ROBERTO LANZA

 

"e ancora tutto ciò non basta perché il frutto possa servire come nutrimento per l’uomo, ma occorre che il grano venga triturato, poi macinato e trasformato in polvere".

(Diario)

… Continua dal numero precedente di giugno…

Sembra che abbiamo detto tutto negli articoli precedenti eppure non basta, manca ancora qualcosa; sappiamo benissimo che il grano è utilizzato per l’alimentazione umana. Attraverso il grano "lavorato", si ottengono farine con le quali si possono ottenere pane, paste alimentari fresche, biscotti, dolci, e altri prodotti da forno. Ma per assolvere a questo compito il grano deve essere triturato e macinato.

Che cosa ci richiama questo procedimento? Cosa ci fa venire in mente?

La risposta è molto semplice: il momento della frantumazione richiama l’eucarestia, se il grano non viene frantumato, non può prendere la forma del pane. Fermiamo, dunque, almeno per qualche momento, la nostra attenzione su questa parola: pane. Una parola così comune, così ripetuta e familiare, presente nella preghiera che Gesù ci ha insegnato: dacci oggi il nostro pane quotidiano. C’è un bellissimo testo patristico che dice così:

Frumento di Cristo noi siamo, cresciuto nel sole di Dio,

nell’acqua del fonte impastati, segnati dal crisma divino.

In pane trasformaci, o Padre, per il sacramento di pace:

un Pane, uno Spirito, un Corpo, segnati dal crisma divino.

la Chiesa una, santa, o Signore.

L’essere trasformati in pane, pertanto, è figura del diventare cristiano. L’essere cristiano ha il carattere del pane. La parola dell’eucarestia, infatti, ci fa partecipi della grande storia della nostra salvezza, le nostre piccole storie vengono innalzate nella grande storia di Dio e là viene assegnato il loro posto che è unico. L’eucarestia ci innalza e ci fa vedere che la nostra vita quotidiana e ordinaria è in effetti vita sacra che svolge un ruolo necessario nell’adempimento delle promesse di Dio. Questa Parola vivente di Dio, assume la condizione umana non soltanto "per abitare in mezzo a noi", ma per diventare cibo per gli uomini, quindi la vita di Dio offerta come nutrimento. Il segno del "pane" ci richiama a saper dare il pane ai fratelli, che significa dare amore, dare attenzione, dare assistenza, dare risposta alle domande. Con il termine "pane" possiamo intendere pure altre realtà necessarie alla vita dell’uomo: affetto, compassione, comprensione, solidarietà. Esistono bisogni urgenti del nostro prossimo, cui è necessario provvedere subito: la gente ha fame.

Il primo atto di misericordia inizia proprio dalle necessità primarie, dal pane quotidiano. Davvero non c’è amore più grande di questo: dare la vita per le persone che si amano. Capiamo, allora, che, in fin dei conti, con la parola pane si vuole rappresentare tutto ciò che è necessario alla vita. Il pane è sempre realtà da condividere, da spezzare. Il nostro "essere spezzati" ci apre ad un modo più profondo di condividere le nostre vite e di offrire speranza l’uno all’altro, così come il pane ha bisogno di essere spezzato per essere dato, così è anche per le nostre vite. E’ la vita stessa che si fa nutrimento, dono; il Signore sta chiedendo tutto, in modo completo e totale, senza riserve, mezze misure.

Diventare pane spezzato è lasciarsi modellare, impastare da Dio, lasciarsi cuocere dal fuoco del suo Spirito e del suo amore, per poi lasciarsi spezzare per essere mangiato da tanti; diventa il dono della vita fatto quotidianamente e totalmente. Nell’eucaristia Gesù ha identificato proprio la masticazione come il primo elemento della comunione eucaristica: è il "pane vivo", il nutrimento indispensabile. Se il fine dell’eucarestia è la comunione: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui"1, questa si realizza mediante la manducazione. Se Gesù voleva istaurare una permanenza solo visiva, poteva scegliere altri segni, ma egli ha istituito l’eucarestia per essere mangiata.

 

Che stupendo mistero è questo!

