ROBERTO LANZA
"In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto a terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto".
... Continua dal numero precedente di Agosto ...
C
ome concludere questo percorso che ci ha accompagnato e descritto negli articoli precedenti ed in questi ultimi mesi?
La "storia" del piccolo chicco di grano può aiutare anche noi a capire meglio noi stessi e il senso della nostra esistenza, a lottare contro il nostro egoismo, a spenderci per vivere la vita come amore, a confidare nella bontà di Dio che rende molto fruttuosa la sofferenza, proprio nel momento in cui abbiamo l’impressione di non poter far più nulla, perché sterili o impossibilitati.
Che senso ha, infatti, la vita se non fare la volontà di Dio?
Solo seguendo questa via noi realizziamo noi stessi e diventiamo strumenti di misericordia nelle mani di Dio. La vera morte è la sterilità di chi non sa donare nulla, di chi non sa spendere la propria vita, ma vuole conservarla gelosamente, mentre il dare la vita fino a morire è la via della vita abbondante, per noi e per gli altri. Il cristiano che vuole essere servo del Signore, che dice di amare il Signore, deve semplicemente accogliere questa "morte", accettare questa caduta, abbracciare questo nascondimento. E allora non sarà solo, ma avrà Gesù accanto a sé, sarà preceduto dalla forza dello Spirito, che lo porterà dove egli è, ossia nel grembo di Dio, nella vita eterna che si può vivere già qui su questa terra.
È difficile oggi fare un discorso come questo!
La mentalità del benessere come un diritto dell’uomo, della vita concepita come divertimento e come assenza di sofferenza e di dolore, è radicalmente contraria alla mentalità evangelica. Tutti oggi più o meno siamo sempre meno educati al sacrificio, al "sudore della fronte", perché troviamo tutto pronto, tutto ci sembra dovuto. Il mondo di oggi ha investito tutto su questa impostazione, si deve tendere a dispensare l’uomo da ogni fatica, da ogni sacrificio, da ogni rinuncia e sofferenza.
Significa in sostanza rivivere fino in fondo l’esperienza dell’Apostolo Pietro che davanti all’annuncio della passione del Cristo, non comprende fino in fondo il mistero della croce e la logica del chicco di grano. Vedendo i suoi miracoli, le folle arrivano a capire che Gesù è un profeta e anche i discepoli comprendono che è il Messia, ma non arrivano a vedere, fino in fondo, il Figlio di Dio che abbraccia la croce. L’incontro con Gesù aveva suscitato in loro speranze e grandi progetti, ma poi sono rimasti improvvisamente inappagati: la croce di Gesù li ha delusi e sconvolti. Avevano fatto i loro progetti e coltivato le loro speranze: desideravano un Messia "liberatore", un Messia diverso. Un Messia, un Salvatore crocifisso era incompatibile con tanti loro progetti; per loro era un non senso, un assurdo. Dopo la professione di fede di Pietro e la proibizione di divulgare la sua messianicità, Gesù inizia a rivolgere ai suoi discepoli un insegnamento nuovo: finora non aveva parlato così apertamente di sé stesso, ma aveva attratto i suoi discepoli e li aveva riempiti di fiducia con il fascino della sua parola, con il suo potere di vincere le povertà dell’uomo, con la sua bontà. Adesso egli comincia a parlare loro con chiarezza e in modo estremamente duro: "E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere"1.
Se Gesù ha il potere di risorgere, perché non se ne serve per evitare, per eliminare la sconfitta e la morte, senza doverle vivere personalmente? Perché non puntare subito sulla resurrezione, se questo doveva essere l’esito? Se Dio è amante della vita, come può manifestarsi nella morte di Gesù? Domande importanti che ancora una volta evidenziano il profondo contrasto tra il pensare secondo Dio e il pensare secondo gli uomini. Gesù invita Pietro, ma anche ognuno di noi, a convertirsi al mistero della croce, che è anzitutto mistero di pazienza, di obbedienza e di amore, unico luogo di salvezza. Pietro è ciascuno di noi: proclama la sua fede in Gesù, ma poi vuole che Egli si comporti secondo le proprie idee e aspirazioni.
"Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua"2. L’essenza del cristianesimo è andare dietro a Gesù e non seguire i propri desideri personali o le proprie idee. Chiama tutti noi a capire che la vita è dono di Dio, a non avere l’angoscia di doverla salvare da soli, ma ad affidarla con speranza alla paternità di Dio che è amore totale. Non bastano le formule per annunciare Cristo, ma occorre lasciarsi afferrare da Lui, fino a capire che rinnegare sé stessi è vivere la vita come un dono, è non lasciare che la nostra esistenza sia sotto la paura della morte. Rinnegare sé stessi vuol dire rinunciare al culto del potere, dell’apparire, dell’avere successo. Rinnegare sé stessi è non mettere al centro di tutto se stessi, il proprio io, i propri interessi, è rinunciare a fare scelte in vista del proprio tornaconto, è vigilare, perché l’uomo vecchio che è in noi non riemerga con la sua brama di potere e di avere.
Prendere la croce e morire come un chicco di grano, significa anzitutto scegliere una vita che assomigli a quella di Gesù, prendere la via dell’amore, del servizio, accettare la propria debolezza e la propria impotenza, riconoscere e accettare la povertà che sempre ci accompagna, senza cercare di nasconderla, senza recriminare, senza lamentarci, ma facendola diventare occasione di dialogo con Dio, di abbandono in lui.
Non dobbiamo credere che la nostra esistenza sia totalmente ed esclusivamente "mia", posso volerla stringere, conservare, come se fosse un bene da difendere ad ogni costo, una proprietà che dipende solo da me. Ma se penso e mi comporto così, la vita mi sfugge, come l’acqua che volessi trattenere avidamente tra le mani; non posso dominare né la sorgente della vita, né il suo scorrere, né il suo punto di arrivo.
