studi Vangelo e santità laicale a cura della Redazione
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ue giovani che hanno creduto nell’amore di Dio e che hanno dimostrato come l’amicizia spirituale possa diventare una via per la Santità. Sono Alberto Michelotti e Carlo Grisolia, due amici, membri del Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich, per i quali nell’ottobre del 2021 si è conclusa la fase diocesana della Causa di Beatificazione.
Alberto Michelotti
Alberto nasce a Genova, il 14 agosto 1958. I suoi genitori sono Silvio e Albertina; ha un fratello più giovane, Paolo. Riceve dai genitori un’educazione religiosa semplice e tradizionale, frequenta le scuole elementari, con ottimi risultati, come anche alle scuole medie. Alberto ripercorrendo la sua vita dirà: «Sono nato in una famiglia dove non è mai mancato il necessario; anche coi genitori non sono mai nati grossi problemi. A tredici anni non avevo amici, sono un ragazzo solo, tutto casa e scuola».
La vita di Alberto ha una svolta durante i primi anni di liceo attraverso l’incontro con il suo parroco, don Mario Terrile, che gli fa un discorso molto serio: «Alberto, davanti a te ci sono tanti specchi, continui a guardarci dentro e perdi del tempo: spaccali».
Don Mario insieme al Vangelo gli trasmette anche l’amore per la montagna e Alberto sarà poi catechista, educatore dell’Azione Cattolica Ragazzi e grazie alle sue grandi doti attira un sempre maggior numero di giovani.
Conoscerà il movimento Gen (i giovani del Movimento dei Focolari) e da loro sente parlare di Dio Amore, «Un Dio che parla a me, ad Alberto, mi chiama alla sua rivoluzione che fa a pugni col mio quieto vivere. Da solo? No, è impossibile; con altri, con i GEN, posso farcela».
Alberto insieme ai Gen fa l’esperienza di una profonda vita di comunione, che sperimenta come una vera chiamata: «Gesù, mi ha chiamato alla Sua maniera; cioè senza riserve».
Un’esperienza decisiva è l’incontro con i poveri in un vecchio locale vicino al porto di Genova, ritrovo di marinai di colore e sbandati; non hanno nulla da mangiare, da vestire. Lì da alcuni mesi i Gen aiutavano un sacerdote solo in questa situazione disperata.
Alberto si dona nella carità e sente sempre più forte la chiamata e la presenza di Gesù nella sua vita, scrive infatti: «certi giorni corro per tutta la città, in qualche chiesa c’è l’ultima Messa della giornata: lì posso incontrarmi con "Lui" nell’Eucarestia».
È l’amico Tiziano a raccontare l’ultima salita, sulle Alpi Marittime, il 18 agosto 1980: «Sono le 4,30 del mattino. Il cielo è sereno e stellato; possiamo salire. Decidiamo di non legarci perché questo tipo di ghiaccio non permette punti di sicurezza. Dentro ti viene istintivo il desiderio di ringraziare Dio. Poi il ghiaccio si fa più fragile, diventa pericoloso. Alberto è un metro dopo di me… lo vedo perdere l’appoggio sui ramponi…"La piccozza! Pianta la piccozza!" È tutto inutile: lo vedo ancora mentre prende velocità… e poi scompare. "Mio Dio, non puoi chiedermi tanto! Perché?"».
La notizia di questa tragica morte corre veloce, in tanti arrivano per vegliare accanto a lui, continua Tiziano dicendo: «Lì, accanto a lui, tutto è sacro e solenne. Il ricordo dei momenti più belli si alterna con la cruda realtà. Il dolore è terribile e forte, ma più forte dentro si fa strada la certezza di un "disegno d’Amore" e le ore passate a vegliare in preghiera, pur nel dolore, rimangono per tutti noi un’esperienza che sa di Paradiso, di gioia piena, di pace».
