Il tuo Spirito Madre

a cura di P. Mario Gialletti fam

LA SOFFERENZA

 

Care figlie, l’Ancella dell’Amore Misericordioso deve aspirare alla maggiore perfezione, che consiste, a mio giudizio, nel cercare di assomigliare a Gesù crocefisso e carico di dolori. Ma a questa somiglianza non si giunge se non percorrendo il cammino della sofferenza.

Disponiamoci a soffrire le contrarietà e, quando queste per amore di Gesù ci diventeranno dolci e gradite, allora potremo dire che camminiamo bene e che abbiamo incontrato il paradiso sulla terra. La carità di Dio e l’amore di Gesù, infatti, ci faranno pregustare una beatitudine anticipata e in mezzo alle sofferenze parteciperemo in un certo modo delle delizie del paradiso.

Quante consolazioni che valgono più di tutti i beni e i piaceri della terra concede il Signore a quelli che soffrono per amor suo! Le tribolazioni portate con gioia e per puro amore a Gesù si trasformano in fiori, e le spine in rose. La croce di Gesù è la chiave del cielo e la consolazione delle anime che lo amano sul serio.

"Bene, Madre, -mi dirà una di voi- ma a me la sofferenza incute timore, certamente perché non provo un grande amore a Gesù, e molte volte gli chiedo di liberarmene. Con questo commetto una mancanza?". Figlia mia, ti devo dire che nessun comandamento proibisce di procurarsi un sollievo e un rimedio nelle tribolazioni, e tanto meno di ricorrere a Gesù chiedendo il suo aiuto per riuscire vittoriose, ma anzi puoi e devi chiedergli soprattutto che ti dia la forza di resistere e sopportare con amore ogni patimento. Egli ci ha castigato per le nostre iniquità e ci salverà per la sua misericordia.

Care figlie, nella sofferenza dobbiamo pregare. Gesù vuole che, come gli apostoli, ricorriamo a Lui sempre che vediamo incresparsi le onde del mare e la nostra barca sul punto di naufragare. Invochiamolo dicendo: "Salvaci, Signore, perché periamo!". Egli per animarci a chiedergli aiuto ci ha detto: "Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto".

È bene che fissiamo il nostro sguardo in Gesù, non ci allontaniamo da Lui e perseveriamo nella supplica fino a quando avrà compassione di noi. Egli ci ascolterà se le grazie che gli chiediamo sono spirituali e contribuiscono al bene delle nostre anime.

Ricordiamo, figlie mie, che il Signore è il nostro medico e che la sofferenza è la medicina di cui si serve per guarirci e non per condannarci. Egli è Padre misericordioso anche nei suoi castighi temporali e noi, Ancelle del suo Amore Misericordioso, dobbiamo dirgli: "Gesù mio, qui brucia e qui taglia, e non risparmiarmi la medicina in questo mondo, ma nell’altro che è eterno perdonami".

Stiamo attente affinché l’arroganza e la superbia dei nostri cuori non ci ingannino, dato che il Signore si impegna a resistere ai superbi e li abbatte opprimendoli sotto il peso delle tribolazioni. Quale sarà il rimedio alla maggior parte delle nostre sofferenze che sono causate dal peccato? È evidente: deve essere la distruzione del peccato stesso.

Il vero porto di salvezza nel grande naufragio delle calamità, tanto pubbliche che private, è la penitenza pubblica e sincera. Ciò che maggiormente provoca l’ira di Dio è la superbia; a questa farà seguito l’umiliazione, così come per l’umile invece ci sarà la gloria.

Umiliamoci, figlie mie, e la potente mano di Dio ci innalzerà nel giorno della sofferenza. Diciamo a Gesù: "Hai ragione, Dio mio, di castigarci perché abbiamo offeso te che sei il nostro Signore e Padre buono. Tu sei giusto e giusti sono anche i tuoi castighi e noi accettiamo con spirito di penitenza le sofferenze che ci mandi".

Care figlie, ricordiamo che necessariamente ci sono sofferenze in questo mondo, come pure peccatori e peccati, poiché, come i cardi e le spine, esse sono il frutto naturale di questa valle di lacrime in seguito alla sentenza pronunciata da Dio nel paradiso terrestre contro l’uomo disobbediente: "La terra produrrà per te cardi e spine".

Noi abitiamo una terra maledetta, non già il paradiso delle delizie dal quale siamo stati cacciati per sempre. La sofferenza dunque è la legge della nostra vita e il peccato è il pungiglione della morte e dei mali che la precedono e l’accompagnano.

Noi, religiose e Ancelle dell’Amore Misericordioso, saliamo più in su e vedremo che la ragione ultima e suprema della necessità di vivere con le sofferenze è la sovrana disposizione di Dio che ha fatto della sofferenza il mezzo, la condizione e lo strumento della salvezza eterna.

