ROBERTO LANZA

 

"È ancora di moda l’obbedienza?

 

"Teniamo ben presente che, quanto più assurdo ci sembri ciò che l’obbedienza ci fa compiere, quanto più ci ferisca l’amor proprio, quanto più profonda sia stata l’umiliazione dell’atto che abbiamo compiuto sottomettendoci, tanto maggiore sarà la ricompensa e tanto più copiosi frutti di gloria raccoglieremo."1

 

È inutile nasconderlo, al giorno d’oggi, a pochi piace sentir parlare di obbedienza, specialmente quando questa è intesa nel senso di sottomissione ad una autorità superiore. Sottomettersi al comando di un altro è sempre una cosa dura nella nostra epoca gelosa della libertà personale e dell’indipendenza religiosa. Quello dell’obbedienza è sicuramente uno dei concetti più "ostili" all’uomo contemporaneo che ha fatto dell’autodeterminazione individuale il principio guida della sua esistenza. Si crede che la libertà vera coincida con la libertà di essere solo ed esclusivamente se stessi e di esprimere la propria individualità, con tutti i suoi impulsi e desideri. Attenzione però anche a non fare l’errore opposto, ossia a considerare l’obbedienza come una cieca sottomissione passiva a un’imposizione "autoritaria", perché allora diventa oppressione e privazione della libertà a cui l’uomo è stato chiamato da Dio.

 

L’obbedienza non è più una "virtù", dice il titolo di un libro famoso e non manca chi vede nell’obbedienza, in senso ironico, il segno di una maggiore età mai "maturata." Ma succede, purtroppo, di vedere anche plotoni di "liberi battitori", di "navigatori solitari", che fanno la loro battaglia e sembrano incapaci di raggiungere un qualsiasi approdo comunitario. Per cui non sbagliamo se affermiamo che, nella nostra società, l’obbedienza non gode di una buona opinione. Diciamocelo sinceramente, non è una di quelle virtù che sprigiona simpatia, né, forse, uno di quei doni che l’uomo ed il credente contemporaneo desiderino possedere fino al punto, per esempio, di inserirne la richiesta nella propria preghiera abi­tuale. 

 

Per noi cristiani, quando si parla di obbedienza, ci si riferisce sempre e in ogni modo all’obbedienza a Dio che deriva dall’ascolto e dall’osservanza della sua Parola, anche quando questa obbedienza incontra delle mediazioni umane come nel caso delle autorità che incontriamo sul nostro cammino: "State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore."2 Cercare sempre la volontà di Dio in conseguenza della libera e fiduciosa adesione nei suoi confronti è insomma la parola chiave nonché il fondamento di ogni obbedienza.

 

Lo è soprattutto per i membri degli Istituti di Vita Consacrata che sono chiamati in modo del tutto speciale a cercare di seguire, in maniera radicale, il consiglio evangelico dell’obbedienza, ma lo è anche per tutti i credenti che vedono nel Cristo il modello di ogni obbedienza. Egli, infatti, è esempio di umile sottomissione alla volontà del Padre, e in questo senso io credo che, la sua obbedienza, sia stata salvifica ancora prima e ancora più della sua stessa morte, non è stato tanto la morte di Cristo che ci ha salvato, quanto la sua obbedienza fino alla morte.

E allora come inquadrare il discorso? Possiamo ancora dire che l’obbedienza esiste ancora?

 

Non è mia intenzione, in queste poche righe, trattare questa riflessione da un punto di vista dottrinale, né tantomeno dare una visione teologica. Vorrei solo evidenziare come, la Madre Speranza e come il nostro carisma, hanno fatto dell’obbedienza la colonna portante che regge tutto il rapporto relazionale con Dio.

