Il tuo Spirito Madre a cura di P. Mario Gialletti fam
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are figlie, una di voi mi chiedeva: «Madre, che cos’è il sacramento della penitenza? Che sarebbe dell’uomo senza la confessione sacramentale?». Il sacramento della penitenza, figlia mia, per quanto riguarda il peccatore è semplicemente la manifestazione addolorata delle proprie mancanze fatta con sincerità al ministro di Gesù per ottenere il perdono dei peccati.L’uomo col peccato si condanna a non partecipare alla grazia inestimabile dell’eternità, dato che l’atto con cui pecca è come una tessera personale sulla quale egli stesso certifica la propria sentenza di condanna, rimanendo l’anima in uno stato insopportabile di disgrazia e di miseria, tale da doversi piangere con lacrime di sangue.
In molte anime esiste un sentimento di naturale dignità che le innalza ai loro stessi occhi, senza orgoglio. Da ciò deriva che operando il bene sentiamo in noi graditissima l’eco della nostra buona coscienza, quella eco lusinghiera che, nella convinzione delle persone stesse del mondo, è la più dolce ricompensa alla virtù.
Al contrario, l’uomo che è stato infedele ai suoi doveri morali, anche solo una volta e per debolezza, che ha perso miserabilmente l’innocenza trascinato dalla seduzione del piacere proibito dalla legge di Dio, che ha peccato in materia grave, di qualsiasi specie sia la sua mancanza, deve sentire dentro di sé, prima o poi ma normalmente nell’istante successivo alla colpa, una eco che fa male, una voce di dolore, un grido straziante della coscienza oltraggiata che continuamente lo interroga con sofferti lamenti:
Che hai fatto? In quale abisso mi hai precipitata? Povera me! Ho perduto l’innocenza, ho infranto la giustizia, mi sono avvilita e macchiata. Mai più potrò ricuperare ciò che ho perduto. Che cosa mi resta se non la tristezza, la vergogna, il rimorso fino alla morte?! Oh mio Dio! Perché mi sono posta contro di Te e mi sono resa così molesta a me stessa? Oh Gesù mio! Con che cosa potrò curare la ferita profonda che ha aperto nella mia anima il coltello del peccato? Come potrò liberare la mia anima da quel mostro abominevole?
Basta soltanto che riveli le mie piaghe ad un padre, ad un intimo amico, ad un esperto e caritatevole medico, ossia che cerchi un Dio sublime, il quale dopo avermi aperto le braccia ed ascoltato, pronunci sul mio capo quelle onnipotenti parole che Egli solo può pronunciare: «Figlia, alzati, i tuoi peccati ti sono perdonati».
Care figlie, possiamo affermare con assoluta certezza che mai avremmo conosciuto l’estensione delle nostre miserie e la profondità dell’abisso, se Gesù non ci avesse fornito il mezzo per scendere fino al fondo della nostra degradazione, per poi sollevarci da quello stesso stato fino all’altezza dello stato di grazia in virtù del mirabile sacramento della penitenza, che umilia ed innalza, abbassa ed esalta, mortifica e dà vita.
È necessario che scendiamo per poter salire; che ci riconosciamo polvere e niente affinché Gesù, che innalza gli umili, ci porti ad un grado sublime, come abbiamo visto che può e vuole fare mediante la santità.
La penitenza sacramentale, figlie mie, non soltanto è fonte di luce che ci fa conoscere il nulla del nostro essere e ci fa misurare l’abisso di corruzione morale nel quale ci troviamo sommerse a motivo del peccato, ma è anche la causa soprannaturale di quella sorprendente elevazione che si realizza nell’uomo, trasformandolo da peccatore in santo.
Io credo che se giungeremo a persuaderci della verità di quanto ho appena detto, lungi dal guardare il sacramento della penitenza come la più umiliante cerimonia della nostra religione e una tortura per l’amor proprio, lo apprezzeremo e lo faremo stimare anche dagli altri come una restaurazione della nostra dignità perduta e l’unico passaggio per il quale dall’abisso della nostra caduta mortale possiamo tornare ad elevarci ad altezze celestiali.