Ricordiamo che quanto più vicini si sta a Gesù tanto maggiore è la partecipazione al calice della sua passione. Poiché tutta la vita del nostro divino Maestro è stata croce e martirio, noi Ancelle dell’Amore Misericordioso non possiamo desiderare riposo e gioia, ma di patire ed essere perseguitate.

Non vi voglio nascondere, figlie mie, che in questo esilio sono tante e grandi le tribolazioni che sto soffrendo, e spesso mi sembra che sorpassino le mie forze. Soprattutto doloroso per me il fatto di vedermi separata dalle mie figlie afflitte e di vedere abbandonata e messa in pericolo dalla tempesta della persecuzione la mia amata Congregazione, ciò che più stimo in questo mondo. Chiedo a Gesù che sia Lui la guida, il rifugio e il sostegno delle mie povere figlie e che Egli stesso asciughi le lacrime dei loro occhi.

Care figlie, penso che sarete tutte convinte che le sofferenze sono necessarie per aiutarci nella nostra santificazione. La tribolazione è un bene gradito all’anima che ama Gesù e noi, Ancelle dell’Amore Misericordioso, dobbiamo saper approfittare del momento in cui Gesù ci visita con la prova per dimostrargli che lo serviamo, non per ottenere la sua ricompensa, ma unicamente per Lui, perché merita di essere servito.

La sofferenza è spesso una prova terribile per il nostro cuore, ma gloriosa perché purifica e rende solida la virtù. Tutte sappiamo infatti che, come l’oro si saggia con il fuoco, così il Signore mette a prova i nostri cuori; come il forno i cocci del vasaio, così la sofferenza prova le anime dei giusti.

Però ricordate, figlie mie, che ci sono delle sofferenze che non possono venire da Dio, perché Dio non tenta nessuno. Egli non può indurre nessuno a compiere il male. Ci sono invece altre prove che possiamo attribuire a Lui, come in realtà facciamo, perché servono a saggiare la fedeltà e l’obbedienza dei giusti. I santi infatti furono tentati in mille modi, con sofferenze di ogni genere, e diedero così la più brillante testimonianza della loro fede nelle promesse divine. A mio avviso le virtù più importanti sono la fedeltà e la fortezza e queste non arrivano a risplendere in tutta la loro bellezza se non sono messe a prova dalla sofferenza.

Pensiamo alla fedeltà del grande patriarca Abramo, che riuscì a vincere se stesso nella prova più dura a cui sia stato sottoposto un padre, prova stabilita dal Signore che gli comandò di sacrificare il figlio nel quale si dovevano compiere le promesse divine. Quanta gloria acquistò quest’uomo con quella sublime vittoria su se stesso, con l’immolazione non del figlio, ma del proprio cuore sull’altare della fedeltà al suo Dio!

Care figlie, ricordiamo che quanto più dura è la prova, tanto più gloriosa sarà la ricompensa. Qualcuna forse mi chiederà: "Madre, ma la debole natura umana è capace di portare certe sofferenze?".

No certamente, figlia mia, se non viene rinvigorita dalla grazia di quel Dio fedelissimo che non permetterà mai che l’uomo sia tentato al di sopra delle sue forze. Egli insieme alla tentazione darà l’energia necessaria per poterla vincere. Gesù è il nostro rifugio e la nostra forza, il nostro sostegno nelle sofferenze che ci affliggono da ogni parte. Egli stesso ce l’ha promesso dicendo che rimane accanto a noi nel dolore.

Se Dio è nostro aiuto nel combattimento, possiamo ritenere certa la vittoria, purché non sia impedita dalla nostra codardia. Riflettiamo, figlie mie, che soltanto per le anime deboli le sofferenze costituiscono un grave pericolo di perdere la fede, l’amore e la fiducia in Dio. Esse infatti, se proprio non cadono nell’incredulità, facilmente diventano fredde, vacillano e a volte si allontanano dalle pratiche di pietà. Qualcuna poi dalla violenza del dolore che non sa sopportare è spinta fino alla disperazione e a pronunciare frasi orribili che rallegrano l’inferno e provocano l’ira del cielo.

Ritengo che per un’anima consacrata a Gesù sia cosa più sublime e perfetta saper portare con gioia i pesi e le avversità e quanto le succede, come se lei stessa l’avesse voluto.

Care figlie, una di voi mi dirà che, pur non desiderando il benessere, ci sono momenti in cui la povertà si fa sentire troppo e che si può vivere in mezzo alle ricchezze senza lasciarsi corrompere da esse. Davvero grande è colui che in mezzo alle ricchezze è povero; però ricordate che è molto più sicuro non possederle e che mai ha poco colui che si accontenta di ciò che possiede, mentre mai avrà a sufficienza chi vuole avere di più.