 

Pur essendo una Fondatrice di una Congregazione religiosa, la Madre Speranza concretizzò la sua fedeltà, attraverso la virtù dell’obbedienza, una docilità piena e completa alle mediazioni ecclesiali che l’hanno accompagnata durante tutta la sua esistenza. E’ davvero interessante approfondire questo legame esistente tra la sua obbedienza alla Chiesa e la fedeltà al carisma, espresso in un rispetto e in una costanza nel ricercare sempre la volontà di Dio, nel concretizzare quello che Dio voleva da lei. La sua obbedienza nasceva dal fatto che nella Chiesa, vedeva non solo la garanzia della sua chiamata, ma la certezza che il progetto dell’Amore Misericordioso, era davvero un "pensiero" di Dio. E non poteva essere altrimenti per lei, che aveva sperimentato fino in fondo che l’obbedienza è il mezzo principale per compiere la volontà di Dio. Racconta così Padre Alfredo Di Penta: "La Madre ebbe sempre il massimo rispetto delle Autorità ecclesiastiche. Obbediva ai loro ordini anche se in contrasto con quelli del Signore. Mi diceva: «La volontà di Dio passa sempre attraverso la volontà dei Superiori."3 La sua docilità alla Chiesa è stata davvero "eroica", in tal senso si pensi alle difficoltà incontrate nella fondazione della Congregazione: "In questo tempo la persecuzione fu terribile e solo il buon Gesù sa quanto ho sofferto, isolata totalmente per ordine del Vescovo."4

 

Era stato molto chiaro per la Madre, che non avrebbe contribuito al progetto di Dio, perché magari si sentiva una potente fondatrice o una grande suora, ma perché era convinta di trovarsi al posto "giusto", ossia dove Dio la voleva e dove l’aveva pensata da sempre. Dio avrebbe compiuto "l’opera" dell’Amore Misericordioso, passando proprio attraverso la sua obbedienza incondizionata, perché la vera obbedienza non è quella di coloro che evitano ogni ostacolo ed ogni difficoltà, la vera obbedienza è quella che continua a restare obbedienza, pur nella testimonianza fatta di sofferenza, ma che è animata della forza entusiasta dell’Amore e del dono di sé. Obbedisco al "superiore" e si obbedisce a Dio, non nel senso che quello che comanda il superiore sia sempre la santa Volontà di Dio, ma perché è volontà di Dio che si obbedisca al superiore. Scriveva così: "La fede mi insegna ad obbedire al mio Superiore (religioso o ecclesiastico) non per la sua persona o le sue capacità o le sue qualità, ma perché mi rappresenta la persona di Gesù stesso. Un Superiore si potrà anche sbagliare nel dare un ordine, ma la fede mi insegna che io non mi sbaglierò mai nel compiere tale ordine."5 Obbedire non significa conformarsi, ma mettere in atto un vero e proprio atto di amore. In tal modo l’amore dimostra di essere vero amore e non amor proprio, amore di Dio e non amore della propria gloria, fiducia nel Padre e non fiducia nei propri ragionamenti e nelle proprie capacità.

 

Dio ascolta ed esaudisce chi gli è obbediente!

Tale stile obbediente, così come lo ha presentato la Madre Speranza, diventa, allora, uno stato di vita scelto per facilitare l’ascolto della volontà di Dio nella propria esistenza e per contrastare la tendenza a rinchiuderci nei nostri progetti.

Ci si sottomette alla volontà del "Superiore", non per la sofferenza che ciò comporta, ma si sceglie questa via perché, accettare di dipendere dal giudizio di un "altro", ci aiuta efficacemente a camminare verso quel decentrarsi da sé, che è necessario per progredire nella santità. Chi obbedisce, infatti, non annulla la sua libertà, ma la esalta, non mortifica i suoi talenti, ma li fa fruttificare. La Madre Speranza aveva imparato, alla scuola dell’Amore Misericordioso, che se non si accetta di morire in una obbedienza che ti è difficile, non è possibile poi sperimentare, in modo completo e profondo, l’amore di Dio nella propria esistenza e soprattutto obbedire alla Sua volontà.

 

Questo è lo scopo della vita del "consacrato", il suo motore, il suo fine: Cristo è il centro, Lui è il modello da seguire: "Quanto più assurdo vi sembri quello che l’obbedienza vi impone, quanto più vi ferisca nel vostro amor proprio, quanto più profondo sia l’atto di umiltà richiesto nel sottomettervi, tanto maggiore sarà la ricompensa e più abbondanti i frutti di gloria che raccoglierete. Ripetete spesso queste parole: La volontà di colui che ha autorità sopra di me, per quanto ingiusta possa essere, è per me pura volontà di Gesù. Il mio Superiore comanda male, ma io obbedisco bene."6 A tal proposito dice così l’esortazione apostolica Vita Consecrata: "Chi obbedisce ha la garanzia di essere davvero in missione, alla sequela del Signore e non alla rincorsa dei propri desideri e delle proprie aspettative. E così è possibile sapersi condotti dallo Spirito del Signore e sostenuti, anche in mezzo alle grandi difficoltà, dalla sua mano sicura."7

