Perché sono cristiano e come lo sono
(di Gaetano Benedetti-Basilea)

Amo Cristo, e credo che un giorno riunirò in un volumetto gli scritti del mio "Incontro con Cristo nelle opere d’arte".

Ma qui desidero anzitutto riflettere su tre impareggiabili pensieri sul Cristianesimo.

1) Il Dio Cristiano (non Jahvè, Allah, Visnù), è l’unico Dio che si è fatto nostro fratello accettando di essere il "Figlio dell’uomo". Egli si è spogliato della Sua divinità per essere come uno di noi, per vivere e morire, per sperare e soffrire come noi. Ed Egli ha voluto compiere questo tragitto muovendo dal luogo più infimo possibile, una mangiatoia, per terminare sul luogo più abietto, la croce, sposando così la sorte degli infimi e degli abietti, l’intera nostra umanità.

2) Dio è venuto come "Figlio dell’uomo" su questa nostra terra di dolori non per placare l’ira del Padre, come si riteneva un tempo, ma per partecipare ai nostri dolori, essere nostro fratello, accettando su di sé non solo le nostre colpe, come sempre si è detto, ma anche quel terribile e inesauribile dolore, che è l’esistenza umana; un dolore creato tragicamente con la creazione stessa ossia la creazione del limite, dell’imperfetto, del finito; un dolore da Lui non altrimenti curabile che facendolo proprio.

3) Dio ha percorso questo nostro tragitto esistenziale per superarlo nella Resurrezione. Senza di questa, la divinità di Gesù sarebbe rimasta velata per sempre; come rimane velato quel soffio di Dio, quello Spirito eccelso che è in tanti dei nostri martiri, il "Deus absconditus".
La Resurrezione è perciò la Sua Manifestazione; e l’amore che va oltre la morte non rimane solo un pensiero sublime, ma diviene superamento anche fisico della morte.