Carlo Grisolia
Carlo nasce a Bologna il 29 dicembre 1960 da Alfonso e Clara. Ha due fratelli maggiori, Paolo e Giuseppe, e una sorella più giovane, Matilde. Inizia la scuola elementare a Bosco Marengo (AL), dove la famiglia si era trasferita per ragioni di lavoro del padre. Nel 1969, attraverso alcuni giovani amici, inizia l’esperienza con i bambini del Movimento dei Focolari. Vogliono partecipare anche loro ad un progetto solidale per il Camerun, così, per alcuni giorni, passano di casa in casa con un carrettino di legno, per raccogliere giornali e libri vecchi. Sul giornalino Gen, leggono i primi pensieri di Chiara Lubich, che segnano le tappe del gruppo.
Nel 1973 la famiglia Grisolia, sempre per ragioni di lavoro del capofamiglia, si trasferisce definitivamente a Genova. Terminata la scuola media, Carlo si iscrive all’Istituto Agrario. Fin dal primo anno si impegna negli Organi Collegiali della scuola. È attivo nei dibattiti delle assemblee studentesche con tutte le difficoltà di quegli anni, infiammati da contrapposizioni politiche molto accese. Proprio per questo, insieme ad un amico, fonda il "Comitato Libero Studentesco del Biennio Professionale" che si propone di "spingere gli studenti alla collaborazione, all’unità e all’amicizia".
La passione e l’impegno per la comunità civile, illuminati dal Vangelo, attraverseranno tutta la sua vita. Nel 1978, dopo l’uccisione di Aldo Moro, annota: «Eppure sento che come uomo nulla mi impedisce di uccidere coloro che hanno ucciso. Ma come cattolico sento che devo amare i miei nemici. Posso e devo odiare ciò che hanno fatto ma loro no, anzi dopo aver pregato per Moro, prego anche per loro». Carlo scopre anche di avere un animo d’artista, compone canzoni e poesie.
Nel 1978 è padrino di Cresima del cugino Lucio; per l’occasione gli scrive: «Lucio, io non sono capace di niente, se penso a me stesso così egoista, così timido, così pigro, svogliato, ecc., sento che non riuscirei neanche a muovere un passo. Ma la nostra vita può cambiare, possiamo amare perché questo deve essere il binario della nostra vita: amare. Se tu ci riesci, puoi vedere in me un Gesù che ti parla, ti ascolta, ti aiuta. E ricorda: Gesù può tutto».
Il 28 marzo del 1980 Carlo inizia il servizio militare come marinaio a La Spezia. In quel periodo, durante una libera uscita, sale a Soviore e scrive sul registro del Santuario: «Mio Dio, fa che ogni attimo, ogni passo, ogni sbaglio, ogni peccato, ogni gioia, ogni dolore, che tutto, tutto sia perché io e te ci vogliamo bene».
Il 16 agosto la sua salute ha un crollo. Poco prima di entrare in ospedale, lo raggiunge la notizia della morte di Alberto, caduto in montagna.
Gli ultimi 40 giorni di Carlo, ricoverato all’ospedale Galliera di Genova, tracciano una scia luminosa di dolore e amore. Alle infermiere ripete: «Io so dove vado». Pensa al Cielo, e all’amico Alberto, che sente già in Dio. Intorno a lui si stringe la famiglia, con comunità degli amici della parrocchia e del focolare. A loro scrive: «Carissimi GEN, di colpo Gesù mi dà la possibilità di unirmi a voi in modo più stretto. Vi saluto … Teniamo Gesù in mezzo!». Sapendo di un weekend per i giovanissimi, consegna queste parole: «Dite loro di non mollare mai».
Carlo vive il suo "Tuffo in Dio" il 29 settembre 1980. Il funerale si svolge all’aperto: più di mille i presenti. E la memoria di Carlo, e di Alberto, resta viva, continua a parlare.
Nel 1990, la futura beata Chiara "Luce" Badano vuole incontrare la mamma di Carlo: chiede luce per vivere la sua malattia. Di quell’incontro scriverà: «Stasera ho il cuore colmo di gioia, e sai perché? Ho ricevuto la visita della mamma di Carlo Grisolia di Genova. Riuscirò anch’io a essere fedele a Gesù abbandonato e a vivere per incontrarlo come ha fatto Carlo? Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua; spesso mi sento sopraffatta dal dolore. Ma è lo sposo che viene a trovarmi, vero? Sì, anch’io ripeto insieme a te: "Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io».