 

Per la Madre Speranza una cosa era davvero chiara e trasparente, oseremo dire cristallina: per ottenere i doni di grazia e di misericordia dal Signore, ci vuole  una caratteristica comune e ben precisa: essere obbedienti! Se noi non siamo obbedienti, non riceveremo mai i doni dello Spirito Santo e le grazie del Signore, anzi ci illudiamo che questo possa avvenire, ma in realtà poi non avviene. La nostra "consacrazione" e la nostra appartenenza alla Chiesa è tale solo se, viviamo di una obbedienza che prende tutto il nostro essere, il nostro cuore, perché solo così possiamo diventare abili strumenti nelle mani di Dio: "ecco Padre, io vengo per fare la tua volontà."8 La Madre ci ha dimostrato che, con l’obbedienza a Dio, si impara a rinunciare a quanto di più essenziale la persona possiede: la libertà. Ma non è una rinuncia "sterile", serve per mettersi a totale servizio del Signore, consente un’espropriazione di sé stesso, per appartenere soltanto ed esclusivamente a Dio e per donarsi totalmente.

 

Non è certamente libero chi è convinto che le sue idee e le sue soluzioni siano sempre migliori; chi ritiene di poter decidere da solo senza alcuna mediazione per conoscere la volontà divina; chi si pensa sempre nel giusto e non ha dubbi che siano gli altri a dover cambiare; chi pensa solo alle sue cose e non volge nessuna attenzione alle necessità degli altri; chi pensa che obbedire sia cosa d’altri tempi, improponibile in un mondo più evoluto. Libera è, invece, quella persona che vive costantemente protesa e attenta a cogliere in ogni situazione della vita, e soprattutto in ogni persona che gli vive accanto, una mediazione della volontà del Signore, per quanto misteriosa: "Non posso allontanare dalla mia mente la tua protesta: quello che mi viene ordinato non è ragionevole. Che cosa te lo fa pensare? Non sarà perché il comando contraddice uno dei tuoi capricci o delle tue passioncelle?"9

 

Come concludere?

Quando il Signore ci chiama per adempiere quello che ha pensato per noi e per il bene della Chiesa, fa sempre iniziare, un percorso di purificazione, un processo di obbedienza, per toglierci dal cuore la superbia e l’orgoglio. Quello che importa, l’unico traguardo veramente importante per la nostra vita è fare la volontà di Dio e le difficoltà, le delusioni, le sofferenze, le lacrime inevitabili, che incontriamo nel nostro cammino, sono, nella Sua mano, come altrettanti mezzi di prova e di educazione della nostra fedeltà. Dio è il vasaio, noi siamo l’argilla, Egli fa girare il tornio della sua ruota da vasaio, ci plasma e ci modella per renderci più simili a Cristo e così per poterci meglio usare per la Sua volontà. Solo così, si può diventare "diversi", padroni di sé stessi, liberi interiormente, liberi di amare, solo così saremo immagine di quel Dio che per obbedienza all’amore, ha voluto salvare il mondo e fatto germogliare nel nostro cuore la speranza dei figli di Dio.

 

Fratello mio, Per essere un buon danzatore, non occorre sapere dove la danza conduce, non occorre chiederti spiegazioni sui passi che ti piace ritmare…bisogna solo saper ascoltare il ritmo della musica che l’orchestra scandisce. Fratello caro, se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte… segui colui che per obbedienza ha fatto nascere l’Amore Misericordioso!

E così sia!


1 Le Mortificazioni (1955) (El Pan 16)

2 1 Pt. 2,13

3 PADRE ALFREDO DI PENTA, Testimonianza processuale.

4 Diario (1927-1962) (El Pan 18)

5 Consigli pratici, anno 1941, (n. 127).

6 Consigli pratici, anno 1939 (n. 166-167)

7 Esortazione Apostolica Post-Sinodale VITA CONSECRATA n. 92

8 Eb. 10,7

9 Consigli pratici (1939) (El Pan 4)

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ultimo aggiornamento 11 dicembre, 2024