la parola del papa

Papa Francesco

Udienza Generale di Papa Francesco del 24.4.13

 

Il cristiano non deve chiudersi in se stesso ...

Ai giovani: scommettete su ideali grandi che allargano il cuore"

 

Digest di Antonio Colasanto

Benedetto XVI

 

Nel Credo noi professiamo che Gesù «di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». La storia umana ha inizio con la creazione dell’uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio e si chiude con il giudizio finale di Cristo. Spesso si dimenticano questi due poli della storia, e soprattutto la fede nel ritorno di Cristo e nel giudizio finale a volte non è così chiara e salda nel cuore dei cristiani.

Lo ha detto Papa Francesco questa mattina per la catechesi del mercoledì davanti a oltre 80mila fedeli in Piazza san Pietro.

Gesù, durante la vita pubblica – ha poi sottolineato - si è soffermato spesso sulla realtà della sua ultima venuta. Oggi vorrei riflettere su tre testi evangelici che ci aiutano ad entrare in questo mistero: quello delle dieci vergini, quello dei talenti e quello del giudizio finale. Tutti e tre fanno parte del discorso di Gesù sulla fine dei tempi, nel Vangelo di san Matteo…

Il Papa parlando poi del "tempo immediato" tra la prima venuta di Cristo e l’ultima, che è proprio il tempo che stiamo vivendo ha detto che in questo contesto del "tempo immediato" si colloca la parabola delle dieci vergini (cfr Mt 25,1-13). Si tratta di dieci ragazze che aspettano l’arrivo dello Sposo, ma questi tarda ed esse si addormentano. All’annuncio improvviso che lo Sposo sta arrivando, tutte si preparano ad accoglierlo, ma mentre cinque di esse, sagge, hanno olio per alimentare le proprie lampade, le altre, stolte, restano con le lampade spente perché non ne hanno; e mentre lo cercano giunge lo Sposo e le vergini stolte trovano chiusa la porta che introduce alla festa nuziale. Bussano con insistenza, ma ormai è troppo tardi, lo Sposo risponde: non vi conosco…

Quello che ci è chiesto è di essere preparati all’incontro - preparati ad un incontro, ad un bell’incontro, l’incontro con Gesù – ha spiegato Papa Francesco - che significa saper vedere i segni della sua presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti, essere vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio. La vita dei cristiani addormentati è una vita triste, non è una vita felice. Il cristiano dev’essere felice, la gioia di Gesù. Non addormentarci!

La seconda parabola, quella dei talenti, ci fa riflettere sul rapporto tra come impieghiamo i doni ricevuti da Dio e il suo ritorno, in cui ci chiederà come li abbiamo utilizzati (cfr Mt 25,14-30)…

Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano… non è cristiano! E’ un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato! Questo ci dice che l’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione - noi siamo nel tempo dell’azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo.

E in particolare in questo tempo di crisi, oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all’altro.

Nella piazza – ha poi osservato - ho visto che ci sono molti giovani: è vero, questo? Ci sono molti giovani? Dove sono?

A voi, che siete all’inizio del cammino della vita, chiedo: Avete pensato ai talenti che Dio vi ha dato? Avete pensato a come potete metterli a servizio degli altri? Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!

Infine, una parola sul brano del giudizio finale, in cui viene descritta la seconda venuta del Signore, quando Egli giudicherà tutti gli esseri umani, vivi e morti (cfr Mt 25,31-46). L’immagine utilizzata dall’evangelista è quella del pastore che separa le pecore dalle capre. Alla destra sono posti coloro che hanno agito secondo la volontà di Dio, soccorrendo il prossimo affamato, assetato, straniero, nudo, malato, carcerato - ho detto "straniero": penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma: cosa facciamo per loro? - mentre alla sinistra vanno coloro che non hanno soccorso il prossimo.

Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi. Certo, dobbiamo sempre tenere ben presente che noi siamo giustificati, siamo salvati per grazia, per un atto di amore gratuito di Dio che sempre ci precede; da soli non possiamo fare nulla. La fede è anzitutto un dono che noi abbiamo ricevuto. Ma per portare frutti, la grazia di Dio richiede sempre la nostra apertura a Lui, la nostra risposta libera e concreta. Cristo viene a portarci la misericordia di Dio che salva. A noi è chiesto di affidarci a Lui, di corrispondere al dono del suo amore con una vita buona, fatta di azioni animate dalla fede e dall’amore.

Cari fratelli e sorelle – ha detto il Papa concludendo la catechesi - guardare al giudizio finale non ci faccia mai paura; ci spinga piuttosto a vivere meglio il presente.

Dio ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore.

Il Signore, al termine della nostra esistenza e della storia, possa riconoscerci come servi buoni e fedeli.

 

Una breve riflessione.

Papa Francesco anche in questa quinta udienza generale pone al centro della sua catechesi, con gesti semplici e immediati, i temi della povertà, misericordia, pazienza, tenerezza, speranza che caratterizzeranno sempre più il suo pontificato e annunzieranno a tutti gli uomini Dio che è Amore e Misericordia. Vero e grande tema per la nuova evangelizzazione.

Piace qui ricordare che il Dio che ha conosciuto e ci presenta la Venerabile Madre Speranza è un Padre che va alla ricerca degli uomini come "El màs bueno de los padres, e chiede "que le llamemos Padre" perchè vuole farci partecipi della sua divina bontà. "È per tutti –scrive Madre Speranza- un padre buono che ci ama con un amore infinito, che non fa distinzioni." Per tutti gli uomini, dunque, non solo per i cristiani (n.d.r.) e la "nuestra felicidad no se encuentra sino en El".

E più avanti la Venerabile, nella cui esperienza spirituale Dio si svela in maniera personale e straordinaria tanto da illuminare tutta la sua esistenza terrena, scriverà:

"Egli mi dice che devo far sì che gli uomini conoscano Dio come un Padre buono che si adopera con tutti i mezzi e in ogni modo per confortare, aiutare, e far felici i suoi figli e che li segue e li cerca con amore instancabile come se non potesse essere felice senza di loro."

E di fronte alla indifferenza, alla superbia e alle offese degli uomini Dio si manifesta non come un giudice severo ma come un padre capace di dimenticare e di perdonare e Madre Speranza , appunto, ci ricorderà che Dio è "un Padre pieno di amore e di misericordia che non è un contabile, ma perdona e dimentica le offese e le miserie dei suoi figli"

E la testimonianza più alta dell’amore del Padre per l’umanità e per tutte le creature stà nell’offerta del Suo Unico Figlio perchè tutta la creazione non gema più ma abbia la vita vera Infatti la croce di Cristo "sulla quale il Figlio, consustanziale al Padre, rende piena giustizia a Dio, è anche una rivelazione radicale della misericordia, ossia dell’amore che va contro a ciò che costituisce la radice stessa del male nella storia dell’uomo: contro al peccato e alla morte.

La croce è il più profondo chinarsi della Divinità sull’uomo e su ciò che l’uomo –specialmente nei momenti difficili e dolorosi- chiama il suo infelice destino. La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo, è il compimento sino alla fine del programma messianico che Cristo formulò una volta nella sinagoga di Nazaret e ripetè poi dinanzi agli inviati di Giovanni Battista."(DM,8) Tale programma, secondo le parole scritte già nella profezia di Isaia (Is 35,5 – 61,1-3), consisteva nella rivelazione dell’amore misericordioso verso i poveri, i sofferenti, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi e i peccatori, dunque verso tutti gli uomini.

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ultimo aggiornamento 20 maggio, 2013