La colpa non sta nella povertà, ma nel povero; la povertà è leggera, lieta e sicura. Tu sei povero e avverti i disagi della povertà non perché sei povero veramente, ma perché desideri ciò che non hai. Sei degna di compassione, figlia mia, non perché sei un’Ancella dell’Amore Misericordioso povera, ma perché ritieni di essere una sventurata. Una Ancella non deve mai lamentarsi della povertà materiale, perché Gesù ha detto: "Beati i poveri in spirito", quelli cioè che abbracciano e amano la povertà come Egli l’amò e per noi l’abbracciò.

Care figlie, sappiate che la cosa umana più salutare è non far entrare nel proprio animo i cattivi desideri, innalzare al cielo le mani pure, non desiderare un bene che altri debbano perdere o contrastare, desiderare solo ciò che è possibile. Allora la nostra mente saggia e santa considererà non necessarie tutte quelle cose che i secolari tanto stimano. È degna di biasimo quell’anima consacrata a Gesù che si lascia ingannare nel criterio della felicità, nonostante che il Vangelo parli tanto chiaramente delle beatitudini.

Per disgrazia nelle case religiose si trovano persone che non tengono minimamente in conto ciò che dice il Vangelo. Queste povere anime non solo non raggiungeranno la felicità che vanno cercando nelle vanità della terra, ma si espongono anche al tremendo castigo che Dio infliggerà nel giorno della sua gloria a coloro che non vollero obbedire al suo Vangelo.

Ricordate quanto è importante e sicuro seguire il criterio insegnato dalla dottrina delle beatitudini e vedrete che l’unica felicità positiva in questo mondo è vivere in armonia con le norme delle virtù cristiane, purificare l’anima da ogni macchia di peccato, tener a freno con severa mortificazione le passioni che ci fanno smarrire, osservare scrupolosamente i divini comandamenti, distaccarci dai beni perituri del mondo e lavorare per conquistare quelli eterni. In una parola, amare Dio sopra tutte le cose e il nostro prossimo per amore di Dio.

 

Come vedete, per essere virtuose e quindi felici, è necessario prima di tutto purificare l’anima. "Beati i puri di cuore" dice il divino Maestro.

Care figlie, dei numerosi e salutari effetti che la sofferenza produce nelle anime che sanno portarla il principale è quello di purificarle, illuminarle e innalzarle alla più alta perfezione. Altrimenti, ditemi: come aprirono i loro occhi S. Paolo e il figlio prodigo per vedere e detestare le loro colpe? S. Paolo divenne cieco quando gli apparve Gesù e lo atterrò sulla strada, ma proprio allora riconobbe i suoi errori e ricorse a Dio. Quando il figlio prodigo si trovò ridotto in miseria e afflitto dalla fame, allora disse: "Andrò e mi getterò ai piedi di mio padre". Invece finché era vissuto nella prosperità aveva pensato soltanto a soddisfare i suoi vizi.

La sofferenza dunque ci distacca dalle cose terrene e per questo il Signore unisce alle gioie della terra tante amarezze che ci obbligano a cercare un’altra felicità, la cui dolcezza non ci inganna.

Coloro che vivono nel benessere facilmente si lasciano possedere dalla superbia, dalla vanagloria, dal desiderio smodato di ricchezze, onori e piaceri, mentre il dolore ci umilia e suscita in noi ripugnanza verso i beni e i passatempi mondani. In tal modo il Signore impedisce che le anime a Lui consacrate siano condannate con il mondo.

 

Le tribolazioni

Care figlie, non basta però liberarsi dal veleno del peccato e purificare il cuore per diventare giusti ed essere felici, dal momento che Gesù ha posto la nostra beatitudine nell’umiltà, pazienza, pace dell’anima, nella misericordia e nella persecuzione sofferta per Lui.

Ma per praticare bene queste virtù è necessario che l’anima sia illuminata dalla potente luce che promana dalla sofferenza. Questa infatti è tenebre per i malvagi, ma è luce per coloro che amano davvero Gesù.

L’afflizione e le pene ci aiutano a comprendere ciò che tante volte avevamo udito ma non compreso. Con il fiele di un pesce, figura della sofferenza più amara, Dio ridiede la vista a Tobia, il quale a quella luce vide le cose e se stesso come prima non vedeva.

La tribolazione ci illumina per conoscere noi stesse, conoscenza che è di grande importanza per vivere unite al nostro Dio ed agire come Ancelle del suo Amore Misericordioso.

La sofferenza, figlie mie, ci perfeziona e ci santifica, portandoci all’apice della carità che è la conformità con la volontà di Gesù, sia in ciò che è duro e faticoso, sia in ciò che è facile e piacevole. Come cresce la fiamma se è agitata dal vento, così si perfeziona l’anima provata dal dolore. Non dimenticate che è sapienza dei santi soffrire per amore a Dio.

 (La Madre nel 1943; Estratto da El pan 8, 1123-1158)

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ultimo aggiornamento 04 agosto, 2021