Per convincerci pienamente di ciò basterà che fissiamo la nostra attenzione su quanto avviene ogni giorno in quel santo e venerato tribunale della misericordia divina. Gesù ci offre il mezzo per poter scendere al fondo della nostra degradazione e da lì risalire fino alle altezze dello stato di grazia. Aneliamo e lavoriamo per trasfigurarci in Cristo mediante il sacramento della confessione, la penitenza interiore e la preghiera. San Giovanni dice che il mondo non conosce i santi perché non conosce Dio.
Care figlie, credo che tutte sappiate che soltanto la confessione sacramentale reca sollievo al cuore oppresso dal peccato e straziato dal rimorso per l’iniquità commessa; soltanto la confessione istituita da Gesù e praticata dalla Chiesa è capace di aprire gli occhi al cieco volontario e rivelargli con meravigliosa chiarezza tutto l’orrore della sua situazione morale.
Dal momento che l’uomo decide seriamente di accostarsi al sacro tribunale sembra che una benda cada dai suoi occhi; egli sente la necessità di raccogliersi nel più intimo di se stesso, di esaminare attentamente le inclinazioni del suo cuore. Questo rigoroso esame dà come primo risultato che l’uomo incomincia a conoscersi e a giudicare se stesso.
Stimiamo l’efficacia del sacramento della penitenza, istituito dal nostro Salvatore per trasformare il peccatore togliendolo dall’abisso nel quale si è visto sprofondato e innalzandolo ad un grado che egli stesso non oserebbe pensare.
Il figlio prodigo oltrepassando di nuovo la soglia della casa paterna è contento di poter occupare anche solo l’ultimo posto tra i servi, ma il padre, buono oltre misura, gli restituisce tutte le prerogative della condizione di figlio. Questo fa Dio, prodigo di saggezza e di bontà, mediante il dolore soprannaturale e la confessione orale dei peccati, seguita immediatamente dalla sentenza del perdono e dalle grazie proprie del sacramento della confessione.
Qual è l’effetto del dolore cristiano soprannaturale? La riparazione del peccato commesso. Il pentimento è l’unico mezzo, indispensabile e di ineffabile efficacia, per riparare il male morale. Come per un abuso della libera volontà si è commessa la colpa, così è necessario che si ripari e si annienti con un altro libero atto della volontà. Se si è amato è necessario detestare; se si è odiato è necessario amare, e fino a quando non si verifica questo cambiamento della volontà nell’anima permane il peccato con le sue funeste conseguenze.
È questa, a mio giudizio, la semplice teoria del pentimento e della penitenza, anche nell’ordine umano semplicemente naturale. Nell’ordine soprannaturale e divino, portata la penitenza all’altezza di dolore perfetto, chiamata in linguaggio cristiano «contrizione», questa teoria acquista tutta la sua perfezione basata sulla parola di Dio, il quale in molti momenti chiama il peccatore al pentimento e alla penitenza, offrendogli l’amore, la misericordia e il perdono.
Care figlie, una di voi mi ha chiesto: «Madre, non c’è per l’uomo caduto nella colpa un altro mezzo per recuperare la sua dignità davanti a Dio e alla propria coscienza?». Per la retta ragione non vi è nulla di più ragionevole, e perciò di più degno e che meglio nobiliti il colpevole, come riconoscere e sinceramente detestare il peccato commesso. Il sentimento interiore, il dolore di intima amarezza per il male operato è l’unico che può mitigare l’acuto rimorso e tranquillizzare lo spirito profondamente turbato dal disordine. Sappiamo che agli occhi di Dio la contrizione cancella tutto perché è un dolore degno di Dio stesso, sia per il motivo come per il principio dal quale proviene.