Tra le righe della sua lettera, gli amici riconoscono le parole di Carlo, vissute in tanti rapporti, senza stancarsi di ricominciare, e così radicali negli ultimi giorni: «Io vivo per incontrare Gesù».
Amici per l’eternità
Alberto e Carlo sono due ragazzi come tanti altri: la scuola, gli amici, le gite in montagna, le canzoni con la chitarra. Cosa però, rispetto a tanti coetanei, avevano in più? Il desiderio non solo di raggiungere la santità, mettendo Dio al centro della loro vita, ma, anche, di farlo insieme. Del resto, dal momento del loro incontro, i due giovani sono davvero cresciuti insieme, nella vita e nella fede.
Due personalità certamente diverse tra loro: Alberto studia ingegneria, è estroverso, sportivo e con la stoffa del leader: «Non si vantava della sua intelligenza, diceva che era un dono di Dio» ricorda la madre Albertina, che ammette di avere «trovato la fede quando Alberto è mancato». Alberto diceva sempre: "Sai cos’è la cosa importante, mamma? Essere pronti, perché la vita appartiene a Dio"».
Carlo, come dicevamo, è molto diverso da Alberto: è un giovane introverso che rivela i suoi profondi sentimenti nelle canzoni che accompagna con la chitarra. La mamma Clara ricorda: «Era cresciuto in parrocchia ed era molto contento quando è entrato in contatto con i Gen. Inizialmente l’aveva presa come un divertimento poi, però, pian piano certe parole gli entravano dentro. Era affascinato dalle parole di Chiara. Diceva: "L’hai capito, mamma, cosa vuol dire farsi Uno?". Credeva davvero che Dio è amore, è Padre e ci possiamo sempre mettere in rapporto con lui».
Nonostante le differenze caratteriali, l’amicizia tra i due giovani è proficua e duratura e non ha conosciuto crisi. Ad unirli è la passione per Dio e la presenza di Gesù in mezzo a loro, infatti un’amica ricorda: «Quella di Alberto e Carlo è stata una chiamata all’amore che, però, era sempre concreta. Alberto era il cristiano tipo: se vedeva una difficoltà, si lanciava senza pensare. Non ti lasciava mai in pace, soprattutto se ti vedeva triste e preoccupato». Le stesse attenzioni le aveva Carlo: «Una volta mi ha visto triste e mi ha messo tra le mani un foglietto. Sopra c’era scritta una frase di Chiara Lubich: "Tutte le volte che sentirai la disperazione dell’anima e continuerai a sorridere e a parlare agli altri di speranza ti sembrerà di fare una commedia, ma è la Commedia Divina, è essere Gesù abbandonato"». Così riferiscono le testimonianze degli amici.
Dal momento della morte di Alberto, Carlo, ricorda sua sorella Matilde, «ha iniziato la sua volata ed è sempre stato in donazione. In ospedale si era fatto portare la chitarra per allietare i pomeriggi delle persone anziane ricoverate. Pregava incessantemente il Rosario, anche quando non aveva più voce, e ha potuto ricevere fino all’ultimo l’Eucaristia, anche se solo con piccoli frammenti di ostia perché non riusciva a deglutire». Certo, i momenti di buio non sono mancati: «In quei momenti non sentiva Dio ma dopo c’è stata la luce. Diceva: "Dite a tutti che sono contento di andare incontro a Gesù". E alla mamma ha detto: "È il momento del salto in Dio"». Proprio come l’amico Alberto, che definiva la morte «un tuffo in Dio» e non si stancava di ripetere: «Amare, amare tutti, spaccare il cuore per far uscire il vero amore. Noi dobbiamo dire di sì, un sì che si ripete sempre nella nostra vita. Gesù significa tutto, possiamo fare qualsiasi cosa se è fatta per Lui».
Carlo e Alberto ci insegnano che è possibile camminare insieme sulla via del Vangelo: e Alberto scrivendo a Carlo dice «Quasi sento nella mia carne, nel mio cuore tutto il momento delicato che stai attraversando, che sto attraversando. In questo silenzio così bello mi sta rispondendo che non ci possiamo fermare, amare, amare tutti».
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ultimo aggiornamento
14 gennaio, 2025