vita procede inesorabile senza che noi possiamo fare nulla per modificarla nei suoi tratti essenziali. La fecondità dei semi divini è misteriosamente nascosta, non ha nulla di appariscente e di clamorosamente visibile; la si può scorgere solo con l’occhio della fede, che ci aiuta a comprendere, ma non ci svela mai completamente il mistero che racchiude. Sembra che tutto sia troppo piccolo ai nostri occhi, sembra che i granellini di Dio, sparsi per il mondo, siano inadeguati a confronto con le nostre attese e le nostre smanie di grandezza. C’è poi l’impazienza che ci "distrugge" dentro e non ci consente di attendere che il seme germogli e cresca.

Dio vede il nostro tempo e la nostra vita in chiave di eternità e quindi lo scandisce secondo un suo piano inscrutabile. Non ci è dato di conoscere neanche il tempo della mietitura o della raccolta dei frutti. Ci sfuggono perfino i criteri per valutare la crescita del Regno. Neanche le misure di Dio corrispondono alle nostre. Tutto questo però non significa che Egli ci voglia lasciare completamente al buio: il suo piano universale di salvezza ci riguarda direttamente e la crescita del seme significa, per noi, l’incarnazione nel tempo e in ciascuno di quel progetto. Ci dona perciò la fede, che dobbiamo alimentare con le altre virtù cristiane, specialmente con l’umiltà e la purezza del cuore. Tutta la nostra esistenza, infatti, è una chiamata alla conversione del nostro cuore, a trasformare in resurrezione ogni nostro piccolo istante vissuto su questa terra. Conversione significa cambiare atteggiamento, significa ri-orientare la nostra vita: questo è il frutto che ci è richiesto. È la grande responsabilità che viene a noi dai doni che il Signore ci ha dato.

Così l’amore che Egli ci porta, se rifiutato, diventa ragione della nostra condanna: "Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo"1. Un seme deve marcire nel terreno per diventare fiore e ti rendi conto che tanta ombra è preludio di un nuovo sole, il vero sole, che non vorrà dire smettere per sempre di soffrire, ma farlo in modo più adatto al peso che possiamo portare. Chi ama la sua vita la perde e per portare frutto bisogna che questo chicco scenda giù nel profondo, ed è solo nel profondo del nostro cuore che il chicco riesce a marcire; è nel profondo di noi stessi che c’è tanta di quella "sporcizia", che è necessaria per far marcire il chicco.

Ah, che spreco! Questo bel chicco, farlo marcire così!

Eppure, bisogna piantarlo nella terra del nostro cuore, lasciarlo marcire con l’umidità della grazia e con il calore dello Spirito Santo, perché possa dare frutto, affinché possiamo liberare quella carità che è dentro questo chicco, che è dentro la nostra vita. Quel chicco siamo noi, dobbiamo riscoprire il senso del nostro essere sepolti e grazie al Battesimo siamo già sepolti, siamo già sottoterra per marcire nella morte del Signore, per poter camminare in una vita nuova. E se non l’abbiamo sepolto, ossia se non abbiamo accettato e non accettiamo ogni giorno questa sepoltura nella morte del Signore e che ogni giorno dobbiamo realizzare: ebbene, questa carità di misericordia che vive dentro al seme, rimarrà per sempre soffocata, prigioniera, sterile.

E su questa grazia che è lo Spirito Santo che geme in noi, che vive in noi e che vuol uscire, noi continuiamo a buttarci terra arida, se non addirittura l’asfalto o la betoniera di cemento, perché non venga su e ci cambi il cuore. Allora dobbiamo guardare al Signore e lasciarci attirare dalla sua misericordia, che ci ha dato la possibilità di vivere e già di risorgere. Dobbiamo accettare di essere sepolti e di approfondire questa sepoltura nella morte del Signore. La sepoltura è andare sotto la terra delle nostre apparenze, del nostro apparire, del nostro riuscire, delle nostre idee, del nostro egoismo, della nostra superbia, del nostro peccato. Il Signore ci dice di guardare a lui, di fare come lui: il chicco che muore per dare la vita a noi. Dobbiamo accettare di essere sepolti nella sua morte, per vivere la sua vita di risorto.

Anche nei momenti in cui magari ci sembrerà che Dio ci abbia dimenticato, all’improvviso, quando meno ce l’aspettiamo, ci arriverà il suo aiuto, Lui ci verrà a rialzare e ci riempirà di tutto il suo amore. Come sono vere le parole di Gesù "…se rimanete nel mio amore, se rimanete in me, anche tra voi scenderà la mia pace e io dimorerò con Voi"2. Ma non dobbiamo mai dimenticare che vedere i frutti non serve, se non si è compreso il valore della semina.

Esiste, infatti, un Dio completamente innamorato dell’uomo, un Dio fortemente interessato e pienamente impegnato verso tutti gli "alberi" che non producono frutto. L’Amore Misericordioso non si arrende di fronte all’aridità del cuore umano e continua a riversare su di esso tutte quelle cure amorevoli che sono necessarie perché esso si svegli dallo stato di torpore improduttivo, per fargli conoscere nuove stagioni primaverili. Dio ha pazienza con noi: ci zappetta intorno, ci cura, e ci concima perché portiamo frutti. Allora se guardiamo alla nostra storia personale, riconosceremo che Dio è stato infinitamente paziente con noi. Aspetta con pazienza l’ora della nostra conversione, l’ora nella quale il suo Amore Misericordioso ci perdoni, ci guarisca le ferite più profonde e ci faccia rinascere a vita nuova: "Ricordiamoci bene questa grande verità: […] Al sacrificio deve unire un grande amore, lasciarsi umiliare come il chicco di grano che, per dar vita ad altri chicchi di grano, si lascia nascondere sotto la terra, per marcire e morire"3.

Coraggio fratello mio, solo nel solco dell’Amore Misericordioso potremo macerare, solo camminando mano nella mano con il Cristo, capiremo che il "dolore" è il primo necessario passo per risorgere a vita nuova e portare frutto. Anche noi possiamo essere il seme che dà la vita quando non pensiamo solo a noi stessi, ma ci apriamo all’amore di Dio e lo doniamo agli altri. Dal morire a noi stessi e alla nostra superbia, proviene la vera vita, una vita donata per portare la luce dell’amore di Dio ad ogni uomo.

Non sempre quello che desideri è quello che necessiti!

Fratello caro, ti voglio raccontare una storia: "Un chicco di frumento si nascose nel granaio, non voleva essere seminato, non voleva morire, non voleva essere sacrificato. Voleva salvare la propria vita. Non gliene importava niente di diventare pane, né di essere portato a tavola, né di essere benedetto e condiviso. Non avrebbe mai donato vita. Un giorno arrivò il contadino ed insieme alla polvere del granaio spazzò via anche il piccolo chicco di frumento"4.

Fratello mio, fai spuntare il grano dalla tua vita…!

E così sia!

(continua)


1 Lc. 13,3

2 Gv. 15

3 El Pan 2,34

4 Bruno Ferrero, Bollettino Salesiano 2016

 

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ultimo aggiornamento 15 luglio, 2023