Questo principio è l’amore filiale, la carità accesa da un soffio dello Spirito Santo, inseparabile dalla grazia santificante. Il motivo è la benignità di Dio, così Padre verso il figlio ingrato, così buono verso il peccatore, e ancor più buono in se stesso, amabile e degno di essere infinitamente amato, eppure tanto offeso e oltraggiato dall’uomo.
È questo ciò che commuove l’anima penitente facendola piangere e gemere dal profondo del cuore. Questo ciò che la spinge ad esclamare: «Mi addolora profondamente l’averti offeso. Non voglio peccare più».
Care figlie, dopo quanto si è detto vi sembra possibile sperimentare il nobilissimo sentimento della contrizione e al tempo stesso escludere la pratica della confessione sacramentale? Ossia, può forse concepire un tale dolore chi non è disposto a confessarsi, anzi rifiuta di accostarsi al sacramento della penitenza istituito da Gesù Cristo?
La vera contrizione infatti include il proposito della confessione e pertanto coloro che la detestano non possono formulare un atto di vera contrizione, non si pentono e non si volgono a Dio con il cuore contrito e umiliato. Alla detestazione del peccato deve seguire la sua confessione orale, umile e sincera; senza questo non si può ritenere perfetta e completa l’opera della riparazione del peccato commesso.
Lasciamo agire liberamente la natura in accordo con la grazia e vedremo, figlie mie, come il peccatore prorompe in un doloroso grido di pentimento e come egli stesso rivela i propri peccati nascosti con tanta maggiore sollecitudine quanto più gravi essi sono e quanto più gli tormentano l’anima.
Guardate il traditore Giuda come è trascinato dal rimorso nella sala del tempio dove sono riuniti i principi dei sacerdoti, che con trenta denari gli avevano pagato il tradimento del suo buon Maestro, e ascoltatelo confessare con un grido il suo crimine, dicendo: «Ho peccato consegnando il sangue del Giusto».
Osservate come scaraventa là a terra il vile prezzo del suo tradimento. Fortunato lui se la durezza inumana di coloro che ricevettero la sua confessione non lo avesse condotto all’abisso!
Care figlie, non dubitate che la confusione e la vergogna costituiscono la parte principale della penitenza dello spirito, con la quale il peccatore ripara sufficientemente il suo peccato, ritornando sul cammino dell’ordine attraverso la penitenza. Non basta infatti che il peccatore si riconosca colpevole nel segreto della propria coscienza, e neppure che si confessi davanti a Dio e a tutti i santi, se nello stesso tempo si sforza di apparire innocente e giusto agli occhi del mondo, godendo di una stima e di un onore che non gli appartengono. È bene umiliarsi profondamente davanti a Dio, però è necessario umiliarsi anche davanti agli uomini, ognuno mostrandosi secondo le proprie opere, senza scandalo ma anche senza ipocrisia e finzione.
Non si creda che è una sufficiente umiliazione dire per abitudine o per apparire bene: «Sono un grande peccatore; Gesù lo sa». Ciò che umilia e fa arrossire è la manifestazione individuale e sincera dei propri disordini; questa è la sola espiazione equa che può offrire l’anima penitente a Dio e alla propria coscienza.
Care figlie, ricordiamo che quando l’uomo ha compiuto le condizioni necessarie per riparare il suo peccato Dio interviene a porre il sigillo della rigenerazione, concedendogli il più ampio e generoso perdono mediante l’assoluzione sacramentale. Potrebbe negare questa grazia un Dio che è tutto bontà e misericordia, un Dio che ha impegnato solennemente la sua parola dicendo: «In verità, non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva»?
La giustizia stessa non è forse rimasta soddisfatta con la volontaria penitenza dell’anima colpevole? Che dico! con i meriti infiniti del prezioso Sangue del nostro Redentore, che qui si applicano per lavare le macchie delle colpe quando il ministro di Dio pronuncia la sentenza di assoluzione e Dio la ratifica nel cielo e le riconosce valore. Quanto è solenne il momento dell’assoluzione sacramentale!