Mi bastano questi tre punti cardinali, non ritrovabili in nessuna altra religione e in nessuna filosofia, per amare Cristo più di me stesso.
Dopo questo atto di fede, che è anzitutto un atto di amore, apro lo spazio al dubbio.
E’ nato da una Vergine, come ritengono ancora tanti cristiani, o tale assunto è solo un’antica leggenda, risalente a tradizioni remote di altre religioni?
Ha compiuto veramente i miracoli, del cui racconto sono pieni i Vangeli, e possono tali racconti esser vagliati scientificamente?
E’ Egli risuscitato nel corpo, come hanno verificato i primi Apostoli, o nello Spirito, in un corpo spirituale, che poteva attraversare le pareti, passare per le porte chiuse, scomparire ed apparire improvvisamente?
La "percezione" di Tommaso era una "visione tattile" ?
Infinite domande sono sorte non solo nell’ultimo secolo con la critica storica, ma già ai tempi delle persecuzioni dei cristiani.
Da Celso a Jaspers, quanti hanno dubitato e negato!
Checché si risponda ai critici, una cosa è sicura: che molti "fatti" consegnatici dalla tradizione non rispondono a quelle esigenze, che la scienza richiede oggi alla storia.
Provo a mostrare ciò sulla falsariga di un piccolo esempio: la "Sacra Sindone". Di essa Paul Clodel ebbe a dire, che, "più che un ritratto è una presenza". Nel suo scritto, "Il ritratto di Gesù nella Sindone", Aristide Gaglio fa un esame minuzioso e perfetto delle tracce di escoriazione del volto di Gesù, corrispondenti a quanto ci raccontano i Vangeli; e conclude "Lo studio delle prove suddette, comprovano l’autenticità storica: nel lenzuolo fu avvolto il cadavere di un uomo giunto a morte dopo percosse, flagellazione, crocifissione, e che il Suo Corpo restò avvolto per un periodo di ore 36/40, il che corrisponde in tutto e per tutto a quel Gesù Cristo, di cui parlano i Vangeli".
Ma ecco che anche qui interviene, recentemente, la critica scientifica, ora in grado di stabilire la datazione di materiali anche millenari; la S. Sindone avrebbe la sua origine nel XIV secolo.
E lo stesso vale anche per tante altre reliquie, ritenute un tempo autentiche. A Colonia fu eretto nell’Alto Medioevo un tempio per conservare i resti dei preziosi doni dei tre Magi, che oggi risultano di provenienza molto posteriore, del VI secolo.
Ma almeno gli eventi storici sono esenti dalla critica? No.
La strage degli innocenti, ad esempio, non può essere accaduta, poiché Erode, che l’avrebbe ordinata, era morto già anni prima della nascita di Cristo, quale essa risulta cronologicamente dal censimento di Augusto.
Vengo adesso a quello che è il fulcro del mio pensiero.
Non basta dire che i grandi eventi della Bibbia sono i simboli sublimi di ciò che è vero "da un punto di vista psichico", come si esprime Jung; non basta, perché il termine di "simbolo" è storicamente "compromesso", sta cioè ad indicare qualcosa che non è "realmente" accaduta, e rimane perciò al margine del mito, vero anch’esso, psicologicamente, ma non più fonte di quella Fede che in noi suscita la trasfigurazione reale della realtà. Potrei naturalmente proporre altri termini: "Cifre", ad esempio come si esprime Jaspers, "Gleichnisse", come dire Werner Heisenberg.
Ma è inutile sostituire un termine con un altro, per dire pressappoco la stessa cosa. Io invece dico: nell’atto di Incontro dell’esistenza (umana) con la Trascendenza (divina) si realizza un "Soggetto transizionale", che è fatto da ambedue: porta da un canto le tracce di ciò che a lungo andare subisce una "erosione storica" (come qualsiasi parola umana) e le tracce eterne della Trascendenza, che in questo Incontro vuole parlarci.
E’ in tale incontro che nasce una realtà che, come la nostra umana, si serve delle immagini concrete della nostra esistenza, ma è tuttavia, perché di origine trascendente, (v. nota storica *) una "seconda realtà" (e perciò non solo un simbolo), una realtà le cui coordinate spazio-temporali sono diverse dal comune, e che perciò è riservata a quelli, i quali sono disposti entrarvi.
E ciò vale non solo per quel che riguarda la Storia di Cristo, ma tutta la storia del Cristianesimo: dall’Ostia di Bolsena, che sanguina, e in cui onore fu eretto il Duomo di Orvieto, fino alle lacrime della Madonna di Siracusa o alle visioni di Lourdes.
Noi entriamo in questa seconda realtà non solo spiritualmente, ma anche fisicamente, quando entriamo nelle nostre Chiese ed amiamo tutto ciò che ci raccontano gli affreschi, gli amboni, i capitelli, le fonti battesimali, i pulpiti di duemila anni di storia; nel nostro amore "ereignet sich die Transcendenz", avviene cioè il miracolo: la Verità ci appare. E si rivela in modo immediato, diretto, anche se soggettivo.
Lo studio storico scientifico delle sacre Scritture permette oggi dubbi legittimi, che rispondono ad una dimensione critica del pensiero umano nella nostra epoca. Da qui il bispogno (Bultmann) di "smitizzare" i testi, sceverando il "leggendario" dal "Kerygma". Ma il limite fra uno e l’altro, in decenni di ricerche, non è stato trovato in quel consenso che è proprio della scienza.
Ciò mostra, che le verità ultime dell’esistenza non possono non avere una base soggettiva.
L’uomo di oggi ritiene spesso di poter eliminare questa con l’agnisticismo metafisico. Anche ciò non è una soluzione: da un canto l’agnosticismo impoverisce l’esperienza spirituale e lascia l’uomo solo in un universo sempre più grande e privo di senso; dall’altro il "principio andropico" si affaccia anche in scienza: che l’universo non è in sé, ma esiste attraverso la nostra esperienza (fisica, matematica) di esso (*). Concetti come "autoinganno" (Mainardi), "illusione necessaria" (Roth) vengono oggi proposti e si urtano contro l’obbiezione , che da un canto si postula la necessità esistenziale di simili fenomeni, e dall’altro se ne dirime quella credibilità che è necessaria per la loro necessità.
La Fede cristiana si è arricchita attraverso i secoli, attraverso la certezza di verità storiche, che tuttavia, da almeno un secolo a questa parte, non cessano mai di essere discusse e ridiscusse.
E già questo stesso fatto, di una discussione perenne, scalfisce per me la certezza. Su che cosa può allora basarsi la mia Fede?
Così definisco i tre principi fondamentali, che pur valendo, al limite, solo per me, hanno una validità logico-universale:

