Attualità

P. Filippo Digregorio Fam

 

L’omelia della Prima messa nel Santuario di P. Filippo Digregorio del 15 agosto

Permettetemi di leggervi alcune righe tratte dal testo di Padre Giovanni Ferrotti (Madre Speranza... pane e sorriso di Dio, L’Amore Misericordioso, Collevalenza 2004, 197):

"Il 14 agosto 1951, nella cappella della casa generalizia di Roma, Alfredo di Penta, Don Giovanni Barbagli e Sanzio Supini vestono l’abito religioso, costituito oltre che dalla veste talare nera, da una fascia dello stesso colore. [...] L’indomani, tra la commozione della Madre e delle suore Alfredo di Penta, P. Giovanni Barbagli, Fr. Sanzio Supini emettono i Santi Voti nelle mani del Vescovo di Todi. Madre Speranza è letteralmente ‘fuori di sé’ dalla gioia. Scrive nel suo Diario: Io mi sono distratta e ho trascorso tutto il tempo che è durata questa cerimonia fuori di me e unita al buon Gesù. A Lui ho chiesto di benedire questi tre Figli e la nascente Congregazione [dei Figli dell’Amore Misericordioso] ".

Mi colpisce sempre tanto l’espressione: Madre Speranza è letteralmente ‘fuori di sé’ dalla gioia. Ma cos’è la gioia se non il respiro del cristiano, l’espressione di quell’incontro con Dio che ti cambia la vita, l’esperienza di una vita trasformata che non ti fa restar fermo ma che ti spinge verso gli altri per annunciare la ricchezza della vita in Cristo.

 

Come anche nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato è Elisabetta a parlare: Come hai fatto a credere Maria? Benedetta colei che ha creduto. Beata te che hai creduto! Maria è beata perché ha creduto. Perché si è fidata, perché ha lasciato spazio a Dio, ha lasciato che potesse agire nella sua vita, lo ha lasciato fare.

 

Trovo bellissima la scena, così reale e autentica. Maria ed Elisabetta vedono la bellezza della gestazione eppure, il loro, non è un momento così bello! Maria sa che il figlio che avrà diventerà il segno di speranza per l’umanità. Ma la vita di Maria non si presenta certo in discesa e il futuro è incerto. Ma, invece di barcamenarsi nelle paranoie, gioisce, vede la realizzazione della promessa di Dio fatta ad Israele. Elisabetta sa bene che avere un figlio alla sua età comporta un sacco di problemi. Suo marito, poi, le ha raccontato che l’angelo ha parlato del bambino come di un futuro profeta e i profeti, lo sappiamo bene, non hanno vita facile. Ma, nonostante ciò, invece di essere divorata dall’ansia, gioisce con tutto il suo cuore. Ecco, la gioia è contagiosa.

 

E la gioia di Maria in particolare, diventa una preghiera che contagia anche noi. Da duemila anni que­sta preghiera, il Ma­gnificat, è il saluto dei discepoli al tramonto del sole, un’occasione per rileggere la giornata alla luce della salvezza. E per chiudere il giorno nella gioia, non nella tristezza, per sottolineare ogni giorno ciò che di positivo abbiamo vissuto. Maria ci insegna a porre la nostra vita in un progetto, in un disegno gigantesco, nel sogno di Dio. In tutt’altro dalle nostre piccole (e se vogliamo legittime) soddisfazioni. La nostra vita si realizza solo se va nella giusta direzione. Solo se fa parte della vita di Dio. Maria ci insegna a fare della nostra vita un capolavoro nelle mani di Dio. Maria, invece, ci insegna che ogni vita è preziosa in Dio. E anche il più insignificante dei tasselli è fondamentale nella realizzazione del grande mosaico.

 

La gioia, dunque. Sarebbe bello che questa gioia – almeno un poco! – fosse più evidente sui nostri volti, nelle nostre scelte, nei nostri cuori, nelle nostre assemblee…

Incontrare Dio è la cosa più bella che ti possa succedere, è una sorpresa per cui vale la pena di abbandonare tutto. Nulla uguaglia la gioia dello scoprirsi amati da Dio: è un’esperienza che io ho fatto qui, in questo Santuario, ma che mi auguro abbiate potuto fare o possiate fare presto anche voi, ciascuno di voi.

 

È stata la gioia della mia famiglia (tra l’altro qui presente) che mi ha permesso di cercare la felicità piena nella mia vita; è stata la gioia nei volti dei miei animatori del Gruppo dei Giovani dell’Amore Misericordioso a spingermi a venire qui a Collevalenza la prima volta ben 16 anni fa; è stata la gioia dei miei confratelli e delle mie consorelle che, negli anni, mi ha mostrato il vero volto di Dio Amore Misericordioso, è la gioia che abita oggi il mio cuore nel sapermi Figlio dell’Amore Misericordioso sacerdote.

 

La stessa festa che celebriamo oggi, dell’assunzione di Maria in cielo in corpo ed anima, è una festa che ci apre alla speranza, si, ma anche alla gioia. È una festa antichissima che affonda le sue radici nella primitiva comunità cristiana. Maria di Nazareth, la madre di Gesù, la prima dei discepoli, che ha cresciuto il Figlio di Dio ed è stata presente sotto la croce e nella comunità radunata a Pentecoste, è stata assunta in cielo, presso il Padre, in corpo e anima. Detto questo, su di lei cala il silenzio. Come ci farà pregare tra poco il prefazio, prima del canto del Santo: «Tu non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro colei che in modo ineffabile ha generato nella carne il tuo Figlio, autore della vita». E lo credo di lei e per me. Non riesco ad immaginare la mia vita se non fra i viventi e risorti, ora che il Vivente e il Risorto, Cristo, mi ha fatto innamorare della vita, ci ha fatto innamorare della vita, la nostra vita.

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ultimo aggiornamento 11 settembre, 2024