ho letto uno dei tanti titoli di giornali: "Papa
Francesco come Papa Wojtyla: Mafiosi,
convertitevi!".
Un grido nel contesto della Beatificazione di
don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia. Un grido
di dolore, non di scomunica, ma di umanità, così
come fu quel grido di Paolo VI alle Brigate
Rosse. Un grido di speranza, di amore per
l’uomo, per ogni uomo, la preoccupazione
spirituale per l’anima, il futuro, per
l’eternità nel tempo.
Alla Chiesa importa la salvezza non la
dannazione dell’uomo. Così è la tenerezza della
fede che diventa la forza più violenta della
storia.
La tenerezza di questo Papa, che interroga oggi
tutte le mafie, i poteri forti, l’ingiustizia,
"il crimine del mondo che rende schiavi le
donne, i bambini, i poveri dei continenti",
anzi "il dilagare del male dentro la Chiesa
stessa".
Grida il profeta: "Per amore del mio
popolo non tacerò". È Cristo che pone
la sua tenda nella città, che identifica se
stesso con tutti coloro che soffrono, che fa del
servizio, dell’amore, il più esigente,
scarnificante comando. Chiamare per nome le
ingiustizie, essere incidenza sulle cause che
creano, che moltiplicano, che stabilizzano
l’ingiustizia, partecipare alla trasformazione
del mondo è una dimensione costitutiva
dell’amore del Vangelo.
Di questo si fa segno e voce la tenerezza di
questo Papa: "La finanza pesi di meno della
fame della gente". E, poi: "I poveri sono
la carne di Dio". In questo, raccogliendo la
profezia dei primi Padri, di un san Gregorio di
Nizza che poteva affermare: "Chi ha troppo
non è fratello, ma ladro", di san Giovanni
Crisostomo, fortemente esplicito: "Mio e tuo
non sono che parole… quanto possediamo non
appartiene a noi, ma a tutti".
Sì, la tenerezza della fede, la forza più
violenta!