La nostra più grande realizzazione sta nel dare noi stessi agli altri, una vita felice è una vita per gli altri. Nel dare diventa chiaro che siamo stati scelti, non semplicemente per noi stessi, ma perché tutto ciò che noi viviamo trovi il suo significato finale nel suo essere vissuto per gli altri. Ecco perché poi Il crocifisso dell’Amore Misericordioso ha un’Ostia dietro i due legni della croce. Cristo con il sacrificio di sè stesso, ha pagato il prezzo della nostra redenzione e quest’offerta vittimale, è inseparabile dal suo essere e sentirsi consacrato da Dio, quindi in sostanza, Egli è simultaneamente sia Sacerdote, sia Eucaristia (Ostia).

È un Cristo vivo, sereno, con gli occhi rivolti verso l’alto, un "immagine" che fa comprendere molto bene ed in maniera determinante che Gesù si è offerto in nutrimento per darci la vita: "Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio."2 È il rivivere fino in fondo l’espressione latina dell’Ite missa est. La Messa finisce, perché essa possiede la dinamica del "lievito della terra". Ovvero è qualcosa che è molto piccolo. Il lievito non si sente, eppure senza lievito il pane non cresce e non è buono. Così la Messa serve alla vita e non il contrario. I fedeli, specialmente quelli che hanno comunicato al Corpo e Sangue del Signore, sono invitati a vivere in modo eucaristico la loro esistenza ordinaria e quotidiana, prolungando, quindi, nella vita tutto ciò che hanno celebrato. La Messa deve diventare vita, amore, missione. La vita di Cristo viene "spezzata", "macinata", "triturata" per noi e anche noi dobbiamo offrirla, donarla per gli altri.

Ma allora come fare per essere triturati, poi macinati ed infine trasformati in polvere?

Per prima cosa bisogna lasciarsi preparare. Eucarestia significa raccontare, un incontro. Gesù prepara questo incontro, il cristiano deve lasciarsi preparare ad incontrare il Padre. La vera preparazione al decimo gradino sono i nove gradini precedenti, e il decimo gradino spiega e giustifica i nove precedenti. Sei tu il seme, quando ti metti nelle mani di Dio. Quando lasci fare a lui. Quando è lui che compie e realizza. Il vero amore è amare e lasciarsi amare. È più difficile lasciarsi amare che amare. Dio possiamo amarlo, ma la cosa più importante e necessaria è lasciarsi amare da Lui. La creta non pensa come modellarsi, neanche ha un’idea di cosa vorrebbe essere, a lei il vasaio o l’artista una cosa sola chiede: lasciarsi modellare.

Poi bisogna, lasciarsi abbracciare. Se, infatti, la Messa è un incontro abbraccio, non occorre far altro che lasciarsi abbracciare. L’abbraccio non è l’incontro della punta delle dita, ma di tutto il corpo. Gesù lo vuole realmente, ci mette tutto il Suo corpo, il tutto di Se stesso, tutto ciò che Egli è, senza riserve, corpo sangue anima e divinità. L’abbraccio esige che all’intenzione del darsi si congiunga il darsi effettivo, ed un darsi per essere ricevuto. Segno di qualcosa che nutre e che deve essere non contemplato, ma assunto, incarnato. L’eucarestia è il sacramento di una assimilazione e l’abbraccio si compie solo se si è su di un livello comune. Così, un adulto può abbracciare un bambino solo a condizione di abbassarsi al suo livello o di alzare il bimbo al suo. Gesù vuole l’uomo, proprio lui, così come è, e quindi lo va a prendere là dove realmente si trova, nella debolezza della "condizione secondo la carne." Ciò esprime qualcosa di intimo, di personale, un contatto diretto. Il credente ha un rapporto particolare con il Padre; Il rapporto di un padre con il proprio figlio. Non solo nella stessa casa, ma fra le sue mani. Il desiderio di essere da lui amato, consolato, incoraggiato e anche corretto.

Infine, bisogna donare tutto ciò che si è: l’offerta di Gesù è senza riserve, questo vuol dire che Gesù si dona tutto per avere tutto. L’offerta totale chiama una risposta totale. Quindi, diventare "cibo" per offrirsi in totalità. Convincersi che se Gesù dà il tutto di Sé è perché vuol il tutto di me, e quindi portargli la disposizione di fondo di una resa incondizionata a qualunque Sua richiesta, di un darsi senza riserve, di un lasciargli carta libera in tutto.