1) Il pensiero di una Trascendenza, che non si limita, come per la filosofia, ad essere tale, ma come Dio personale ama gli uomini fino ad incarnarsi, essere come loro, soffrire come loro e trascendere nella Resurrezione il Dolore e la morte è di una tale incomparabile bellezza, da poter essere definito, con Dostojewsky, il pensiero più bello mai pensato.
Nella sua bellezza sta la sua verità, come l’esistenza di Dio sta per S. Anselmo nell’Idea stessa.

2) E poiché l’esperienza della Bellezza anche trascendente non può essere tale che nel Soggetto che la esperisce , c’è qui una rivalutazione del Soggettivo; c’è il "Soggetto Transizionale" come Incontro fra Esistenza e Trascendenza.

3) Tale incontro costituisce la natura duale della Verità, che come tale si distingue da quella scientifica, che è una ricerca di Obbiettività.

La verità ultima della Presenza di Cristo sta nella Sua risposta nella Preghiera.


* (Nota storica) Il concetto delle "Due realtà" è, nei suoi primordi, di antica origine medievale, e risale al filosofo arabo Avicenna, che cercò di conciliare la religione con l’allora iniziale pensiero scientifico, che si sviluppava in particolare nelle Università di Parigi e di Bologna. Il concetto avicenniano fu confutato da S. Tommaso D'Aquino, che integrando il pensiero aristotelico, (che con gli Arabi ed in particolare con Averroé rappresentava una minaccia per la teologia cristiana) entro la filosofia platonica e neoplatonica del primo cristianesimo, creò la Scolastica, l’ultimo grande Cosmo cristiano, prima che Bacone instaurasse poi il "mundus humanus" della scienza. Il mio concetto è naturalmente un’edizione nuova dell’antico. Ma così come in me c’è forse un ritorno ad Avicenna, così c’è forse un ritorno a S. Tommaso D’Aquino nel modello di Calogero Benedetti, che riunisce Fede e Logica; mentre infine il pensiero scientifico-metafisico di Werner Heisenberg è in un certo senso "baconiano".

La Storia ha "eterni ritorni" come diceva Giambattista Vico, ma ogni ritorno è una progressione. E sebbene ogni modello ha i suoi limiti, esso è, nel momento dell’ispirazione, universale, tende a quell’Assoluto, di cui tutti, pensando, siamo in ricerca.

(*) Nota del trascrittore: il principio "andropico" non dice in realtà quanto è indicato nel testo, ma dice, nella sua versione "debole": se l’Universo fosse stato diverso da quello che è, non si sarebbe sviluppata una vita intelligente e quindi nessuno se ne sarebbe accorto; e dice, nella sua versione "forte": lo scopo dell’Universo è quello di farvi evolvere gli osservatori; ovvero la nostra presenza è indispensabile affinché l’Universo esista. In altre parole, ci vuole un Universo grande come il nostro, con centinaia di migliaia di galassie, perché la vita sussista. Oppure (versione forte) il condizionamento di parametri dell’Universo è quello che è per permettervi l’esistenza di individui intelligenti. Il principio andropico è dunque un "principio finalistico" oppure almeno uno "schreneer", che depenna le forme non osservabili dell’esistenza e lascia sussistere solo quelle osservabili.