Insegnate alle figlie e ai bambini il valore di questo atto. Dite loro che nel momento felice dell’assoluzione si realizza la grande trasformazione del peccatore in giusto. Mi sembra di vedere in quel momento il Redentore del mondo cacciare, con il potere della sua parola, il demonio e una legione intera di demoni dal corpo dell’infelice ossesso, chiamato in quello stesso istante alla vita razionale e divina.
Trasformazione morale dell’uomo
Care figlie, ricordiamo che Gesù, non contento di trarre fuori l’uomo dal suo abisso di schiavitù e di miseria, per mezzo del sacramento della confessione lo innalza, infondendogli insieme alla grazia santificante le abitudini soprannaturali delle virtù, con le quali lo rende capace di salire alle supreme altezze della santità. Quale prodigio, figlie mie!
L’abominevole libertino, il ladro infame, l’assassino delle anime e dei corpi, il bestemmiatore persecutore di Gesù, il miserabile ateo che odiava Dio e lo malediceva, il religioso apostata e quello che vive ancora consacrato a Gesù però coprendo ogni istante la sua anima di peccati, offendendo il suo Creatore e Signore che con tanta carità lo ha chiamato con la vocazione religiosa, giustificati gratuitamente nel sacramento della penitenza, bagnati nel Sangue dell’Agnello immacolato, possono già aspirare ad essere santi.
Sì, figlie mie, e ad una santità così alta ed eroica come quella delle anime pure e generose che non macchiarono mai la loro innocenza battesimale. Ci sono d’esempio: San Paolo, Sant’Agostino e Maria Maddalena, i quali nella perfezione del loro amore a Dio e al prossimo non furono inferiori a San Giovanni, il discepolo amato, a Marta la fedele serva di Gesù e a San Luigi Gonzaga angelo di purezza. Nel cielo i loro troni di gloria furono innalzati al livello dei martiri, dei confessori e delle vergini più eminenti.
Il nostro buon Gesù solleva di peso il mondo intero all’altezza della sua Croce e qui si perfeziona e completa la grande opera della trasformazione morale e mistica dell’uomo. Non sul Tabor, nonostante lo splendore di cui appare rivestita la sacra Umanità di Gesù, bensì sul Calvario dove appare la sanguinosa nudità del Corpo crocifisso. Come si addicono questi attributi al nostro buon Gesù! Soltanto Tu hai potuto sopportare quella santissima passione, quella sovrana opera di amore eccessivo e di tanto dolore che ha superato tutti i dolori.
All’eccesso degli umani disordini doveva corrispondere l’eccesso della riparazione divina; all’eccesso della nostra miseria doveva opporsi l’eccesso della grandezza e sublimità morale di Gesù, modello dell’uomo trasformato in Dio. Una di voi a questo punto mi dice: «Io comprendo e mi dà pena e mi stupisce quanto ha sofferto Gesù per noi, ma non comprendo che cosa significa trasformazione morale».
Per me trasformazione morale significa una certa morte a tutto ciò che è terreno e un passaggio alla vita divina, secondo quanto insegnava San Paolo ai primi fedeli: «Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio».
Care figlie, mi chiedete come potete verificare un tale cambiamento in voi, ossia la trasformazione di cui abbiamo parlato. Io credo che sia necessaria una forza di attrazione verso l’alto, verso Dio. L’uomo si sente meravigliosamente attratto da Gesù, sia con la forza della verità, sia con il potere della giustizia, sia con il fascino della bontà e della bellezza che risplendono in Gesù sacrificato.
Sì, l’attrazione verso il divino è l’effetto dell’incanto della Passione. In questa Gesù appare vero Figlio di Dio, come lo riconobbe il Centurione, perché, sofferente nella natura umana, non soffre come uomo ma come Dio, dato che dopo aver dominato il dolore, giudica e condanna il mondo, e infine, così come Egli stesso aveva promesso, scaccia il demonio dal trono che aveva usurpato. (Madre Speranza nel 1943, El Pan 8, 1-475)
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ultimo aggiornamento
13 agosto, 2024