E ben più che eseguire dei riti, è portare a Gesù la decisione di dare il tutto di sé. Questa è la vera Eucaristia, il solo ringraziamento che il Padre riconosce, la sola "lode" che si attenda, la sola "adorazione" che voglia, perché in questo dono, e solo in questo dono, consiste la Sua "gloria". Essere macinati per portare nel mondo l’amore totale del Padre, un amore totale per gli uomini, una volontà pronta, ed un amore risolutivo per ogni rinnegamento del proprio io.

 

La Madre Speranza evidenziava con molta chiarezza questi passaggi eucaristici: "Non è degno del Vangelo chi non è disposto a lasciarsi umiliare come il chicco di grano che, per dare vita a molti altri chicchi, si nasconde sotto terra, marcisce e muore...è nella Croce che si impara ad amare Gesù è lì che si apprende la lezione dell’amore..., se non passiamo per questa scuola di virtù non giungeremo alla perfezione dell’amore." E ancora scriveva: "Mi dici, Gesù mio, che l’amore se non soffre e non si sacrifica non è amore. Che insegnamento, Dio mio!"3

Cadere in terra e morire, non è dunque solo la via per portare frutto, ma anche per "salvare la propria vita", ossia per continuare a vivere! Che succede al chicco di grano che rifiuta di cadere in terra? O viene qualche uccello e lo becca, o inaridisce e ammuffisce in un angolo umido e tutto finisce lì. In ogni caso, il chicco, come tale, non ha "futuro". Se invece viene seminato, rispunterà e conoscerà una nuova vita. Dobbiamo cercare di seguire e compiere, in noi, quella "sofferenza" che perfezio­na nell’amore il nostro essere; in altre parole, abbracciare con amore la vita di ogni giorno con la croce quotidiana: "Mediante la croce Gesù salvò il mondo; mediante la croce noi dobbiamo lavorare con Lui per la santificazione nostra e del nostro prossimo. Certo, la sofferenza è per se stessa dura; però non lo è più quando contempliamo il buon Gesù che, per salvare noi e i nostri fratelli, ci precede portando la sua pesante croce".4 Il buon Gesù ci ha rivelato che "il chicco di grano se muore porta frutto", ed ora sappiamo che la sofferenza non è un assurdo insopportabile peso che ci prostra a terra e ci fa perdere la gioia di vivere.

Nella sua grazia ogni dolore offerto per amore porta grandi frutti!

 

Non sempre quello che desideri è quello che necessiti. La spina di oggi sarà il fiore di domani! Siamo tutti pieni di ferite, ma se lo vogliamo, Dio sa fare meraviglie con le nostre sofferenze e debolezze.

 

Per concludere, un’ultima cosa.

SI, ci nutriremo ancora del pane della misericordia, perché solo così potremo entrare fiduciosi nella porta della nostra vita ed essere testimoni di resurrezione per chi ancora vive nelle tenebre, solo così saremo, ad immagine del Cristo, nutrimento di misericordia, pane di salvezza per ogni uomo. Noi possiamo essere buon pane, se in mezzo alle persone, portiamo la presenza di Dio, la sua grazia, la sua misericordia. Dobbiamo continuare a credere che ogni uomo ha dentro di sé un seme di grazia e che vale la pena lottare per un mondo migliore.

 

Fratello mio, se non vuoi essere seminato, nemmeno potrai diventare una bella spiga, piena di tanti chicchi, che macinati, diventeranno buon pane per sfamare tante persone... beati davvero noi se impastati dall’amore diventeremo pane fragrante, pronti ad essere mangiati…sarà la felicità di sapere che l’Amore Misericordioso mi ha messo insieme a Lui in quell’ostia offerta al Padre.

 

E così sia!

(continua)


1 Gv. 6,56

2 Gv. 10, 17-18

3 Diario, Roma 2 dicembre 1941

4 Nel 25º anniversario della fondazione delle aam (1955) (El Pan 15)

 

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ultimo aggiornamento 07 agosto, 2023