Cosa dire ancora?
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Parole difficili e anche pericolose se capite male, perché possono legittimare una visione dolorosa e infelice della vita.
Ma non è così!
Dimentichiamo spesso che il verbo che regge l’intera costruzione di queste parole evangeliche è "produrre": il chicco produce molto frutto. L’accento non è sulla morte, ma sulla vita, non è il morire, ma il molto frutto buono.
Quante volte abbiamo osservato un granello di frumento, un qualsiasi seme, nessun segno di vita, un guscio spento e inerte, che in realtà è un forziere, un piccolo vulcano di vita. Caduto in terra, il seme muore alla sua forma, ma rinasce in forma di pianta; seme e pianta non sono due cose diverse, sono la stessa cosa, ma tutto trasformato in più vita. La gemma si muta in fiore, il fiore in frutto, il frutto in seme. Nel ciclo vitale come in quello spirituale la vita non è tolta ma trasformata, non dunque una perdita ma una dilatazione dell’amore. Dio è entrato nella morte, perché lì sono spesso i suoi figli, nelle tenebre della vita, ma da quella morte è risorto come un germe di vita indistruttibile, una nuova vita che ci ha trascinato fuori, in alto, nel cielo. L’amore di Dio è così: un chicco di grano, che si consuma e fiorisce, una croce, dove già respira la risurrezione.
Padre Bartolomeo Sorge scrisse, all’indomani del ritorno della Madre Speranza alla casa del Padre, queste meravigliose parole: "
[…] Nella Cripta, nel luogo più nascosto, due metri di terreno si sollevano, così come il chicco di grano che, gettato a terra, la muove e la solleva. E’ un chicco di grano piccolo, nascosto nella Cripta, nella base della Chiesa di Dio, che rimuove la terra e annuncia la nuova spiga, la Chiesa dei nostri tempi".
Come terminare, dunque, questo scritto? Quale la verità che emerge da queste riflessioni?
Tuttavia, una curiosità, forse più importante, mi è venuta, nel cuore, rileggendo questo scritto: "perché il Signore ha scelto proprio la Madre Speranza per svolgere un compito così delicato e così importante?
Ma è proprio qui il segreto della santità della Madre, più ci domandiamo come ha potuto raggiungere delle "vette" così alte e più riscontriamo come il suo cuore, immerso nell’abisso della misericordia di Dio, sia stato l’origine di ogni sua opera. Fu proprio l’amore che ebbe, non solo per ogni peccatore, ma soprattutto verso Dio, che "convinse" il Signore sulla fedeltà della Madre Speranza. Dio ha "misurato", con ogni sorta di prove il cuore della Madre, e ha riscontrato quanto, amava veramente il Suo Dio e i "poveri" del suo Popolo. Questo amore aveva superato la "prova": "ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna"3. Ognuno di noi, è responsabile delle proprie azioni, dell’accoglienza o del rifiuto della Parola di Dio.
Ognuno è responsabile, potremmo dire, della sua salvezza o della sua condanna, ma la libertà, che Dio ci ha donato, ci impone delle responsabilità con cui confrontarci. È in questo che consiste, anche, la nostra grande dignità di figli: possiamo scegliere se accogliere o rifiutare l’offerta del Signore, ma altrettanto, vero e gioioso, sarà sperimentare che, questo Padre, non smetterà mai di venirci a cercare e di rinnovare, verso di noi, la sua "proposta" di misericordia. Gesù lo ha detto: "Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza", quella vita che sperimento quando come chicco di grano sono caduto sotto la mole dura e pesante e sono diventato quella candida farina che le mani tenere e amorose di Dio hanno raccolto e l’hanno trasformata in pane. Sono diventato pane spezzato per gli altri per dare la vita, sono entrato nel mistero dell’amore, il grido disperato di prima si è mutato in lacrime di gioia, è la felicità di sapere che l’Amore Misericordioso mi ha messo insieme a Lui in quell’ostia offerta al Padre.
Occorre sapere di morire per dare significato alla vita!
Un seme germoglia, diventa fiore, diventa frutto se una buona terra, se un buon concime lo nutrono. Noi possiamo essere buona terra e buon concime, se in mezzo alle persone, portiamo la presenza di Dio, la sua grazia, la sua misericordia. Se il chicco di grano non muore, è come se dei passi si fermassero, ma se invece fosse una partenza per un altro viaggio? Se il chicco di grano non muore, è come un albero che viene abbattuto, ma se invece fosse un seme che germoglia in una terra nuova? Se il chicco di grano non muore, è come una porta che si chiude, ma se invece si trattasse di uno squarcio di luce che si apre sulle tenebre della nostra vita? Se il chicco di grano non muore, è come un grande silenzio che irrora la terra, ma se invece ci permettesse di ascoltare il mormorio di un vento leggero che porta con sé l’amore di Dio, la dolce musica di una nuova vita che sta nascendo?
Allora...domani?
Domani, saremo noi, saremo figli di Dio, saremo pane di vita, saremo respiro dell’Amore Misericordioso, saremo attesa di vita nuova, saremo vita piena, saremo vita donata, saremo vita sacramentale, saremo vita eterna, saremo semplicemente dei piccoli ed inutili semi che portano nel loro cuore la potenza del Regno di Dio….
…Padre, prendi il mio cuore, è tuo, è per TE e sarà sempre per TE! E così sia!
1 Mc. 8,31
2 Mc. 8,34
3 1 Tim. 1,12-17
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ultimo aggiornamento
18 ottobre, 2023